“Il tempo dello studio, egregio Presidente, non è quello che prepara a trovare un lavoro ma quello che insegna a trovare se stessi, è il tempo del presente, più che quello del futuro. Apparentemente infruttuoso, non monetizzabile, commercialmente improduttivo, eppure è il tempo più redditizio”

«In piena facoltà, / egregio Presidente, / le scrivo la presente, / che spero leggerà».

Inizia così la versione italiana - cantata da Ivano Fossati - di un celebre brano del poeta francese Boris Vian. Si chiama “Il disertore”, egregio Presidente, ma io, da insegnante, non diserterò.

 

Come tanti che hanno trovato in classe la professione dei propri desideri, io intendo restare al mio posto, nonostante sempre più spesso sia la scuola stessa a disertare, a deragliare per strade marginali e periferiche. Egregio Presidente, quella di oggi è una scuola che non ha abbastanza tempo e non ha più spazio, una scuola striminzita e ripiegata su se stessa, oberata di burocrazia e acronimi che camuffano un vuoto di idee e contenuti. E dire che abbiamo scoperto con disperazione, negli ultimi due anni, fino a che punto tempo e spazio siano le due variabili essenziali per la scuola, perché con la Didattica a distanza di spazio e tempo non ce ne sono stati a sufficienza. Il tempo della scuola è il tempo pieno per i bambini della materna e della primaria, il tempo di qualità per le classi di ogni ordine e grado, che non si spreca nei rivoli di progetti e progettini estemporanei né in sperimentazioni che cercano di offrire tutto alla platea scolastica ma che spesso non danno niente, e neppure in un’alternanza scuola/lavoro che non prepara al lavoro e nel contempo fa smarrire il senso e la necessità dello studio. Il tempo della scuola deve essere un «tempo protetto», un incubatore di competenze e di speranze a fondo perduto. Perché il tempo dello studio, egregio Presidente, non è quello che prepara a trovare un lavoro ma quello che insegna a trovare se stessi, è il tempo del presente, più che quello del futuro. Apparentemente infruttuoso, non monetizzabile, commercialmente improduttivo, eppure è il tempo più redditizio.

 

Trascorrere alcune ore a mettere in ordine le proprie idee su un foglio protocollo durante la prima prova di maturità. non è tempo perso, è tempo guadagnato. Anzi quel tempo è la scuola: è il tempo per pensare.

 

E poi la scuola ha bisogno di spazio: di aule grandi, calde d’inverno e fresche d’estate, in cui gli alunni abbiano agio di muoversi e di lavorare, in cui sia un piacere fermarsi un’ora in più. La scuola deve poter insegnare la bellezza ospitando gli alunni nella bellezza. Deve poter disporre di palestre per allenarsi, di laboratori attrezzati per esercitarsi, di auditorium per ascoltarsi, di aule studio per confrontarsi, di biblioteche per informarsi, di cortili per ricrearsi. Certo, investire sul digitale è importante, ma lo è ancora di più fornire agli studenti banchi e sedie comodi, strumenti musicali, reagenti e provette, tele e colori, vocabolari, lavagne e soprattutto libri, libri per tutti. Una scuola così avrebbe una marcia in più e ci porterebbe molto molto lontano, egregio Presidente, se è vero che la terza variabile connessa a spazio e tempo è la velocità.

Bisogna lasciare spazio e tempo alla scuola, egregio Presidente, e restituire valore a quel docente che ha deciso, in piena facoltà, di dedicarsi a questo delicato e complesso lavoro. E non diserterà.