Droni, sensori laser, radar per scovare i reperti prima delle campagne di scavo. Cosi lavora il Ccht di Venezia. E Forbes inserisce la direttrice tra le 100 donne di successo

Le tecnologie all’avanguardia offrono oggi soluzioni prima inimmaginabili, mettendosi spesso a disposizione di discipline convenzionali come l’archeologia, che necessita di competenze classiche, ma esige anche di integrare le antiche nozioni con molti elementi di informatica e ingegneria. Droni, sensori laser, radar, magnetometri e tecnologie 3D hanno cambiato radicalmente il modo di cercare i reperti archeologici, riducendo le analisi invasive sul terreno.

A vestire i nuovi abiti da archeologo 4.0, effettuando un restyling completo sulla classica figura con cazzuola e paletta alla mano, è Arianna Traviglia, direttrice del Centre for cultural heritage technology di Venezia (nato in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari) in cui convivono esperti di beni culturali, tecnici di intelligenze artificiali e ingegneri di computer vision per lo sviluppo di nuove tecnologie nel campo dello studio e della conservazione del patrimonio culturale. La coordinatrice del Ccht è la vincitrice del premio internazionale “Le Tecnovisionarie”, conferito a quelle donne capaci di inventare il futuro: le eccellenze al femminile che nella loro attività professionale mostrano genialità, ingegno ed estro creativo. Un’intraprendente ricercatrice inserita anche tra le cento donne italiane di successo e omaggiata da Forbes come giovane scienziata, esperta di geomatica e sistemi informativi territoriali, che ha messo a punto un innovativo metodo di telerilevamento satellitare.

ANALISI_SU_MANUFATTI

Arianna Traviglia è un’umanista digitale, lontana dall’immagine stereotipata di canuti professori risolutori di geroglifici e che nulla ha a che vedere neppure con lo stile di Lara Croft, affascinante e astuta avventuriera in grado di scovare antichi reperti, ma oltre modo caricaturizzata per le sue mirabolanti acrobazie. Lei è semplicemente un’appassionata professionista il cui lavoro si basa soprattutto su scoperte e approcci multidisciplinari, ma nella sua personalità non mancano di certo forza, creatività ed entusiasmo. «La multidisciplinarietà è un elemento chiave del Centro, qui combiniamo il nostro differente background per ottenere risultati concreti che soddisfino le reali esigenze del nostro patrimonio culturale; possiamo vedere sistemi automatizzati per lo studio  e l’analisi di manufatti e dispositivi robotici capaci di manipolarli. Un incontro fra tecnologie di frontiera e patrimonio culturale senza precedenti», racconta.

Da bambina era affascinata dall’archeologia e dalla robotica. In particolare, intorno ai 12 anni, aveva già le idee chiare su quale sarebbe stata la sua futura professione: «Ero andata in gita ad Aquileia e osservando la Basilica mi sono detta: farò l’archeologa. Vent’anni dopo, quando ormai ero diventata tale, ho cominciato a lavorare proprio ad Aquileia, quindi sono ripassata davanti a quella Basilica dicendo: ecco il mio sogno che si è realizzato».

IMMAGINI_SATELLITARI_A_INFRAROSSI_DELLA_LAGUNA_DI_VENEZIA_FONTE_ESA

Da Treviso, dove ha iniziato a lavorare sul campo, si è poi trasferita in Francia, vicino alla zona dello Champagne dove ha eseguito i primi rilevamenti presso le necropoli locali. Ritornata in Italia ha concentrato tutti i suoi sforzi in Friuli e in seguito a Roma. «Quando stavo facendo la scuola di specializzazione in Archeologia, ho avuto l’opportunità di seguire delle lezioni di un professore sloveno a Trieste, uno dei pochissimi esperti di sistemi informativi geografici applicati all’archeologia. In quel momento ho iniziato a scoprire il mondo del digitale applicato a questa disciplina, così sono andata sei mesi in Slovenia, dove ho svolto una tesi per la specializzazione». Traviglia è un “cervello di ritorno” che si è gradualmente avvicinata alla geomatica, la scienza che studia forma, caratteristiche terrestri e sistemi satellitari. «Nel corso del dottorato sono stata per sei mesi a Seattle in una scuola archeologica che si occupava di tele-rilevamento. Poi ho lavorato presso l’università di Sidney, dove sono rimasta per quasi 9 anni».

