Con Twitter ha ottenuto il suo megafono personale, con Space X può puntare a Marte. Licenzia migliaia di persone e chiede orari di lavoro mostruosi. Aiuta l’Ucraina con i suoi satelliti e poi la provoca proponendo piani di pace. Ritratto del simbolo estremo dell’ideologia tecno-liberista

Elon Musk, l’uomo più ricco e più spregiudicato del mondo, porterà davvero il suo uccellino blu a volare secondo le regole dell’Unione Europea? La sfida, che partirà dall’anno prossimo, quando Bruxelles avrà il potere di comminare multe salate alle società che non rimuovono contenuti illegali o che diffondono notizie false, è di quelle epocali. O meglio, esistenziali. Lo è per la credibilità dell’Europa che, priva di unicorni e ricca di regole, si è imposta come il gendarme digitale dell’Occidente. E lo è per Musk, l’imprenditore tutto genio e sregolatezza, che dovrà dimostrare, a se stesso innanzitutto, di stare lavorando non solo per un’astratta idea di umanità, come ha più volte ripetuto nel suo mezzo secolo di vita, ma soprattutto per il benessere degli umani.

 

Non sarà facile. L’Europa – e i suoi valori a tutela dei più deboli – è quanto più distante esista sul pianeta Terra dall’etica di un imprenditore che, cresciuto in Sudafrica al tempo dell’apartheid, tra il mito della superiorità di pochi su molti e l’esaltazione di quella che oggi chiameremmo maschilità tossica, ha scelto gli Stati Uniti come la nazione dove potere realizzare i sogni più arditi. A qualunque costo. Il licenziamento ultrarapido di oltre la metà della forza lavoro di Twitter a pochi giorni dal suo acquisto al prezzo folle di 44 miliardi di dollari (rispetto ai 5 di fatturato) non deve sorprendere. E non solo perché l’acquisto si è concluso all’inizio di uno dei periodi di “sboom” che il settore tecnologico americano sperimenta periodicamente dopo fasi di ascensione stellare – anche Meta e Google stanno licenziando migliaia di dipendenti dopo avere esagerato con le assunzioni nel periodo della pandemia. Ma soprattutto perché non c’è stata azienda dove Musk non sia stato cacciato (all’inizio della sua carriera) o non abbia cacciato. Nella sua visione del lavoro, non è importante l’uomo ma la missione, considerata salvifica, a vantaggio di una popolazione intrinsecamente deficiente ma perfettibile con l’ausilio della tecnologia. Come ha sottolineato il filosofo francese Eric Sadin, Musk impersonifica all’estremo l’ideologia tecno-liberista che in Europa abbiamo da tempo rifiutato. Chi non abbraccia visione, modi e ritmi (sempre irrealistici) del capo deve abbandonare. Come lui stesso scrisse ai dipendenti di Tesla, la prima azienda a costruire auto elettriche, che oggi in borsa vale tre volte Toyota nonostante produca una frazione delle vetture: «O mi scrivete un email dicendo dove sto sbagliando, o mi chiedete chiarimenti o fate quello che vi dico. Altrimenti ve ne andate».

Ma molto spesso contraddire Musk equivaleva, ed equivale, ad essere licenziati in tronco, indipendentemente dal merito. La riconoscenza non è uno dei suoi doni. In seguito al fallimento del primo lancio del razzo di SpaceX, la sua società spaziale, riuscì perfino a insultare pubblicamente l’ingegnere Tom Mueller che, vivendo per mesi in un garage accanto al sito di lancio, aveva reso possibile la realizzazione dell’idea di Musk: una “low-cost dello spazio” il cui obiettivo era produrre, con una piccola squadra di ingegneri, razzi (più semplici) e viaggi spaziali (meno ambiziosi) a una frazione dei costi sostenuti dalla Nasa. Naturale dunque che veda il lavoro a distanza, esploso durante il biennio pandemico e privilegiato dagli informatici, come fumo negli occhi: lo permette ai suoi dipendenti solo dopo le 40 ore di lavoro canonico in ufficio. Lui, che lavora 80 ore a settimana su una scrivania vicina alle altre, che considera le vacanze una iattura e che all’inizio di ogni nuova impresa ha dormito per giorni su un grande cuscino sotto la scrivania, si attende dai dipendenti un impegno e una dedizione simile.

