Il professore di Diritto Romano è da oltre un quarto di secolo in politica: esperienza fugace con la Lega, poi molta Alleanza Nazionale, l’incontro con Tatarella, la riforma Gelmini, il rapporto con l’avvocato d’affari e prorettore di Mosca, l’associazione con Savoini, il ruolo di consigliere di Salvini. Tutto ciò che c’è da sapere del nuovo capo dell’Istruzione

Il grande merito del prof. Giuseppe Valditara è che non s’è parlato abbastanza del merito della sua nomina a ministro dell’Istruzione e appunto del Merito (altrui). Ci si è soffermati sulle copertine dei suoi volumi come sulle confezioni dei cioccolatini. Se per tratteggiare il profilo di un docente universitario di Diritto Romano a Torino pare inelegante citare la mamma di Forrest Gump, che teorizzò che «la vita è uguale a una scatola di cioccolatini e non sai mai quello che ti capita», si potrebbe candidamente osservare che il Valditara ha solcato più fasi politiche e intellettuali. Allora viene da menzionare Pablo Picasso. Qui siamo, si perdoni l’azzardo, al cubismo sintetico che sovrappone e giustappone più Valditara. E con sollievo già abbiamo individuato un suo merito.

 

Il prof. è conteso dalle province italiane e dai partiti di destra. Nelle solite agiografie che cullano i ministri appena incaricati, si legge che il 61enne ministro Valditara, figlio di una insegnante e di un dirigente di banca ex partigiano, è un milanese che tifa Inter, ma risiede nel Biellese a Graglia vicino al santuario della Madonna lauretana. In paese raccontano che da senatore si è impegnato alacremente per ottenere dei contributi pubblici per un parco giochi. Una targa gli rende il dovuto omaggio. Anche la residenza politica non è stabile nonostante da oltre un quarto di secolo ne sia un assiduo frequentatore. Il prof. ha il vezzo di definirsi un allievo di Gianfranco Miglio, ideologo e ispiratore del federalismo leghista. Nel bel mezzo dei negoziati per le elezioni del ’94, in veste di consulente, Valditara partecipò con la delegazione leghista - c’erano Vito Gnutti e Bobo Maroni - a una riunione con Mario Segni. Però ha sempre militato in Alleanza Nazionale e fu un estimatore del pugliese Pinuccio Tatarella: «Squilla il telefono e una voce anonima mi dice: “le posso passare il presidente Tatarella?”. Pensavo fosse uno scherzo e invece era proprio Pinuccio. Mi chiese se fossi - ha ricordato in un volume celebrativo della Fondazione Tatarella - disponibile a incontrarlo a Milano. Aggiunse che era da un po’ che mi seguiva sui giornali e che il mio progetto era anche il suo progetto». Unire le destre contro le sinistre senza troppe distinzioni.

Con il baricentro in un punto imprecisato della destra ma comunque a destra, Valditara esordì da assessore con doppia delega alla provincia di Milano (c’era pure l’istruzione, certo) e al Senato proprio con Alleanza Nazionale nel 2001. I pregiudizi lo investono per il ruolo di integerrimo relatore di maggioranza della riforma che porta il nome della ministra Mariastella Gelmini (2009/11) e che si riassume brevemente nei crateri che causò nel sistema scolastico e universitario con il taglio di 8/10 miliardi di euro di risorse (sul consuntivo ci sono valutazioni discordati) e di decine di migliaia di cattedre. A palazzo Madama il senatore Valditara scortò in aula la parte universitaria, non ha responsabilità dirette di quello scempio, ma la koinè culturale - più efficienza, più individualismo, più autoritarismo - è la stessa. E gli indizi col tempo si tramuteranno in prova. Con pazienza.

 

Valditara seguì lo scissionista Gianfranco Fini, salutò i colleghi berlusconiani e aderì a Futuro e Libertà. Che sciagura. Il prof. si ritrovò fuori dal Parlamento (2013) e con le sue destre di riferimento - quella post missina e quella post bossiana - quasi evaporate. Per fortuna incontrò un politico studente di larghe ambizioni e di facili suggestioni che stava per declinare il federalismo in sovranismo e l’autonomia locale in nazionalismo revanscista: sì, Matteo Salvini. Il prof. Valditara, che già nel ’96 affascinò Tatarella - ha modestamente confessato - con la sua associazione per le Libertà, domiciliata in una villa che fu di Quintino Sella, folgorò Salvini col gruppo di studio Logos e con l’opera di semplice utilizzo politico “L’immigrazione nell’antica Roma: una questione attuale” per Rubbettino che nell’edizione per il Giornale divenne “L’impero romano distrutto dagli immigrati” (2015). Il rigore accademico di Logos, che fu anche una pregiata rivista, lo si evince dal curriculum del direttore responsabile che affiancò il direttore scientifico Valditara e cioè Gianluca Savoini, ex portavoce di Salvini, appassionato di Vladimir Putin, e poi protagonista della trattativa con i russi all’hotel Metropol di Mosca per un presunto finanziamento alla Lega. Fervido oppositore della “cancel culture”, Valditara ha dapprima eliminato la foto di Savoini dalle pagine di Logos e infine ha chiuso il sito e soppresso il gruppo. La recensione più interessante sull’impero di Roma è arrivata due anni fa dalla Russia: «Linnikov & Parteners si congratula con il suo amico e collega italiano, il prof. Giuseppe Valditara, per l’uscita della versione inglese di “Civis romanus sum: citizenship and empire in ancient Rome”. L’opera fondamentale del famoso statista, che ha dato un contributo significativo allo sviluppo della cooperazione scientifica e educativa fra Russia e Italia.

