Opinioni
gennaio, 2022

"Il decreto Cartabia non è una legge bavaglio, ma un argine alla giustizia spettacolo”

La riforma non è uno “sfregio alla Costituzione” ma uno strumento per una sobrietà comunicativa rispettosa di principi irrinunciabili. Un ex Procuratore prosegue il dibattito

Quasi tutte le riforme in tema di giustizia costituiscono da decenni, qualunque ne sia l’oggetto, ragione di polemiche tra politici e magistrati. Nel caso della riforma varata con il decreto legislativo n. 188/2021, ormai definito “Decreto sulla presunzione di innocenza”, l’area dei polemisti si è allargata fino a comprendere avvocati e giornalisti. Il decreto - è bene dirlo in premessa - impone un obbligo di sobrietà comunicativa rispettoso di irrinunciabili principi, ma ciononostante c’è chi ne parla come di uno “sfregio alla Costituzione” o, rievocando vecchie definizioni, di “legge bavaglio”.

 

Analisi
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Le cose non stanno affatto così e sorprende che, in certi interventi non si parli mai delle ragioni che - unitamente ad una vincolante direttiva europea del 2016 - hanno dato luogo all’intervento legislativo in questione. Intendo riferirmi, evitando però qualsiasi generalizzazione, soprattutto alle prassi, proprie di vari magistrati, di conferenze stampa teatrali e di interviste autocelebrative delle proprie inchieste.

 

Ho già avuto modo di intervenire sulla rivista Giustizia Insieme. Il corretto rapporto tra giustizia e informazione è oggi uno dei pilastri su cui si fonda la credibilità dell’amministrare giustizia, sicché si può ben comprendere perché il Csm abbia emanato l’11 luglio 2018 specifiche Linee Guida “ai fini di una corretta comunicazione istituzionale”, quale espressione della necessità di trasparenza, controllo sociale e comprensione - da parte dei cittadini - della giustizia intesa come servizio, come funzione, come istituzione. Ma queste previsioni, così come i principi contenuti nell’art. 21 della Costituzione, evidentemente non bastano ad impedire ben note criticità del sistema di informazione sulla giustizia che spesso finiscono con il penalizzare chi vi è coinvolto: di qui la necessità di leggi ad hoc.

 

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È qui impossibile commentare tutte le previsioni del D. Lgs. 188/21, ma non vedo in che modo il giusto e logico divieto per le autorità di indicare pubblicamente come colpevole un indagato o imputato fino a quando non sia dichiarato tale con provvedimento definitivo possa limitare il diritto-dovere di informazione, quando invece ne rende il suo esercizio corretto e rispettoso dell’elementare principio di “presunzione di innocenza”.

 

Opinione
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27/12/2021

Anche il contenuto dell’art. 3 del decreto è condivisibile nella parte in cui prevede che l’informazione sui procedimenti penali venga effettuata, quando necessaria per le indagini o per ragioni di pubblico interesse, tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa, su decisione motivata del Procuratore della Repubblica, vincolante anche per la polizia giudiziaria. Appare francamente di natura burocratica la previsione di un atto scritto e motivato che il Procuratore deve emettere in questi casi, ma non può non concordarsi sul fatto che comunicati sobri ed essenziali, che hanno il pregio di diffondere parole e notizie precise, siano preferibili a conferenze stampa che consentono interpretazioni forzate e incontrollabili dei “racconti” a voce.

 

Certo anche nel caso dei comunicati sono possibili eccessi dei pubblici ministeri, come quelli contenenti affermazioni apodittiche quasi fossero un anticipo di sentenza. Niente di più lontano, cioè, dal senso del limite e dall’etica del dubbio cui devono conformarsi le parole di un pubblico ministero e le esternazioni della polizia giudiziaria prima della decisione del giudice, tanto che doverosa appare la nuova previsione di legge riguardante anche il dovere del Procuratore di correggere, sempre con comunicati, false notizie ed errori eventualmente propalati.

 

Tornando alle critiche al provvedimento, non si comprende come le nuove previsioni potrebbero limitare il diritto di informazione o il controllo sociale su correttezza ed affidabilità dell’attività dei magistrati o perché mai si ritenga penalizzata la loro possibilità di replica a notizie false o inesatte strumentalmente diffuse nell’interesse di indagati eccellenti: una lettura attenta del D. Lgs. consente di escludere questi dubbi, così come il timore di una previsione favorevole solo ad una certa tipologia di imputati, i “potenti” di turno.

