Seicentomila sono in attesa di un alloggio popolare, 150mila a rischio sfratto. Ma ci sono solo 9 miliardi di euro previsti per l’emergenza abitativa nel Pnrr. In percentuale il Portogallo riesce a stanziare il quadruplo

Imad, 71 anni, egiziano, vive in una casa popolare del quartiere di San Siro a Milano. Con l’aumento delle bollette dell’ultimo periodo fa fatica ad arrivare a fine mese. Le crepe che scorrono sui muri riflettono il suo stato d’animo. L’appartamento di Carla è stato inagibile per mesi dopo che un incendio, causato da un rogo di materassi appiccato da residenti abusivi, è scoppiato al piano di sopra. Dal soffitto colava un liquido nero, misto di detriti liquefatti dalla pioggia. Sono solo due delle tante facce dell’emergenza abitativa in Italia. I sindacati degli inquilini stimano tra 120 e 150mila le famiglie a rischio sfratto. Il patrimonio di edilizia residenziale pubblica è insufficiente. In tutta Italia, scrive Adriano Labbucci, segretario di Sinistra Italiana di Roma metropolitana, sono più di 600mila le domande in graduatoria inevase per mancanza di alloggi.

 

Secondo i rappresentanti degli inquilini, nel Pnrr la precarietà abitativa non riceve la dovuta attenzione. I fondi totali per “rigenerazione urbana e housing sociale” ammontano a 9 miliardi, il 4,7 per totale del totale. Nel Piano di ripresa in Portogallo, per l’accesso alla casa sono previsti 2,7 miliardi su un totale di 16,6, il 16 per cento.

«Dobbiamo considerare che da anni in Italia non esiste un piano strutturato. Partiamo molto indietro rispetto ad altri Paesi, in termini di incentivi agli affitti e alloggi sociali», afferma Francesco Corti, docente di governance economica dell’Unione europea alla Statale di Milano. «Inoltre, la complessità delle regole a cui i Comuni si devono attenere, una timeline molto serrata e dei costi di gestione non finanziabili con il Pnrr, rischiano di mandare concretamente a vuoto un numero consistente di bandi».

 

A Napoli da dieci anni non viene fatto un bando di assegnazione di case popolari. La giunta non è in grado di quantificare, se non attraverso le 10mila richieste di regolarizzazione, i cittadini bisognosi. «I numeri sono enormi, abbiamo bisogno di maggiori investimenti», dice David Lebro, presidente di Acer Campania, che nella provincia di Napoli possiede 28.843 alloggi di cui 2.810 occupati e 9.105 abitati da famiglie morose. Per Lebro il problema principale nella città è, insieme all’aumento dei prezzi nel centro storico dovuto alla proliferazione delle case destinate agli affitti brevi, proprio l’impossibilità di assegnare gli alloggi pubblici per la mancanza di una graduatoria aggiornata: «Quando si liberano, per decesso o trasloco, siamo costretti a murarli per scongiurare le occupazioni. É inammissibile».

 

«Per anni il problema dell’abitare non è stato trattato in una prospettiva integrata», spiega Laura Lieto, professoressa alla Federico II e assessora all’Urbanistica di Napoli: negli anni precedenti la competenza non era in capo a un singolo assessorato, bensì divisa tra le deleghe all’urbanistica, al welfare e al patrimonio. «Stiamo creando una struttura di missione dedicata per fornire un aiuto a chi non è in grado di sostenere un affitto e per poter far fronte alla domanda di accesso alla casa. Senza una fotografia del sommerso è impossibile attuare una politica abitativa efficace».

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«È necessaria una mappatura del patrimonio abitativo, oltre che una riforma per l’assegnazione delle case popolari», afferma anche Amedeo Ciaccheri, presidente del Municipio VIII di Roma. «Dobbiamo lavorare alla costruzione di un’agenzia comunale della casa, fondamentale per correggere un mercato in cui circa un terzo degli appartamenti è di proprietà del pubblico». Un mercato che, da solo, non garantisce il diritto all’abitare a tutti i cittadini romani. Nel 2021 ci sono state 20mila richieste per una casa popolare, contando anche quelle rifiutate per vizi nella presentazione, di cui circa 500 accolte. Secondo la Caritas sono 4mila i provvedimenti esecutivi di sfratto sospesi durante la pandemia e ancora bloccati grazie a una nuova moratoria. Una stima del 2019 di Roma Capitale contava 57mila famiglie, circa 200mila persone, in condizione di disagio ed emergenza abitativa. Prima della pandemia. «Una città in queste condizioni non può permettersi un’altra macelleria sociale», chiosa Ciaccheri.