 

L’autore scrive dei principi dell’assimilazione nell’antico Stato, dei problemi della discriminazione razziale e delle opportunità di carriera nell’antica Roma. Auguriamo a Giuseppe Valditara successo nel suo lavoro scientifico e nel rafforzamento delle relazioni fra Italia e Russia!». Alexander Linnikov è un avvocato di affari e prorettore della Financial University di Mosca, una università governativa che ha un rapporto di collaborazione con la statale di Torino dove insegna Valditara. Il prof. fu ospite dell’ateneo russo il 27 novembre 2018, in quei giorni si teneva un convegno su come far entrare la Russia nelle principali cinque economie del mondo con la partecipazione tra gli oratori dell’ex ministro Giulio Tremonti (oggi deputato di Fratelli d’Italia). In quel momento, però, Valditara non era soltanto un famoso docente o «statista», ma era un alto funzionario pubblico, capo dipartimento per la formazione superiore e la ricerca all’Istruzione con il ministro leghista Marco Bussetti. Il prof. Valditara, nel governo Conte I, cercò di introdurre con la legge di bilancio maggiore, anzi totale, autonomia per le università di stringere accordi con le aziende private e per i docenti di non avere limiti alle consulenze esterne. L’esecutivo gialloverde di Giuseppe Conte cadde per mano di Salvini durante il Ferragosto 2019 e col governo cadde la proposta della coppia Bussetti e Valditara. Ostinato col suo atteggiamento oblativo, il prof. non ha abbandonato Salvini e assieme al politico studente si è presto allontanato dal sovranismo. Ha archiviato l’esperienza di Logos e ha fondato Lettera150 durante la pandemia con un appello di altri 149 docenti. Nel 2017 firmò il saggio politico “Sovranismo, una speranza per la democrazia” con la postfazione di Marcello Foa, futuro presidente della Rai. Lo scorso settembre ha firmato il manifesto elettorale “L’Italia che vogliamo” con Alessandro Amadori (psicologo e sondaggista) e un intervento di Matteo Salvini e di Armando Siri. Dettaglio prosaico: il prof. era candidato leghista per il Senato in un posto scomodo di un listino proporzionale a Varese, e non ce l’ha fatta.

 

Dicevamo. Come si conciliano i due Salvini e i due Valditara l’ha spiegato il medesimo Valditara all’Espresso: «C’è continuità perché non ho mai inteso il sovranismo come nazionalismo, ma sovranità popolare come nella nostra Costituzione e di cui il federalismo è la massima espressione».

 

La parola merito al singolare o al plurale ricorre 18 volte nelle 228 pagine de “L’Italia che vogliamo”. Valditara e Amadori sono più dirompenti nel capitolo università - il ministero è attribuito alla ministra Anna Maria Bernini di Forza Italia - che sul sistema scolastico: «Occorre procedere a una serie di riforme legislative che garantiscano alle università maggiore libertà nell’esercizio del commercio e dell’industria. La raccolta di finanziamenti privati che investano nel successo della sperimentazione dei brevetti deve essere in ogni modo agevolata e organizzata. È necessario dirottare parte delle risorse pubbliche per finanziarie in particolare quelle ricerche, e quei dipartimenti, che sono o possono diventare punte avanzate dell’innovazione. I finanziamenti governativi devono essere in parte contrattati sulla base di una verifica delle potenzialità dell’ateneo e in relazione a precisi progetti di sviluppo, che esaltino i punti di forza dell’università e considerino il bisogno di crescita del territorio circostante, sapendosi integrare con le politiche sociali ed economiche locali».

Valditara si occupa di Istruzione e non di Università, ma in questo passaggio c’è una concreta applicazione del “merito”, che certamente non appiana le differenze, bensì le accentua per soddisfare esigenze pratiche e nazionali (variabili a seconda del governo) e così svantaggia, respinge, esclude. Nel paragrafo “una scuola che non lasci indietro nessuno” l’approccio è illusoriamente dissimile. Valditara e Amadori dimostrano con gli irrefutabili numeri che la dispersione scolastica e le carenze di apprendimento sono allarmanti, ma mirano a esaltare i singoli, non a elevare il collettivo. In perfetta sintonia con la precisazione della presidente Giorgia Meloni alla Camera: «Tutti sulla stessa linea di partenza, ma non sulla stessa linea di arrivo».

 

«Se questi sono i risultati di un sistema scolastico che - proseguono Valditara e Amadori - ha cercato la qualità attraverso i processi selettivi e le bocciature agli studenti, dovremmo concludere che ha fallito. Ma sarebbe profondamente sbagliato immaginare di risolvere il problema della qualità degli apprendimenti futuri dei nostri giovani se, mantenendo la struttura del sistema scolastico esistente, eliminassimo soltanto le bocciature. Un sistema scolastico che sia “lievito” dei talenti degli studenti e che non trascuri nessuno deve strutturarsi sul piano ordinamentale, organizzativo e didattico in una maniera diversa dall’attuale. Passare dalla logica del “diplomificio” a un modello di formazione scolastica che privilegi lo sviluppo individualizzato dei talenti e delle corrispondenti competenze». Ecco dov’era finita l’originale di Mariastella Gelmini. Adesso si chiama Giuseppe Valditara. Chissà se la scuola si merita il bis.