 

Oggi è lei a dirigere un importante centro di tecnologia italiano e ha dato il via ad un progetto archeo-spaziale, un approccio scientifico in parallelo per chi lavora sulla Terra, partendo, però, dal rilevamento satellitare con l’attiva collaborazione dell’Agenzia spaziale europea. Grazie alla piattaforma terrestre Copernicus e alle migliaia di immagini registrate giornalmente, è nato il programma Cultural landscapes scanner, ovvero lo sviluppo di algoritmi matematici per machine learning, sistemi di intelligenza artificiale che riconoscono autonomamente i siti archeologici nel sottosuolo da semplici tracce sul terreno. D’altra parte, gli archeologi digitali si sporcano sempre meno le mani e vanno alla ricerca di altre possibilità, come realtà aumentata, ricostruzioni virtuali e robotizzate o cimentandosi nell’esplorazione archeologica dall’alto.

«Quando ho iniziato a studiare archeologia non avrei mai immaginato di finire ad insegnare ad una macchina come analizzare dati da satelliti per scoprire strutture antiche nel sottosuolo. Tra le attività svolte, c’è proprio quella di istruire le intelligenze artificiali così che possano identificare i depositi archeologici sepolti riconoscendone di nuovi. La macchina deve riuscire a seguire lo stesso processo mentale di un archeologo, scovando così oggetti e irregolarità altrimenti impossibili da vedere ad occhio nudo perché coperti dalla vegetazione», spiega. Partendo da un puzzle di fotografie e blocchi di immagini satellitari, in cui sono presenti delle tracce già identificate, gli archeologi addestrano il cervello artificiale che imparerà rapidamente quali possano essere le eventuali variazioni della forma di un sito archeologico difficilmente accessibile.

«Abbiamo usato i dati raccolti intorno ad Aquileia, ma faremo altri test in Veneto, poi in Olanda e nelle isole Arran in Scozia, dove i siti differiscono per forma dalle nostre strutture archeologiche. I campi di applicazione vanno comunque al di là della semplice scoperta archeologica, poiché la conoscenza di nuovi siti è importante anche quando si sta per urbanizzare un’area o per costruire un centro commerciale, evitando di farlo laddove potrebbero essere presenti resti». Sarà quindi l’intelligenza artificiale a giudicare se un pezzo di terra sia simile ad un altro e soprattutto se possa essere considerato di interesse archeologico. «In alcuni casi per fare delle scoperte sorprendenti basta osservare la vegetazione, che “disegna” sul terreno dei motivi regolari. Se per esempio sono presenti strutture murarie nascoste, in quel punto la crescita della vegetazione ne viene rallentata. L’aspetto di un terreno può svelare all’improvviso ciò che prima era invisibile», continua Traviglia.

Il suo lavoro è rivolto anche alla lotta contro il trafugamento di opere d’arte per incastrare gli incalliti tombaroli che, armati di metal detector, vanno alla ricerca di tesori nascosti, favorendone il traffico illecito. «Il progetto potrà combattere l’art crime e fermare questi delinquenti. Grazie all’aggiornamento continuo, infatti, i dati di un territorio vengono valutati su tre livelli: satellite, intelligenza artificiale e infine scienziati in spedizione».

E per quanto riguarda la passione per i robot, lei conferma d’averla sempre avuta fin da piccola, e quando le si domanda se valga la pena oggi intraprendere questa professione, risponde con grande entusiasmo. «Per fortuna i giovani sono molto attratti dalle tecnologie. In Italia purtroppo sono poche le università che offrono attivamente una formazione in questo campo, quindi gli studenti che desiderano farsi un po’ le ossa, sono costretti ad andare all’estero. Quando ho iniziato, di tecnologia applicata a questo campo non c’era quasi nulla. Se pensiamo che adesso ho due braccia robotiche per fare la scansione tridimensionale di un oggetto archeologico, per me è fantascienza. All’inizio avevo matita, foglio di carta millimetrata e righello, ora ho i robot che girano intorno ad un oggetto e fanno la ricostruzione tridimensionale».

La vita da archeologa 4.0 è però fatta di sacrifici: sveglia puntata alle sei del mattino e spesso nessuna pausa pranzo per dare priorità ad una ricerca che non consente neppure un minuto di intervallo. La sua giornata lavorativa termina verso sera e dopo una passeggiata rilassante lungo la laguna fiorita e profumata da erbe aromatiche, Traviglia fa ritorno a casa nel sestiere di Cannaregio per trascorrere qualche ora in famiglia, con i suoi nipotini che amano giocare a Google Earth e sono già abili a progettare robottini: perché la passione per la scienza è molto contagiosa. Prima di addormentarsi è solita guardare dalla sua finestra, perdendosi nell’immensità delle Dolomiti, poi, come quando era bambina, sogna ancora di vivere qualche altra emozionante avventura e con la determinazione che la contraddistingue mantiene i suoi piedi ben piantati per terra, rivolgendo però il suo sguardo al meraviglioso universo che ha ancora tanto da raccontarle.