Il Consiglio d’Europa – organizzazione internazionale con il compito di salvaguardare i diritti umani dei cittadini di 46 Stati del continente europeo – lavora da anni a un trattato in cui si accetta la possibilità che, a certe condizioni, le persone con disturbi mentali e disabilità possano ricevere trattamenti sanitari contro la propria volontà e venire internate. Dopo una lunga pausa, il processo di definizione di questo documento è stato rilanciato e ad aprile l’Assemblea del Consiglio d’Europa esprimerà il proprio parere. Il testo è un protocollo aggiuntivo alla Convenzione sui diritti umani e la biomedicina. Datata 1997 e nota come Convenzione di Oviedo, è stata il primo strumento giuridico internazionale al mondo vincolante su questi temi; l’esempio più eclatante del suo utilizzo è il divieto di clonazione degli esseri umani.
Due organizzazioni non governative – Mental Health Europe (Mhe) ed European Disability Forum (Edf) – sono le capofila della campagna #WithdrawOviedo, nata nel 2014, per chiedere di ritirare il protocollo sulla salute mentale. Il documento ha, fin dal primo istante, sollevato proteste e malumori, durati anni. Anche grazie alla pressione di #WithdrawOviedo, nel 2022 il Consiglio ha sospeso per un biennio la discussione sul protocollo. Adesso che la sospensione è scaduta, anche chi si oppone è tornato in prima linea. Il protocollo «fa molto poco per proteggere effettivamente i diritti umani; invece, crediamo che crei una cornice per continuare a utilizzare la coercizione come mezzo di assistenza sanitaria per la salute mentale e che si opponga direttamente al diritto internazionale sui diritti umani, inclusa la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità», riassume a L’Espresso John Patrick Clarke, vicepresidente dell’Edf.
L’approvazione del protocollo comporterebbe problemi sul piano sia giuridico sia culturale. Da una parte abbiamo la Convenzione Onu, la quale, «invece di limitarli, afferma che i diritti delle persone con disabilità dovrebbero essere promossi e, in tal senso, non dovrebbero esistere divieti o restrizioni del diritto alla libertà», spiega Kristijan Grđan, consulente senior per i diritti umani di Mental Health Europe. Dall’altra parte, il protocollo legittima pratiche coercitive «affermando che sono ammissibili fintantoché siano rispettate determinate garanzie». Sono due approcci diversi e approvare il secondo documento «culturalmente e politicamente renderebbe più difficile sostenere cambiamenti progressisti che si discostino dall’uso della coercizione e che siano basati sul rispetto dell’autonomia» delle persone, aggiunge Grđan.
Giampiero Griffo, membro del board dell’Edf e di Disabled Peoples’ International Europe, ha contribuito alla stesura proprio della Convenzione Onu. «L’elemento di difficoltà – sostiene – è che l’interpretazione di documenti sui diritti umani sarebbe diversificata a seconda del Paese o dell’appartenenza a un’organizzazione internazionale». Griffo sottolinea inoltre che – a differenza che in Italia, dove i manicomi civili sono stati chiusi con la legge Basaglia – i trattamenti sanitari involontari, che il protocollo vorrebbe normare, si terrebbero anche in contesti nazionali nei quali i manicomi sono attivi. L’impatto di questo quadro sull’Italia è complesso, da valutare. Noi finora abbiamo solo firmato, ma non ratificato la Convenzione di Oviedo: di conseguenza, non siamo vincolati nemmeno ai suoi documenti aggiuntivi. Resterebbe, comunque, teoricamente possibile per noi ratificare insieme Convenzione di Oviedo e protocollo sulla salute mentale, se approvato. In ogni caso, anche senza implicazioni giuridiche, l’affermazione del protocollo al Consiglio d’Europa sarebbe comunque un lasciapassare culturale a favore dell’internamento di chi ha disabilità e problemi di salute mentale. E questo dato si inserirebbe nel complesso di un Paese, il nostro, in cui i servizi pubblici per la salute mentale sono fiaccati da anni di scarso finanziamento e mancanza di personale.
Grđan porta l’esempio di ciò che è avvenuto in Croazia, il suo Paese, dopo l’approvazione della nuova legislazione in materia di salute mentale nel 2015. Discostandosi dalla Convenzione Onu, i legislatori croati hanno seguito per i trattamenti coercitivi una strada simile a quella delineata dal Consiglio d’Europa, rendendoli possibili a patto che si realizzi una serie di garanzie. In dieci anni la coercizione non si è ridotta, bensì è aumentata, «giustificata dal fatto che il personale non è sufficientemente istruito o che non c’è abbastanza personale in ospedale per supportare le persone con problemi di salute mentale; quando arrivano, è più facile legarle al letto e lasciarle così», racconta Grđan, aggiungendo che è una situazione molto comune in tutta Europa. Le organizzazioni non governative, in queste settimane, stanno facendo pressing sui parlamentari che siedono nell’Assemblea del Consiglio d’Europa per cercare di farli votare contro il protocollo. Dopo che l’Assemblea si sarà espressa, toccherà all’organo decisionale del Consiglio, il Comitato dei ministri; in ultima istanza, la decisione sarà sempre di tipo politico.
«Il Consiglio d’Europa – conclude Clarke – ma anche altre istituzioni europee non hanno aggiornato i loro modi di pensare al nuovo standard che è emerso con la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. E così anche molte altre organizzazioni, molti operatori sanitari della salute mentale e molti politici», aggiunge. Tracciando una strada ancora lunga da percorrere.