 

Non a caso le aziende di Musk prediligono giovani ambiziosi appena usciti dall’università con il massimo dei voti o ex-militari abituati all’obbedienza. In Europa definiremmo questi comportamenti anti-sindacali: nella filiale francese di Twitter in questi giorni c’è una vera e propria levata di scudi contro il nuovo boss, con tanto di dipartita dell’amministratore delegato francese. Per non parlare delle ingegnere: in tante hanno tentato di lavorare in questa cultura machista in cui le molestie sessuali sono tollerate, per poi scappare a gambe levate. Inevitabile che dopo avere creato le sue prime aziende tra Silicon Valley e Los Angeles, nella California progressista, Musk abbia finito per traslocare in Texas, dove una politica di stampo repubblicano e tasse più basse gli sono più congeniali.

 

Eppure la dimensione delle sue ambizioni, l’infinita tolleranza per il rischio, ricompensata con guadagni miliardari, e la radicalità dei suoi comportamenti, ne hanno fatto una leggenda negli Stati Uniti, al punto di influenzare la scrittura di uno dei più famosi supereroi dell’universo Marvel: l’inventore miliardario Tony Stark. Idolo dal cuore digitale di milioni di ragazzini innamorati della tecnologia e incantati dalla sua lotta contro i mostri dell’umanità, Stark è nei film aiutato dalla rossa Pepper Potts, l’equivalente di una moderna badante. Nella realtà, Musk è stato affiancato per 12 anni dalla leggendaria segretaria tuttofare Mary Beth Brown, conosciuta come MB. Una nota di colore: Musk adora sostituire i nomi con delle lettere, al punto che un paio dei suoi nove figli, avuti da quattro donne diverse, sono chiamati X e Y. E così anche due delle sue creazioni aziendali: X.com e SpaceX.

 

L’imprenditore geniale non è diventato il personaggio impossibile e controverso di oggi solo grazie a una mente scientifica, una memoria prodigiosa e una smisurata fiducia in se stesso. L’arma nascosta è stata la sua famiglia, soprattutto il nonno Joshua Haldeman. Ricco e folle medico-imprenditore canadese, lasciò il Canada accusando il governo di eccessiva interferenza nella vita dei cittadini e ricostruì in Sudafrica, sfruttando i benefici dell’apartheid, un impero industriale. Prese a girare il Continente guidando un aereo senza strumenti, seguendo a volte solo una mappa topografica, accompagnato dalla moglie e dai tre figli, che trascinava in improbabili avventure fino al giorno in cui a 72 anni morì in un incidente aereo.

La sua filosofia genitoriale è stata trasmessa a Musk: i figli non hanno bisogno di supervisione perché sono capaci di qualsiasi cosa, basta che prendano la decisione di farla. Sarebbe stato orgoglioso del nipote. Dopo un’infanzia passata sui libri (“Il signore degli anelli” e “Guida galattica per autostoppisti” tra i preferiti), in giochi di ruolo con il fratello e, più tardi, sul Commodore 64, non ancora diciottenne, Musk userà proprio il Canada per farsi strada verso gli Usa e concretizzare il suo perenne sogno di sbarcare su Marte. Dopo i primi anni alla Queen’s University, Musk approda prima in Pennsylvania dove studia fisica e finanza, e poi a Stanford, che, nella tradizione degli imprenditori high-tech dell’epoca, lascia dopo pochi mesi per fondare, con il fratello, Zip2, la sua prima start-up. Gli darà i milioni necessari per fondere la sua prima impresa di servizi finanziari, X.com, nella PayPal del collega Peter Thiel. Ne verrà estromesso — un’umiliazione che non ha dimenticato — ma ne uscirà miliardario, con i mezzi per gettarsi nell’avventura spaziale e nelle auto del futuro.

 

Grazie alle imprese spaziali, che lo hanno portato a collaborare direttamente con il governo americano, è riuscito a inviare in orbita quell’insieme di satelliti, Starlink, che da quasi un anno permettono agli ucraini di comunicare durante l’invasione russa e a lui di mettere bocca nella politica internazionale. Un obiettivo, almeno al momento, più a portata di mano della creazione della vita su Marte. I risultati non sono quelli sperati.

 

Nel giro di mezzo autunno Musk ha offerto un piano di pace per l’Ucraina e ha offeso gli ucraini; ha postato un tweet sull’accesso a Internet degli iraniani che ha messo in pericolo i protestanti e ha suggerito un accordo tra Taiwan e la Cina che prevedeva la cessione parziale di potere di Taiwan a Pechino. Dimostrando, ancora una volta, una totale assenza di empatia per le sorti degli uomini e delle donne del pianeta in cui vive. Che sarà ora di Twitter, la piazza più grande dell’intellighenzia mondiale? Musk ha fatto sapere in un tweet che è solo «un’accelerazione per creare X (ndr: l’ennesima), l’applicazione di tutto»: un connettore di tutti i social, un impero della comunicazione digitale mondiale. Sempre a patto di guardarsi le spalle e di non fare la fine di Tony Stark.