Il gioco d’azzardo è monopolio delle mafie: e i biglietti vincenti, anonimi fino all’incasso, diventano la pezza d’appoggio per giustificare il possesso di fondi neri

Dai quattro agli otto milioni a estrazione, tre volte a settimana. È la cifra che viene distribuita dalla Sisal ai vincitori del SuperEnalotto quando non vengono centrate combinazioni molto fortunate, come il 5+1 o il 6. Le ricevitorie possono pagare in contanti fino a 5.200 euro, ma è possibile richiedere anche un assegno bancario non trasferibile; per importi superiori il pagamento è sempre tracciato. Con i Gratta e Vinci funziona alla stessa maniera.

 

Biglietti vincenti anonimi fino al momento dell’incasso che possono circolare liberamente quasi fossero una moneta alternativa e che diventano la pezza d’appoggio per giustificare con l’Erario il possesso di somme di denaro di provenienza oscura. Una grande lavanderia alla luce del sole, perfettamente legale, che mette al riparo piccoli e medi evasori fiscali, spacciatori, uomini del racket, funzionari corrotti, camorristi e mafiosi che così sottraggono enormi somme di denaro alle confische. Riciclaggio à la carte in un Paese in cui, secondo i dati Istat, ancora oggi l’economia sommersa ammonta a poco più di 183 miliardi di euro mentre quella delle attività illegali supera i 19 miliardi.

 

La trasformazione del nero in bianco attraverso il gioco va avanti da decenni, ma, con il proliferare delle lotterie e delle scommesse, è diventata più sofisticata e di difficile controllo. I piccoli evasori sono fuori della portata dei radar: è sufficiente avere un rivenditore amico per acquistare una decina di migliaia di euro in ticket vincenti dei Gratta e Vinci, non ancora messi all’incasso, e poi “cambiarli” altrove, con pagamento tracciato. Una tecnica molto diffusa, ma, visti gli importi relativamente modesti, mai indagata a fondo. Ben altri volumi di denaro, invece, riguardano il SuperEnalotto (o, in passato, il Totocalcio).

In più occasioni le Procure antimafia si sono imbattute in capitali considerevoli nelle mani di soggetti legati a clan mafiosi, giustificati da vincite provvidenziali. Impossibile dimostrare che i tagliandi fortunati non fossero stati giocati proprio da chi, ai controlli, aveva esibito la ricevuta del bonifico fatto dalla Sisal. Fortuna che, in almeno due casi, le verifiche hanno toccato uomini legati ai Casalesi del clan Zagaria: un miliardo di lire a tale Nicola Fontana; novecentomila euro alla famiglia Balivo, che se li è visti restituire una decina di giorni fa dalla sezione per le Misure di prevenzione di Santa Maria Capua Vetere, unico bene sfuggito alla confisca. Hanno dimostrato che quei soldi erano frutto di un tredici, nel primo caso; di giocate vincenti puntando sulle date di nascita di parenti, nell’altro.

 

Un habitué delle vincite al gioco legale era anche il napoletano Maurizio Prestieri, poi diventato collaboratore di giustizia, che esponeva i biglietti vincenti (del Lotto) in un bar del rione Monte Rosa. I dubbi sono tanti e tali sono destinati a rimanere. Ma non è trascurabile un altro dato: i centri scommesse, le sale gioco, la distribuzione di slot e vlt, le ricevitorie Sisal, in Campania e in Sicilia, sono state per decenni monopolio assoluto di famiglie mafiose o strettamente collegate a esse. È storia giudiziaria lo smantellamento dell’impero dei fratelli Grasso, napoletani, che gestivano decine di ricevitorie legali e la distribuzione delle macchinette in tutta la Campania. Un comparto con migliaia di addetti che, inutilmente, la Dda di Napoli e il giudice delegato ai sequestri hanno cercato di salvare dal fallimento.

