Olha Klymovska è uno degli undici psicologi di Proliska, una organizzazione non governativa che offre sostegno umanitario e psicologico alla popolazione coinvolta nel conflitto

Quando nei territori dell’Ucraina orientale hanno iniziato a sentire vicina l’escalation che avrebbe portato all’invasione russa, Olha e i suoi colleghi hanno insegnato ai civili le tecniche di stabilizzazione psicologica che conoscono. Esercizi di respirazione, rilassamento muscolare progressivo, tapping e altre metodi per gestire l’ansia in vista della guerra imminente. Hanno spiegato loro come il corpo reagisce allo stress e che si tratta di una reazione normale date le circostanze anormali: «Questo aiuta le persone a gestire meglio la situazione e i loro sintomi». Olha Klymovska è uno degli undici psicologi di Proliska, una organizzazione non governativa ucraina partner locale dell’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Dall’inizio delle ostilità in Donbass nel 2014, l’organizzazione, nell’area a contatto con le zone separatiste, offre sostegno umanitario alla popolazione coinvolta nel conflitto, occupandosi anche della loro salute mentale.

Le risposte della psicologa arrivano a singhiozzo da un rifugio a Kharkiv, città dell’est vicina al confine con la Russia, tra le più colpite; l’intervista è solo uno dei punti della sua lunga lista di cose da fare tra un bombardamento e l’altro, quando la connessione internet lo consente.

Nelle sue parole è netta la demarcazione tra un prima e un dopo il 24 febbraio 2022, giorno in cui Putin ha lanciato la sua offensiva su larga scala. Prima, le persone venivano raggiunte dove si trovavano e persino «dopo l’escalation dal 17 febbraio abbiamo continuato a fare visita a casa alle persone, offrendo supporto psicologico, materiali per le riparazioni di emergenza e altri aiuti», racconta Olha. Dopo la data di inizio della guerra, si è ritrovata a coordinare dal rifugio antiaereo le azioni sul campo della Ong, che cerca comunque di essere presente tra i civili, condividendo informazioni, prestando soccorso, gestendo la crisi. Anche le sessioni di ascolto psicologico non si sono interrotte, e Olha ha continuato a tenersi in contatto via messaggi e telefonate con le persone che supporta.

Proliska nel 2019 ha riportato che in circa un anno gli undici psicologi avevano aiutato oltre 1200 ucraini, raggiungendo 400 insediamenti lungo la linea di contatto con le aree separatiste del Donbass. Gli assistiti, che sono seguiti individualmente fino a 12 sedute, sono rappresentati in gran maggioranza da donne e più della metà hanno un’età compresa tra i 18 e i 59 anni, ma non mancano anche over sessantenni e bambini. I sintomi che dichiaravano già prima di questo nuovo capitolo bellico erano ansia, depressione, pensieri suicidi, disordini del sonno, situazioni conflittuali in famiglia, a scuola o sul lavoro. È l’effetto persistente che la guerra comporta anche sul piano della salute mentale, che secondo quanto riporta sul suo sito Medici senza Frontiere colpisce una persona su 5 durante una crisi umanitaria e che non ha risparmiato l’Ucraina dopo il 2014. E la sta rimettendo a dura prova oggi.

«Molte persone devono affrontare traumi, disturbi post-traumatici da stress, problemi come depressione, ansia, abuso di sostanze, e hanno bisogno di aiuto. Ma alla fine in tanti ne escono più forti», spiega Olha. A fare la differenza sono diversi fattori, che intervengono positivamente per far stare meglio le persone che hanno assistito a violenze, bombardamenti e stravolgimenti della vita quotidiana: «Può trattarsi della comunicazione interpersonale, del supporto ricevuto dalla famiglia e dalla comunità di appartenenza, della soddisfazione di bisogni di base e di ogni genere di assistenza professionale: legale, medica o psicologica».

Già negli ultimi anni l’Ucraina presentava numeri preoccupanti sul fronte del benessere psicologico della popolazione. Secondo i dati pubblicati dal portale Our World in Data, nel 2019 la presenza di disturbi depressivi diagnosticati nella popolazione Ucraina era al 4,2 per cento contro il 3,59 per cento della media mondiale, dalla quale poco si discosta l’Italia, al 3,83 per cento. E va ancora peggio se si confronta il numero di morti per suicidio ogni centomila abitanti: la media mondiale è del 9,39 ma nel Paese est europeo sono stati 26,34: dal 1990 al 2019 sono aumentati del 35 per cento.

L’Ucraina è stata anche inserita tra i sette Paesi destinatari dell’iniziativa speciale designata dall’Organizzazione mondiale della sanità per la tutela e l’accesso alle cure per la salute mentale, che dovrebbe coprire il quinquennio 2019-2023. In un documento pubblicato dall’Oms nel luglio 2020, si segnalava come, nonostante gravasse ancora un pesante stigma sulla salute mentale, l’opinione pubblica ucraina stesse lentamente aprendosi.

Poi, è arrivato il 24 febbraio. «È importante spiegare cosa succede e cosa provano le persone», rimarca Olha. La sua previsione per il futuro non è delle migliori: gli effetti psicologici di questa nuova guerra saranno simili quelli riscontrati dopo il 2014, ma su una scala spaventosamente più larga. Infatti non coinvolgeranno solo le popolazioni del Donbass e quelle a contatto con esse, che lei ha assistito in prima linea, ma tutto il Paese.  

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