Consiglieri
Pim pum pam, chi è Giovanbattista Fazzolari, il braccio destro di Giorgia Meloni che spara (e twitta)
Senatore di FdI, è il fedelissimo della leader. Twittò di Mattarella: «Un rottame», «oltre il ridicolo», «aspirante demonio». E del battaglione Azov: «Onore a loro». Appassionato tiro sportivo, si batte per «tutelare i possessori di armi», che lo considerano «quasi un eroe» (ha fatto liberalizzare il Parabellum). La leader di Fdi lo definisce «la persona più intelligente e giusta che abbia conosciuto»
Nel tempo libero spara. O twitta: contro il capo dello Stato Sergio Mattarella, in sostegno del battaglione Azov. Certo, a guardarlo più da vicino, si capisce ancora meglio la sadica ironia con la quale, un mesetto fa, Il Foglio l'ha battezzato novello Gianni Letta in omaggio al più raffinato tra i consiglieri del Cavaliere. È Giovanbattista Fazzolari, cinquant’anni, appena rieletto senatore, l’uomo che ha scritto il programma di Fratelli d'Italia, il parlamentare che al momento, per quanto possa sembrare sorprendente, è tra i più potenti dell’Italia politica.
Tuttora il grande pubblico a malapena sa chi sia, ma la leader Giorgia Meloni, premier in pectore, si fida di lui più di chiunque altro. L'ha scelto per farne una specie di alter ego per fase di formazione del governo. Al tavolo ristretto fino al giorno in cui si stilerà la lista dei ministri si siedono soltanto loro due, tutti gli altri un passo indietro. E la cosa è destinata a ripetersi. Diciamo per iperbole: tiene così tanto alla sua opinione che, se potesse, la leader dei Fratelli d’Italia gradirebbe fare predisporre per Fazzolari una seconda scrivania accanto alla sua da presidente del Consiglio, nella medesima stanza, per garantirsi la collaborazione ventiquattr’ore su ventiquattro.
Lo vorrebbe ad esempio consigliere a Palazzo Chigi: già immaginarlo sottosegretario alla Presidenza, come pure si è ipotizzato, o ministro all’attuazione del Pnrr, significherebbe poterci contare poco, ritrovarselo troppo gravato di altre incombenze. E Meloni, su di lui, conta tutto. Così, dunque, anche se è ancora presto per dirlo, volendo così su due piedi trovare un volto chiave, un personaggio simbolo del governo prossimo venturo, la nuova destra che comanda, ecco ce l’abbiamo: la faccia di Fazzolari, bene o male.
Lui, per Giorgia, c’è da sempre. Passò con lei, ad esempio, la serata prima del giuramento al Quirinale come ministra della Gioventù, nel 2008, governo guidato da Silvio Berlusconi, come ha raccontato lei stessa nell’autobiografia “Io sono Giorgia” nel 2021, riempiendo di elogi il suo consigliere: «Giovanbattista, per gli amici antichi Spugna, per me Fazzo, è la persona più intelligente e giusta che abbia avuto la fortuna di conoscere. Oggi è senatore di Fratelli d’Italia, ma per me è molto di più. Non ricordo un solo giorno della mia vita in cui non ci fosse lui al mio fianco». Si sono conosciuti nel periodo dell’impegno universitario, quando lui – infanzia itinerante appresso al padre diplomatico, poi liceo francese a Roma allo Chateaubriand - era responsabile romano di Fare fronte-Azione universitaria, spola tra La Sapienza e la sezione di via Sommacampagna.
Fazzolari è sempre stato un meloniano, come praticamente tutti gli altri suoi fedelissimi, sin dal congresso di Viterbo del 2004 in cui Meloni con soli 16 voti di scarto su Carlo Fidanza fu eletta capo dei giovani di An. Per quella occasione, infatti, la oggi quasi premier dovette scegliersi due referenti nazionali: uno era lui, l’altro era Francesco Lollobrigida, capogruppo alla Camera destinato a quanto pare alla riconferma. Insomma vent’anni fa era praticamente tutto uguale ad adesso, come ha raccontato lo stesso Fazzolari a Francesco Boezi due anni fa in “Fenomeno Meloni”: «Anche in quella occasione, a Viterbo, Lollobrigida si era occupato soprattutto di organizzazione e dinamiche politiche. Io, invece, mi ero concentrato sugli aspetti programmatici e su quelli contenutistici». E da allora non ha più fatto altro, almeno per il partito e per la sua leader.
