Manovre di corridoio, colpi di mano e scalate di Borsa: nell’ultimo mezzo secolo gli scontri di potere dentro le Generali, crocevia e gioiello della finanza italiana, si sono risolti lontano dal mercato, frutto di accordi, molto spesso sottobanco, gestiti nelle segrete stanze di Mediobanca. Dai tempi di Enrico Cuccia e Antoine Bernheim fino ai ribaltoni che nell’arco tra il 2011 e il 2016 hanno messo fuori causa Cesare Geronzi poi Giovanni Perissinotto e infine Mario Greco, la successione al vertice di un colosso che gestisce oltre 500 miliardi di risparmio nazionale è sempre andata in scena senza passare dall’assemblea dei soci, che ratificava scelte discusse altrove.
Quest’anno invece è in cartellone una prima assoluta, almeno per la storia recente del Leone di Trieste. La sfida tra gli opposti schieramenti che si contendono il controllo della compagnia verrà decisa il prossimo 29 aprile. Da una parte Mediobanca, che sostiene lo status quo, dall’altra la cordata di Francesco Gaetano Caltagirone alleato con Leonardo Del Vecchio, che vuole portare alla presidenza il banchiere d’affari Claudio Costamagna con amministratore delegato Luciano Cirinà, già top manager del gruppo triestino. Gli azionisti di Generali saranno chiamati a esprimere una preferenza tra due liste alternative di candidati per il consiglio di amministrazione, ciascuna accompagnata da un piano industriale che traccia la rotta della società per i prossimi anni.
Philippe Donnet
In vista della resa dei conti di fine mese, nei giorni scorsi i contendenti si sono affrontati a suon di interviste ai giornali, non sempre all’insegna del fair play. Caltagirone ha scomodato la parola “guerra” per descrivere la contesa su Generali. Non proprio una gran trovata, con i tempi che corrono. Tanto nervosismo si spiega con il valore della posta in palio. Solo negli ultimi 12 mesi, Caltagirone e Del Vecchio hanno speso in totale più di un miliardo per comprare titoli del Leone con l’obiettivo di dare la spallata finale al sistema di potere di Mediobanca, che sostiene l’amministratore delegato uscente Philippe Donnet. Grazie agli ultimi acquisti in Borsa, i due scalatori hanno ormai superato la soglia del 18 per cento del capitale, a cui va aggiunto un altro 1,7 per cento in portafoglio alla Fondazione Crt loro alleata. Il fronte opposto può invece contare su una quota del 18,8 per cento circa, che comprende il 17,4 per cento targato Mediobanca, compreso un 4,4 per cento di titoli presi in prestito, e un altro 1,4 per cento del gruppo De Agostini.
Queste in breve le forze in campo, ma a decidere la partita saranno risparmiatori e investitori istituzionali, che insieme valgono almeno il 50 per cento del capitale. I cosiddetti azionisti retail sono più di 150 mila e controllano una quota del 20 per cento, ma quasi tutti si limitano a incassare il dividendo senza schierarsi in assemblea. Ben diverso è il peso dei gestori professionali del risparmio, che in base ai dati più recenti sarebbero in grado di muovere un altro 30 per cento del capitale. Il resoconto dell’anno scorso certifica che fondi d’investimento, asset manager e casse previdenziali si presentarono all’assemblea forti di un 23 per cento circa delle azioni totali e sarebbe una sorpresa se a fine mese la partecipazione fosse di molto inferiore.
Tra i grandi gruppi internazionali che hanno puntato centinaia di milioni sul gruppo assicurativo italiano ci sono marchi famosi della finanza globale come Blackrock, che all’assemblea del 2021 possedeva 18 milioni di titoli (1,2 per cento del capitale), Vanguard forte un anno fa di 35 milioni di azioni (oltre il 2 per cento), il governo norvegese (24 milioni), il Fondo pensione degli impiegati pubblici della California (8,7 milioni), la Banca nazionale svizzera (4,5 milioni). Questi colossi, così come decine e decine di altri investitori internazionali, in genere scelgono come schierarsi nelle numerosissime assemblee a cui partecipano sulla base delle valutazioni formulate da consulenti specializzati. I due più importanti si chiamano Glass Lewis e Iss (Institutional Shareholder Services) e nei giorni scorsi hanno preso posizione sul tema Generali, arrivando entrambi alla medesima conclusione. I proxy advisor, come viene definita in gergo tecnico questa particolare categoria di consulenti, hanno invitato i loro clienti a votare la lista del consiglio, cioè quella sostenuta da Mediobanca che conferma Donnet nel ruolo di amministratore delegato. Per gli scalatori è un brutto colpo. Perché è vero che siamo di fronte a semplici raccomandazioni di voto, ma l’esperienza del passato insegna che la netta maggioranza degli investitori di solito tende a seguire questi consigli.