 

Ancor più sorprendente è l’affermazione di importanti giornalisti secondo cui, se questa normativa fosse stata vigente in passato, i cittadini avrebbero per anni saputo poco o niente di importanti e recenti inchieste (ad es., quelle sulla Fondazione Open, sulla Loggia Ungheria etc.) o, addirittura, su indagini come quelle sul caso Moro, sul terrorismo degli anni di piombo, su Cosa Nostra e le sue stragi, su Ustica, su “Mani Pulite” etc. Si parla addirittura di rischio di “cancellazione della realtà”, anche per effetto della discrezionalità riconosciuta ai Procuratori per la selezione delle modalità informative. Mi chiedo quale passaggio del decreto della presunzione di innocenza legittimi tali conclusioni, posto che esso prevede possibilità di conferenze stampa proprio per casi di pubblico interesse come quelli citati, sia pure con richiamo al dovere condivisibile di sobrietà.

 

Viene il dubbio che si continui ad auspicare un’attività divulgativa dei magistrati finalizzata a consentire più agevoli modalità di lavoro dei giornalisti. Non mi riferisco, sia ben chiaro, all’ipotesi di scorretti rapporti tra appartenenti alle due categorie che - se accertati - devono essere duramente puniti, ma alla diffusa convinzione che i pubblici ministeri dovrebbero farsi carico degli onerosi compiti di chi fa giornalismo informativo. I pubblici ministeri, però, fanno un altro lavoro ed il loro compito è quello di acquisire le prove di responsabilità a carico degli autori dei reati per cui procedono, cioè un mestiere diverso da quello dei giornalisti, altrettanto rispettabile ed utile. Ed in quale altro modo poi, se non attraverso comunicati e conferenze stampa dai precisi confini, l’Autorità giudiziaria potrebbe fornire le informazioni possibili?

 

Ecco perché sono assolutamente condivisibili altre disposizioni riguardanti modifiche procedurali che richiamano il dovere dell’Autorità Giudiziaria, nella redazione di atti giudiziari destinati a diventare pubblici quali richieste di provvedimenti cautelari, decreti di perquisizione, avvisi di garanzia, decreti penali etc., di non motivarli in modo ultroneo rispetto ai fini cui sono diretti, limitandosi ai soli riferimenti necessari a soddisfare le condizioni richieste dalla legge.

 

Protagonisti necessari della comunicazione relativa alla giustizia, però, non sono solo i magistrati e la polizia giudiziaria, ma anche gli avvocati, i politici e i giornalisti, molti dei quali “responsabili” di ulteriori derive e criticità.

 

In proposito, sarebbero utili interventi legislativi ulteriori o una severa applicazione dei codici deontologici delle citate categorie professionali e dei partiti politici.

 

Non si può tacere, comunque, in ordine ai comportamenti di alcuni avvocati che sfruttano la risonanza mediatica delle inchieste in cui sono coinvolti i loro assistiti, e anzi le amplificano tramite deprimenti processi mediatici, anche quale mezzo di proliferazione della propria clientela. Allo stesso modo non è accettabile la strumentalizzazione della comunicazione in tema di giustizia penale, da parte di quei politici che reagiscono con violenti attacchi e richieste di punizione nei confronti di magistrati per indagini, processi, condanne o tardive assoluzioni che li riguardano o toccano persone a loro vicine.

 

I giornalisti, ovviamente, dovrebbero essere gli osservanti più scrupolosi delle regole della corretta informazione. E fortunatamente molti lo sono. Ma anche per questa categoria, si diffondono “anti-regole” pericolose ed inaccettabili, come l’assenza di doverosi approfondimenti sulle notizie rilevanti e la loro frequente enfatizzazione.

 

Il mio auspicio è quello di vedere il mondo della giustizia popolato da giornalisti che, anziché cercare documenti e notizie in modo poco corretto, provvedano a richiederli con formali istanze, come la legge (art. 116 c.p.p.) e disposizioni già da tempo emesse da vari Procuratori della Repubblica consentono, fermo restando che il loro diretto accesso agli atti non più segreti, come auspicato da Luigi Ferrarella, sarebbe la soluzione migliore.

 

Resta la necessità di una riflessione pacata anche sul rapporto tra informazione e giustizia che, rifuggendo da ogni possibile litania, si muova nello spirito e secondo le ragioni del decreto legislativo sulla presunzione di innocenza, le cui previsioni sono orientate dal rispetto di diritti fondamentali delle persone, inclusi anche quelli di indagati e imputati.

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