Il fotografo raccontò l’arrivo degli alleati. L’immagine del pastore che indica la strada a un soldato americano è entrata nella storia con le parole di Vincenzo Consolo. «Se le tue foto non sono buone, non sei abbastanza vicino», la lezione del reporter

Tunisi, 9 luglio 1943. Quartier generale della 82esima Airbone Division, divisione aviotrasportata paracadutisti dell’esercito americano. Il capitano Chris Scott bussa alla porta del generale Mattehew Bunker Ridgway. A fare il suo ingresso al cospetto di uno dei protagonisti dell’operazione Husky è un militare di origini ungheresi. «Ti sei mai lanciato con un paracadute?», chiese il generale. «No, signore. Mai», rispose il militare. «Beh, non importa. È la cosa più naturale del mondo».

 

Il militare di origini ungheresi era il fotografo Endre Friedmann, aveva scelto un nome d’arte che sarà consegnato alla storia della fotografia di tutti i tempi: Robert Capa. Qualche ora dopo, una luce verde lampeggiante, segnalava al fotografo che era venuto il momento di lanciarsi sulla Sicilia: «Saltai fuori con il piede sinistro avanti nell’oscurità. Meno di un minuto dopo atterrai su un albero nel bel mezzo di un bosco. Rimasi lì tutta la notte».

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Dopo settantotto anni, Robert Capa e le sue fotografie sbarcano di nuovo in Sicilia. Trovano approdo definitivo la sua storia e le immagini del reportage realizzato nel corso della campagna di conquista dell’isola. Troina, un comune in provincia di Enna, dedica a Robert Capa un museo che ospiterà una collezione permanente delle sue opere. Il museo sarà ospitato all’interno dell’ex palazzo Pretura appena restaurato.

 

Un progetto avviato cinque anni fa – sottolinea il sindaco Fabio Venezia - grazie al contributo di Alessandro Castagna e Lucilla Caniglia di “Soul Design Creative Studio”, l’International Center of Photografy di New York, Cynthia Young curatrice dell’archivio fotografico “Robert Capa”, la Fondazione Famiglia Pintaura e il comune di Troina. “Fragments of war in Sicily” è il titolo della collezione che vede esposte sessantadue immagini fotografiche, direttamente realizzate dai negativi originali di Robert Capa.

 

Endre Friedmann era nato a Budapest nel 1913. I genitori di origine ebraica erano proprietari di una casa di moda. Il giovane ungherese fu ben presto esiliato perché aveva partecipato a manifestazioni di dissenso contro il regime repressivo ungherese. Nel 1931 riparò a Berlino e si iscrisse alla Deutsche Hochschule für Politik per studiare giornalismo. Per pagare la retta della scuola fece l’assistente di camera oscura presso la Dephot (Deutscher Photodienst), un’agenzia fotografica berlinese. Ma quella del giovane fotografo sarà una vita randagia vagando dalla Danimarca a Vienna, fino all’approdo a Parigi nel 1933.

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Nella capitale francese intrecciò rapporti con grandi fotografi come André Kertész e Henri Cartier-Bresson. Ma l’incontro destinato a cambiargli la vita fu quello di una donna, Gerta Pohorylle, meglio conosciuta come Gerda Taro. Sarà lei, nel 1936, a scegliere il nome d’arte Robert Capa. Decisero di fotografare la guerra civile che stava dilaniando la Spagna franchista. Lei morirà travolta da un carro armato, dopo la battaglia di Brunete, nei pressi di Madrid. Nel 1947 fonda la “Magnum Photo” con Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodgere e William Vandivert.

 

Robert Capa ha scritto la storia della fotografia con immagini che hanno segnato un’epoca. Tra le più celebri quella del miliziano spagnolo colpito a morte e quella del contadino siciliano. Il vero protagonista del reportage fotografico che racconta lo sbarco e la conquista della Sicilia è un anziano contadino lacero e ricurvo. Una scena mirabilmente descritta dallo scrittore Vincenzo Consolo nel suo libro “Le pietre di Pantalica”: «Un uomo che s’alzava da terra appena d’una spanna, scavuzzo senza età, terragno monachino, in braghe e gilet di logoro velluto, calzari di tela e pelle di montone, fazzoletto in testa annodato a mo’di copricapo. Accanto a lui, accovacciato, il culo sui talloni, le braccia sulle cosce, la fede al dito e braccialetto d’oro al polso, uno spilungone di soldato americano, un levigato e bello Gary Cooper, biondo, sano, sorridente. Il contadino, una mano sulla spalla del soldato, con l’altra, con cui teneva il lungo suo bastone, gl’indicava qualcosa in lontananza, una strada, un paese, forse il miraggio d’un pozzo o d’una fonte. Dietro a loro, la campagna arida, svampante, s’impennava in montarozzi di gessi e silicati».

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Anche questa foto di Capa è ammantata da leggenda. Su quel contadino, sulla sua fine, si sono sprecati fiumi di inchiostro. Il suo nome era Francesco Coltiletti. La foto fu scattata in Contrada Ponte Capostrà, nelle campagne tra Sperlinga e Troina. Non fu fucilato dai tedeschi, come si è a lungo pensato, ma morì nel 1950 all’età di 64 anni. In realtà, era un pastore che stava conducendo le sue capre all’abbeveratoio. Fornì indicazioni agli americani che si apprestavano a cingere d’assedio Troina, poco prima della battaglia che vide contrapporsi gli Alleati ai tedeschi. Uno scontro cruento, concluso dopo sei giorni di sanguinosi combattimenti.

 

«Se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino». Era questo il motto di Robert Capa. Gli costerà la vita avvicinarsi troppo. Era il 25 maggio del 1954, aveva da poco compiuto quaranta anni, il suo ultimo click fu quello della spoletta di una mina a Tay Ninh, in Indocina.