Francesco Gaetano Caltagirone, Claudio Costamagna e Luciano Cirina
Caltagirone, ovviamente, tira diritto. Si è messo alla testa di quella che ha definito una «guerra d’indipendenza» delle Generali attaccando Mediobanca per i suoi presunti «conflitti d’interesse» nella gestione del gruppo assicurativo e ha annunciato, in caso di vittoria, una riforma dei regolamenti interni per «dare al mercato la trasparenza che si merita». Questo elenco di buoni propositi non sembra però aver convinto i consulenti di fondi e asset manager internazionali. Nel suo rapporto finale, Iss fa notare che le critiche di Caltagirone arrivano con un «tempismo strano», visto che il costruttore romano è stato per 14 anni amministratore e da ultimo, fino al gennaio scorso, anche vicepresidente di Generali senza opporsi a tutte le più importanti scelte strategiche del gruppo assicurativo.
Sul giudizio negativo dei proxy advisor ha forse pesato anche il confronto tra le recenti dichiarazioni d’intenti dello scalatore e la gestione delle sue società quotate in Borsa, che negli ultimi anni sono finite più volte nel mirino delle critiche degli investitori istituzionali. Già nel giugno 2019, la grande maggioranza dei fondi internazionali si oppose alla delibera con cui l’azionista di maggioranza Caltagirone propose di trasferire la sede legale del gruppo Cementir in Olanda per pagare meno tasse.
La proposta alla fine passò ugualmente, visto che la famiglia del costruttore capitolino possiede oltre il 70 per cento del capitale, ma la netta maggioranza degli altri soci presenti in assemblea, con una quota complessiva del 5 per cento, votò contro il trasloco ad Amsterdam. Un copione simile è andato in scena anche nei due anni seguenti, nel 2020 e nel 2021. Gli investitori stranieri, a parte poche eccezioni, hanno fatto fronte comune per bocciare la politica di remunerazione di Cementir, cioè i criteri con i quali vengono stabiliti i compensi per i componenti del board della società, a cominciare dall’amministratore delegato Francesco Caltagirone, figlio del patron del gruppo, Francesco Gaetano. All’assemblea del 2020 gran parte dei fondi internazionali presenti in assemblea votò anche contro la rielezione di Caltagirone junior nel consiglio di amministrazione. Particolare importante: il compenso di Francesco Caltagirone nel 2020, fissato con il voto dell’azionista di controllo, cioè la famiglia Caltagirone, ammontava a 5 milioni di euro. Una somma superiore a quanto hanno guadagnato i capi di due delle più grandi istituzioni finanziarie europee: Carlo Messina di Intesa, con 4,7 milioni, e lo stesso Donnet di Generali che non è andato oltre 4,5 milioni.
Dal resoconto assembleare di due anni fa emerge anche che tutti gli amministratori di Cementir sono stati proposti dal consiglio uscente e quindi sottoposti al voto dei soci. In altre parole, Caltagirone ha di fatto scelto il nuovo board della sua società quotata in Borsa usando una procedura molto simile a quella che invece lo stesso Caltagirone ha aspramente criticato quando è stata adottata dal consiglio di Generali.
Vediamo che cosa è successo. Nell’autunno scorso, i legali del costruttore si erano rivolti alla Consob per chiedere se fosse legittima la presentazione di una cosiddetta «lista del cda» da parte del gruppo di Trieste. Il timore di Caltagirone era che il consiglio, a suo parere dominato da Mediobanca, perpetuasse in questo modo il potere della banca d’affari nella compagnia triestina. Dopo lunga riflessione, l’Authority di controllo sui mercati finanziari in gennaio ha risposto dando in sostanza via libera, pur con alcuni correttivi, a una pratica fin qui poco utilizzata in Italia. Il consiglio di Generali ha quindi presentato una propria lista di candidati che, come detto, verrà sottoposta ai soci all’assemblea del 29 aprile. Caltagirone ha però confermato le sue critiche e in una recente intervista al Sole 24Ore ha definito la lista del consiglio uno «strumento che viene utilizzato nelle società dove il capitale è frammentato, dove non esistono soci che possano esprimere e sostenere dei candidati». Una regola che evidentemente non vale nel caso della sua Cementir con sede in Olanda, dove il consiglio uscente nel 2020 ha scelto tutti gli amministratori.