Il rinnovo del contributo è importante «Anche se la limitazione delle risorse permetterà a meno persone di accedervi». Ma per Camussi, docente di psicologia alla Bicocca, tutelare la salute mentale significa puntare sulla prevenzione

«Il bonus psicologo è nato come reazione a una situazione di un’emergenza. Per rispondere alle forme di disagio e di sofferenza che la pandemia ha provocato o accentuato nelle persone», spiega Elisabetta Camussi, professoressa di psicologia sociale all’Università Milano-Bicocca e presidente della Fondazione del Consiglio nazionale degli psicologi, Adriano Ossicini. «Perché è stato subito chiaro che i servizi territoriali normalmente erogati non sarebbero stati in grado di far fronte alla numerosità delle richieste. Anche a causa del progressivo indebolimento che negli ultimi anni hanno subito».

Per Camussi, sebbene il contributo economico pensato per garantire un accesso più egualitario ai percorsi di supporto psicologico non sia stato in grado di rispondere all’emergenza per cui è stato creato - solo poco più del 10 per cento delle quasi 400 mila richieste presentate nel 2022 è stato accolto - ha avuto un ruolo importante nella normalizzazione del tema della salute mentale. «Per parlare della salute nella sua accezione complessiva, non come mera assenza di malattia, ma come benessere fisico, mentale e sociale dell’individuo».

Il bonus psicologo è stato riconfermato dalla manovra economica. Anzi diventa permanente, ma diminuiscono le risorse a disposizione: dai 25 milioni di quest’anno ai 5 per il 2023. Che cosa ne pensa?
«Il suo rinnovo è una buona notizia perché dimostra come il tema della salute mentale stia guadagnando spazio nella società, anche se la limitazione delle risorse permetterà a meno persone di accedervi. La riduzione dei finanziamenti per i prossimi anni, infatti, se non accompagnata da altri investimenti per il potenziamento dei servizi sul territorio e da azioni di prevenzione che passino anche attraverso la scuola, i luoghi di lavoro, i Comuni e le comunità nel complesso, ripropone una visione della psicologia solo in ottica emergenziale. Mentre i dati dicono che servono sistemi per riconoscere il bisogno psicologico nelle persone».

Resta la soglia Isee fino a 50 mila euro. Ma tra le modifiche al bonus c’è l’aumento della cifra a disposizione di ogni richiedente: da 600 a 1500 euro. Perché?
«Non è possibile definire a priori la durata dei percorsi di supporto in quanto dipendono dalla tipologia di bisogno di ogni persona. Poter beneficiare di una quantità di denaro che è sempre minima ma che permette un maggior numero di incontri dà alla persona la possibilità di affrontare un percorso più valido. Inoltre, la società contemporanea è complessa e i bisogni psicologici non sono destinati a ridursi. Ma se da un lato aumentano, dall’altro diventano facilmente riconoscibili. Così progetti di prevenzione sono sempre più necessari anche per un miglior impiego delle risorse a tutela della salute mentale: tanti studi dimostrano che i costi per risolvere situazioni di disagio conclamato sono tre volte superiori a quelli per proteggere il benessere della popolazione. Occorre uscire dall’idea che il supporto psicologico sia un privilegio di alcune classi sociali. È un diritto di tutti che fa parte della salute dell’individuo, come indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità».

La maggior parte delle richieste per il bonus nel 2022 sono arrivate da under 35. Sono quelli che stanno peggio o hanno maggiore consapevolezza?
«I giovani hanno fatto più richieste per il bonus non solo perché sono quelli che hanno subito di più l’impatto della pandemia ma anche perché sono dotati di strumenti culturali che gli hanno permesso di superare lo stigma nella richiesta di aiuto. Dall’altro lato, infatti, tra coloro che restano esclusi dal bonus non c’è soltanto chi non rientra per reddito o per indisponibilità dell’investimento monetario, ma anche quella grande parte di popolazione che per mancanza di strumenti non è in grado di formulare la propria richiesta di supporto. Persone che hanno difficoltà nel rendersi conto delle criticità che connotano la loro vita e nel capire come risolverle. Ecco perché è necessaria una forte implementazione dei servizi, attraverso leggi che regolamentino in maniera equa tutto il territorio nazionale».

La salute mentale degli italiani sta migliorando con il ritorno alla vita pre-Covid?
«I dati non parlano di miglioramenti. Perché criticità diverse hanno impattato, seppur diversamente, sulle differenti categorie sociali, proprio per la specificità delle conseguenze che l’esperienza pandemica e post-pandemica ha avuto sulle persone. Penso alla situazione delle donne, degli anziani, o di chi ha perso il lavoro, dei bambini oppure degli adolescenti, ad esempio. Ma anche perché alle conseguenze della pandemia si uniscono quelle della pesante recessione economica che stiamo vivendo. E l’impatto di eventi collettivi come la guerra in Ucraina, territorialmente prossima e molto presente nel nostro immaginario, non facilita la costruzione di una progettualità lineare per il futuro».