 

Una soluzione al disagio abitativo potrebbe in parte consistere nella riqualificazione dei 161 immobili (al 2019) dimenticati dalle proprietà, sia pubbliche che private. «Una riqualificazione che deve essere però a beneficio dei cittadini, non degli investitori, come è accaduto fino ad ora», specifica Michelangelo Ricci, attivista dello Spin Time Labs, “cantiere di rigenerazione urbana” nel quartiere di San Giovanni di Roma. Qui chi occupa gli alloggi lo fa perché non ha un altro posto dove andare. E sempre qui il centrosinistra romano ha fatto le primarie per scegliere il candidato sindaco. Una sentenza del Tar dello scorso gennaio ha dato il via libera allo sgombero dell’immobile affinché il proprietario, la società Investire Sgr, lo possa riqualificare. «Sarebbe una vergogna se il Comune non intervenisse», il commento di Ricci.

 

Come a Roma, anche a Bologna il Comune, che ha stipulato un accordo con il prefetto e stanziato 800mila euro per aiutare chi sta vivendo l’incubo degli sfratti, sta lavorando a un intervento più aggressivo sul mercato immobiliare: «Stiamo costruendo un’agenzia sociale della casa che possa svolgere un ruolo da regista. Così da stimolare i proprietari, con incentivi e garanzie, ad abbassare i prezzi, e convincerli a darci una percentuale degli alloggi. È nostro dovere garantire il diritto all’abitare, imprescindibile per vivere una vita dignitosa e da cui si dipanano tutti gli altri diritti», spiega Emily Clancy, vicesindaca e assessora alla Casa e alle Pari opportunità.

Il diritto di abitare
Un’emergenza chiamata casa: il disastro delle politiche abitative in Italia
16/2/2021

Nel 2021 ci sono state 10mila richieste di aiuto a pagare l’affitto. Negli anni precedenti la media era di 1.800. Condizione necessaria a garantire a tutti questo diritto è anche una regolamentazione degli affitti brevi: tra il 2014 e il 2019 c’è stato un aumento dei pernottamenti del 44 per cento, che ha portato a 5mila alloggi destinati a questo uso e a una diminuzione di 748 affitti a canone concordato tra il 2017 e il 2018. «Questo tipo di speculazione non è possibile», sbotta la vicesindaca. «I proventi del turismo devono essere distribuiti equamente tra tutti i cittadini».

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«In assenza di un accordo solido tra il Comune di Palermo e i proprietari, troppe persone fanno fatica a pagare l’affitto di un appartamento», denuncia Nino Rocca, storico attivista del capoluogo siciliano. Sono 9.571 i nuclei familiari in attesa di un alloggio. Ma nella città, a oggi, non ci sono nuove case popolari da assegnare. Nel 2021 sono stati solo 13 i beni assegnati confiscati alla criminalità organizzata.

 

«Viviamo una condizione di emergenza abitativa molto grave», denuncia anche Maria Mantegna, assessora alla Casa e alla dignità abitativa della giunta palermitana. «Attraverso l’agenzia per la casa abbiamo aiutato più di mille famiglie e regolarizzato parte dei contratti insolventi negli appartamenti pubblici, ma c’è un problema di occupazioni che non riusciamo a gestire». Anche per il problema della mafia, specificano sia Rocca che Mantegna, che, pur con modalità diverse dal passato, ostacola l’assegnazione. «Penso che in generale manchi una politica abitativa a livello nazionale in grado di risolvere la precarietà», riassume Mantegna.

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«Il tema dell’emergenza abitativa non è stato trattato con la dovuta attenzione dal governo», dice anche Federico Bottelli, presidente della commissione Casa del Consiglio comunale di Milano. Nella città i sindacati stimano tra 15 e 20mila le famiglie a rischio sfratto. «Servono 283 milioni solo per ristrutturare gli appartamenti di proprietà del Comune. Soldi che non ci sono». Oltre alla mancanza di fondi pubblici e un costo della casa (più di 5mila euro al metro quadro in media) inaccessibile anche a famiglie di reddito medio basso, a Milano un ostacolo è rappresentato dai rapporti conflittuali tra il Comune e la Regione Lombardia che, attraverso Aler, possiede 36.499 alloggi su un totale di 64.609. Una delle critiche più frequenti che vengono mosse all’azienda, la cui gestione è stata definita fallimentare da Beppe Sala, riguarda il regolamento per l’assegnazione degli alloggi popolari. Nel 2021 sono state pubblicate due graduatorie, da 9.900 e 8.800 richieste, per circa 3mila appartamenti di cui 500 non assegnati. «Se la politica rimanesse fuori, le cose sarebbero diverse», afferma Angelo Sala, presidente di Aler Milano e vicepresidente di Federcasa, che aggiunge: «Serve un intervento pubblico più deciso. Ogni anno non incassiamo 40 milioni di morosità incolpevole. Le case non sono gratuite, né per noi né per il Comune». L’importante, afferma Bottelli, è che si lavori tutti per uno stesso obiettivo: «dare una casa a chi non se la può permettere. Non è ammissibile che in una città come Milano, che attrae investimenti da tutto il mondo, chi è in difficoltà economica rimanga emarginato».

 

Al netto delle differenze politiche, di priorità diverse, di una capacità di intervento più o meno forte, una considerazione viene condivisa pressoché da chiunque: il diritto alla casa non viene garantito a tutti i cittadini. Serve un intervento pubblico più deciso per risolvere la precarietà abitativa.