Meloni però Fazzolari non l’ha lasciato indietro: se lo è portato anche alla Camera dei deputati, nel 2006, quando, da vicepresidente di Montecitorio, lo ha voluto suo consulente giuridico. E, due anni dopo, l’ha trasferito al governo: capo della segreteria tecnica della ministra della Gioventù, fino al 2013. In tutto questo tempo, l’idillio è diventato totale, come ha raccontato lei, sempre tenendola bassa: «Con quell’espressione sempre tranquilla, la battuta pronta per sdrammatizzare e una risposta a qualsiasi domanda, ha accompagnato tutto il mio percorso. Ormai ci capiamo al volo, e tra noi c’è una tale alchimia che a volte non ricordiamo più chi sia stato, dei due, a elaborare un determinato pensiero. Ci siamo completati a vicenda, e scherzando diciamo che ognuno ha salvato l’altro da se stesso». Nientemeno.
Ecco se le cose stavano così in partenza, il suo ruolo nelle ultime settimane è addirittura cresciuto. A tutto vantaggio di un altro personaggio assai vicino a Meloni e che pure è legato a Fazzolari, sin dai tempi dell’impegno politico all’università e della sezione di via Sommacampagna: Giampaolo Rossi, filo no vax e filo-putiniano, ora direttore scientifico della fondazione An e presente in tutti i toto-potere di Fratelli d’Italia a partire da quello della Rai. Per dire quanto sono stratificati e forti i legami: a inventare il nome di Azione universitaria, che era guidata da Fazzolari, fu Alessandro Vicinanza detto “Il Macedone”. Ed è a lui, scomparso giovane, che Giampaolo Rossi ha dedicato la vittoria di Fratelli d’Italia, con un post su Facebook, il 25 settembre.
Una sintonia che si ritrova anche sul piano politico: sono noti i tweet di Giampaolo Rossi contro Sergio Mattarella, insieme a una serie di altri, giudicati inopportuni, che rendono il suo desiderio di diventare ministro particolarmente complesso da realizzare. Meno noti, ma non meno efficaci, sono i tweet di Fazzolari, che nessuno ha sinora mai evidenziato.
Quando per esempio, in occasione dell'elezione di Sergio Mattarella, rispondendo a Giorgia Meloni, commentò: «Dal cilindro del rottamatore esce un rottame #Mattarella #quirinale. era il 29 gennaio 2015. Due giorni dopo, il 31, gli diede carinamente dell'aspirante demonio: «#Mattarella 665 voti a un passo dal numero della bestia 666. Aspirante demonio». Nel 2018, nel corso del lungo stallo per la formazione del governo, gli diede del ridicolo: «#NonelArena Questa è esilarante: Mattarella, che non ha avuto nulla da ridire sulla Fedeli ministro dell’istruzione e Alfano ministro degli Esteri, ha detto che vigilerà sull’adeguatezza dei ministri del prossimo governo. Oltre i confini del ridicolo». (13 mag 2018); poi, quando Mattarella disse no all'indicazione di Paolo Savona come ministro dell'Economia, per via delle sue posizioni no euro che avrebbero potuto provocare, come disse allora il capo dello Stato, «probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell'Italia dall'euro», lo accusò di sottomissione all'Europa: «La sovranità appartiene al popolo, Mattarella si rilegga l'articolo 1 della costituzione, si accorgerà che è scritto in italiano, non in tedesco o in francese. #Savona #Meloni».
