A gennaio Trenord, l’azienda che gestisce i convogli lombardi, annunciava l’arrivo di nuovi treni svizzeri da impiegare entro l’estate sulla scalcagnata linea Brescia-Parma. Dove continuano a viaggiare gli inquinanti Aln 668, risalenti agli anni ’70 e in grado di sprigionare nel cielo nubi nere e pestilenziali degne di una ciminiera dickensiana. Sono così vecchi che ormai non funzionano più, tanto che la probabilità di incappare in un ritardo è del 22 per cento, sempre che si riesca ad arrivare a destinazione: la settimana scorsa un convoglio ha preso fuoco, i pendolari sono scesi in fretta e furia dai vagoni in fiamme e il macchinista ha cercato di spegnere l’incendio.
Questo perché, ovviamente, i nuovi treni svizzeri, i Colleoni Atr 803, non sono mai arrivati. O meglio, uno è arrivato a settembre, ma non è stato un grande successo: all’inaugurazione il nuovo bolide è partito puntuale da Parma ma è arrivato con mezz’ora di ritardo a Brescia fra l’imbarazzo e l’incredulità delle autorità alla stazione ad aspettarlo. I ritardi sono poi aumentati a dismisura, i pendolari si sono infuriati e Trenord ha prima ritirato il treno, poi ha dato la colpa a Rfi, ovvero alla società delle Ferrovie dello Stato che gestisce i binari, infine il 20 ottobre ha comunicato di aver bloccato le consegne e i pagamenti alla Stadler, cioè all’azienda svizzera che produce i Colleoni.
Ma forse il blocco è stato solo una boutade, perché due giorni dopo Trenord ha annunciato con entusiasmo l’arrivo di altri due nuovi treni proprio dalla Stadler.
Succede in Lombardia, motore economico del Paese, dove tutto va alla velocità della luce, tranne i treni, tallone d’Achille della giunta leghista di Attilio Fontana, che imperterrito continua a dire che va tutto bene e che si andrà avanti così per altri dieci anni. Sempre che le elezioni regionali del 2023 non gli diano torto. A dire che va tutto bene è anche l’assessore leghista ai Trasporti, Claudia Terzi, che ha annunciato l’intenzione di affidare direttamente il servizio ferroviario a Trenord per altri dieci anni, senza passare da una gara d’appalto, come invece indicato da una direttiva europea. Meglio l’autarchia ferroviaria, che vige in Lombardia da undici anni, ovvero dalla fusione fra LeNord e Trenitalia per dare vita a Trenord, società partecipata al cinquanta per cento da Regione Lombardia e Ferrovie dello Stato, con accordi parasociali secondo i quali il controllo effettivo è nelle mani di Regione Lombardia che è allo stesso tempo programmatore, fornitore e compratore dei servizi ferroviari, nonché proprietario di Fnm, ovvero la capogruppo di Trenord, di cui nomina il management. Non a caso a capo di Fnm c’è il leghista Andrea Gibelli, mentre il direttore generale è Mario Giovanni Piuri, in quota Comunione e Liberazione.
Nonostante gli indici di puntualità di Trenord siano largamente inferiori alla media nazionale (quest’estate si è verificato un record assoluto, come dimostra la tabella che pubblichiamo, realizzata per l'Espresso da Traspol, Laboratorio di Politica dei Trasporti del Politecnico di Milano); nonostante il numero delle corse si sia ridimensionato del cinque per cento negli ultimi cinque anni, con linee tagliate fino all’80 per cento o eliminate del tutto, sforbiciate alle corse serali e nei weekend; e nonostante il costo del servizio regionale sia il più elevato d'Italia (22 euro al chilometro contro una media nazionale di 12 euro), la Regione ha già notificato il ri-affido decennale a Trenord ma, non avendo ancora trovato un’intesa sulle richieste economiche dell’azienda, continua a rinviare e, parallelamente, usando la scusa dello “stato d’emergenza” ha prorogato per quattro volte il contratto in essere con Trenord, scaduto nel 2019.
«Per vent’anni la Lombardia si è ispirata al modello bavarese, che per conformazione geografica e dinamicità è simile al nostro. I numeri sono inizialmente cresciuti, passando dai 400mila passeggeri del 2000 agli 820mila del 2019, ma negli ultimi quattro anni Trenord ha iniziato a tagliare le corse perché l’organizzazione industriale e le relazioni sindacali non consentivano di tenere il ritmo», racconta Paolo Beria, professore di Economia dei Trasporti al Politecnico di Milano.