 

L’ultima trattativa, naufragata durante il lockdown, riguardava la vendita in blocco dei totem e delle sale gioco a Sisal e Lottomatica. Aveva raccontato Renato Grasso, che da imputato nel suo processo (aveva già una condanna per estorsione e associazione camorristica) aveva reso una lunga testimonianza: «I miei fratelli ebbero la grande opportunità di ottenere dei contratti in esclusiva per la distribuzione delle New slot in tutta Italia a favore di oltre 2.500 ricevitorie e agenzie». Accordo raggiunto quando i centri gestiti o controllati dalla sua famiglia erano quasi 200. L’impero dei fratelli Grasso, nel momento in cui era intervenuta la Dda 13 anni fa, arrivava a 2.660 punti scommessa, con 288 ricevitorie in Campania, 119 nel Lazio e altre centinaia in Abruzzo, Toscana, Lombardia, Sicilia, Calabria, Puglia. Gestori dei concessionari Lottomatica attraverso la Wozzup srl, raccoglievano oltre 100 milioni l’anno di giocate. Altrettanto attraverso la King slot. I rapporti con Sisal passavano attraverso la DueGi, incassando dal 2004 al 2008 oltre 635 milioni di euro.

La vicenda giudiziaria di Grasso e della sua famiglia non si è ancora conclusa. Fallite le società, a casa i dipendenti, su Renato e il fratello pendono condanne pesanti, ma solo di primo grado. L’inchiesta della Dda è datata 2009: 97 indagati e 29 arrestati. Secondo l’accusa, Renato aveva stretto patti con i principali clan della camorra napoletana e casalese per l’imposizione dei propri videopoker, versando in cambio una consistente parte degli introiti ai camorristi. La prima sentenza è del 2019: la nona sezione del Tribunale di Napoli (presidente Antonio Pepe) ha condannato cinque persone e ha ordinato la confisca di dieci società riconducibili ai fratelli Grasso. Nella sentenza, però, non c’è l’aggravante di aver gestito l’attività illegale nell’agro aversano per conto della camorra, prevista dalla Direzione Distrettuale Antimafia ed esclusa per quasi tutti i capi di imputazione. Tra gli imputati, 30 sono stati assolti, cinque i condannati: Renato Grasso a 16 anni; Francesco Grasso a 10 anni e 8 mesi; Luigi Di Serio a 3 anni e 8 mesi; Salvatore Giuliano e Giuseppe Misso a 3 anni e 4 mesi.

 

Alterne decisioni dei giudici, invece, nel processo sulle sale Bingo gestite direttamente dai Casalesi (famiglie Schiavone e Russo) in provincia di Caserta. L’inchiesta è stata smembrata in vari tronconi, conclusi solo in parte. Chiuse tutte le piattaforme online gestite un tempo dalla famiglia Schiavone: centri di sommesse che hanno fruttato centinaia di milioni di euro, ma che, soprattutto, hanno consentito di esportare valuta nei Paesi dell’Est e a Malta. Un eccellente veicolo per ripulire il denaro proveniente da droga ed estorsioni.

 

Sono stati oltre 117 miliardi di euro i soldi spesi, nel 2021, nel gioco legale; la previsione per il 2022 è di 140 miliardi. Molto online (soprattutto giochi da casinò e scommesse sportive), moltissimo nelle ricevitorie: lotterie, lotto, estrazioni istantanee. Secondo i dati diffusi dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli nel Libro Blu appena pubblicato, in calo slot machine e vlt, a causa del distanziamento per il Covid-19 e all’aumento dei controlli. Ed era in questo particolare segmento che, fino al 2017, chiunque poteva convertire in denaro tracciato qualunque somma posseduta senza giustificazione. Oggi, per acquistare le fiches è necessario fornire il codice fiscale; ma fino alla modifica di tutti i distributori automatici di gettoni era sufficiente inserire il denaro e, subito dopo, richiederne la restituzione. La macchinetta rilasciava uno scontrino che, portato alla cassa, si trasformava di nuovo in denaro, ma pagato con bonifico bancario. Era impossibile sapere se quei soldi erano frutto di una vincita o, appunto, di un semplice cambio.

 

Ma piattaforme online, sale, ricevitorie sono ancora tutte in piena attività. Collateralmente, il servizio di ripulitura del denaro offerto a pagamento: una commissione oltre all’aggio legale riconosciuto dallo Stato. Ed è così che il denaro per la corruzione ha smesso di viaggiare nelle ingombranti e visibili valigette di un tempo per prendere la forma e la sostanza di un biglietto vincente. Perfettamente legale.