Più di recente Fazzolari si è mostrato gran sostenitore del battaglione Azov, saltandone a pie' pari i profili, diciamo, in chiaroscuro. In un tweet corredato con una cartina di Mariupol, con al centro lo stabilimento di Azovstal, scriveva: «Non importa come la pensi su questa guerra. L'eroismo desta ammirazione sempre, perfino quello del nemico. E la difesa della città #ucraina di #Mariupol, circondata e assediata da 59 giorni, entrerà nella storia per il coraggio dei suoi difensori. Onore a loro». era il 23 aprile, adesso il tweet risulta cancellato. sempre ad aprile, pochi giorni prima, si esaltava: «#Mariupol doveva cadere dopo poche ore, già il 24 febbraio. Circondata, senza rifornimenti, con i difensori in netta inferiorità numerica. Contro ogni previsione, ogni logica, ogni legge della natura un pugno di eroi ucraini difende la città da 47 giorni. Ed entra nella storia», scriveva l'11 aprile. Per poi aggiungere, lo stesso giorno: «E ora arriveranno i commenti dei codardi, di quegli omuncoli incapaci di qualsivoglia atto di coraggio o anche solo di dignità. Eccoli scatenare tutto il loro rancore contro chi ha il coraggio che loro non hanno mai avuto e mai avranno».
Certo è che il presunto Gianni Letta di Giorgia Meloni si trova abbastanza fuori linea, rispetto al riservatissimo dottor Letta originale. Mentre Fazzolari ha cominciato ad essere inseguito da richieste, amici di vecchia data spuntati dal nulla e affamati di poltrone, è saltato fuori che Fazzolari è una specie di idolo anche per gli appassionati di armi. Un Che Guevara della doppietta libera. Gira sul web una sua intervista, rilasciata in Lacoste nera alla Fiera Eos 2022 di Verona in cui, è trattato come un personaggio davvero importante già nella primavera scorsa, quando i più non ne conoscevano neanche il nome.
«Sì, mi diverto e mi diletto nel mondo del tiro», gongola, Fazzolari in quell’occasione, mentre l’intervistatore lo magnifica e lo porta in trionfo come «motore trainante per la liberalizzazione del 9x19», volgarmente detto Parabellum, grazie al «meritorio» emendamento con cui senza particolari clamori ha «fatto uscire l'Italia dal Medioevo» facilitando l'uso dell’arma. Un’azione definita «quasi eroica», ma nata da un preciso afflato: «Reputo che i possessori di armi abbiano diritto a maggiore tutela e maggiore attenzione di quella che di solito hanno», spiegava Fazzolari. Ecco, uno pensava le donne, i poveri, gli emarginati: invece no, l’orizzonte naturale è la lobby del tiro sportivo, che ha bisogno di più tutela. Fazzolari fino a quattro mesi fa era assai vigile.
Raccontava infatti: «Ci sono attualmente delle proposte di legge molto preoccupanti che di fatto annullerebbero la possibilità di fare tiro sportivo. Alcune prevedono l’impossibilità di detenere munizioni a casa, ma solo al poligono, il che è irrealizzabile. Oppure l’obbligo di tenere le armi ai poligoni, creando delle sorte dei fortini nei poligoni». Un vero scandalo. «Fino alle assurdità che per poter richiedere un porto d’armi si debba avere l’assenso di tutte le precedenti relazioni anche affettive, il che rende la questione grottesca, irrealizzabile, oltre a dare la possibilità a ex mogli o ex mariti di rifarsi col vecchio partner non concedendo la possibilità di avere le armi», raccontava indignato Fazzolari.
È una vera fortuna che la legislatura sia caduta in anticipo, prima che queste terrificanti proposte di legge potessero minare la libertà di tutti. Ma adesso si pone un ulteriore problema: alla scarsa attenzione per la tutela degli appassionati di armi ha sin qui posto rimedio Fazzolari stesso, in persona, argine all’ingiustizia. Non sappiamo dire chi d’ora in poi si occuperà dei diritti di chi fa tiro sportivo. In Fratelli d’Italia e nella maggioranza in genere si usa dire in questi giorni, per qualsiasi cosa: «Chiedetelo a Fazzolari». Si potrebbe domandargli anche questo.