Infatti, nei primi dieci mesi dell'anno i pendolari lombardi hanno fronteggiato 16 giornate di sciopero: «Per lo più indetti per una vertenza sui turni. E in ferrovia se il tre per cento del personale aderisce alla protesta, si ferma tutto», conferma Dario Balotta, presidente dell'Osservatorio Nazionale Liberalizzazioni Infrastrutture e Trasporti. Trenord, in un comunicato di febbraio dice che «la produzione del 2018, quando circolavano oltre 2.300 treni al giorno era un record effimero. Un così elevato numero di treni non è sostenibile e non consente di garantire un servizio di qualità: in Lombardia le infrastrutture sono sature, i binari non reggono tanto traffico ferroviario», lasciando intendere che la colpa è di Rfi, cioè delle Ferrovie dello Stato, che gestisce i binari e quindi l’inefficienza sta in capo a Roma.
«Di fatto c’è stato un taglio del cinque per cento dell’offerta rispetto al 2017, che per un’azienda che nel 2009 è stata creata per fare economia di scala e per dare corpo ai progetti regionali di aumento dell’offerta, non è proprio un gran risultato», commenta Beria, che continua: «Negli anni si sono fatti tagli soprattutto alle linee minori, quelle con meno passeggeri, per risparmi sui treni e sul personale da impiegare sul resto della rete. Il problema è che a fronte di questi tagli, non c’è stato alcun miglioramento sulla qualità e sulla produttività complessiva».
Post covid lo scenario cambia nuovamente: i passeggeri sono diminuiti di un terzo, come è avvenuto negli altri paesi. Ma mentre in Spagna e in Germania si è scelto di promuovere i mezzi pubblici abbassando il costo del biglietto, in Lombardia da questo mese viaggiare costa il 3,82 per cento in più a fronte di un ulteriore ridimensionamento delle corse. «La decisione di tagliare i treni più vuoti, quelli serali e festivi va a scapito degli obiettivi della Regione, che nei suoi piani puntava a offrire un servizio continuo e regolare lungo tutta la giornata e che finora ha funzionato. Inoltre, non essendo visibile una riduzione dei costi nei bilanci, il servizio diventa meno efficiente, poiché a fronte di sussidi pubblici invariati e biglietti aumentati, i treni sono sempre meno numerosi».
Tra il 2010 e il 2021 i ricavi sono passati da 613 a 760 milioni, ma i costi sono aumentati in egual misura. La voce che più è cresciuta è quella degli ammortamenti relativi alla manutenzione dei treni, vecchi e malandati o nuovi, complessi e costosi. «Questo significa che il costo al chilometro è al più costante, quindi con l’operazione Trenord non c’è stato né efficientamento, né economia di scala», tira le somme Beria. Ce n’è abbastanza per far sorgere qualche dubbio sull’imminente affidamento diretto a Trenord, eppure l'assessore ai Trasporti, Claudia Terzi tira dritto, perché «non si vorrà certo consegnare il servizio ferroviario regionale in mano a compagnie straniere, magari con sede a Parigi e Berlino».
Del resto, l'avversione leghista per gli stranieri è nota. Eppure, fa notare Dario Balotta, «che male ci sarebbe? Uscire dalla logica monopolistica ed entrare nella liberalizzazione ferroviaria ha giovato in tutta Europa. In Germania numerose linee sono gestite dalla multinazionale Arriva. La stessa Trenitalia gestisce ferrovie in Germania, Inghilterra e Grecia, e alla milanese Atm è affidata la metropolitana di Copenaghen oltre ad essere in corsa per una linea parigina». Anche il professor Beria è della stessa idea: «La soluzione è dividere il servizio ferroviario in più lotti e metterli a gara separatamente. Dati i numeri in gioco, ogni lotto sarebbe sufficientemente grande da generare il massimo di economie di scala esistenti. C’è poi una soluzione più “protezionistica”, e quindi più gradita alla giunta regionale, che non risolve il conflitto di interesse ma almeno eviterebbe di vincolare i piani della regione all’insufficiente capacità produttiva di Trenord. In pratica, si lascia temporaneamente a Trenord quello che è in grado di gestire efficacemente e si affidano con gara le linee che invece l’azienda ha dimostrato di non volere (o potere) più gestire. Lasciare la situazione così com’è sarebbe insostenibile, soprattutto per chi fa vita da pendolare».