Intervista
«Con la vittoria di Macron ha prevalso ancora una volta la personalizzazione della politica»
«È stata una riconferma per mancanza di alternative. Ma non sembra interessato a risolvere i problemi dei cittadini francesi. Nel Paese, come nel resto d’Europa, si fa sempre più fatica a intercettare le difficoltà e le ansie dei giovani e delle classi sociali più povere». Dialogo con Mattia Diletti, docente all’Università Sapienza di Roma
«Macron è stato riconfermato un’altra volta grazie al rifiuto verso l’estrema destra della società francese. Che però è stanca di questa politica. Il sistema della Quinta Repubblica (dal 1958 a oggi, caratterizzata da uno spiccato accento presidenzialista, ndr) non regge più». Mattia Diletti, docente di Scienza politica all’Università della Sapienza di Roma, commenta la rielezione di Macron a Presidente della Repubblica francese, 58,5 per cento contro il 41,5 di Le Pen, con un tasso di astensione del 28 per cento. È la prima volta dal 1965 che un capo di Stato viene rieletto mentre è in carica con un primo ministro dello stesso schieramento politico. «Anche se ci sono aspetti positivi del suo primo mandato, non penso che sia in linea con le esigenze e le sofferenze dei cittadini francesi, e soprattutto che abbia interesse a risolverli».
Sondaggi confermati, Macron al secondo mandato consecutivo da presidente. Vittoria arrivata, come cinque anni fa, grazie al voto utile contro Marine Le Pen?
«In buona parte, ma non solo. Da fuori osserviamo un Paese spaccato in due in cui l’azione disgregatrice dal centro ha indebolito i due partiti tradizionali, i Repubblicani e il Partito Socialista, che erano le fondamenta della Quinta Repubblica. È il risultato di un misto di convincimento di una parte dei cittadini francesi e della scelta, non entusiasmante, dell’usato sicuro e di mancanza di alternative. Di una paura verso l’estremismo, solo in parte nascosto, di Le Pen, ancora una volta abbastanza forte da non farla vincere. Tuttavia, Macron non esce così bene da queste elezioni.»
Jean-Luc Melénchon, il cui elettorato ha avuto un ruolo determinante nella sua conferma, ha detto che è «il Presidente eletto nel modo peggiore di questa Repubblica».
«C’è da dire che erano 20 anni che un presidente non veniva riconfermato. Ma la presenza di una parte consistente di Francia che continua a non fidarsi di Parigi è dovuta al fatto che lo sviluppo degli ultimi cinque anni ha lasciato indietro porzioni periferiche, in senso sia geografico che sociale, che si sentono defraudate. Persone che non vivono i benefici dei settori di sviluppo prediletti da Macron, riconfermati anche nel suo programma elettorale. Sarà un problema difficile da affrontare in questo suo secondo mandato.»
Una critica molto frequente è che il suo partito, La République En Marche, manca di una visione della società. Si trova d’accordo?
«Sicuramente c’è una visione della Francia all’interno dell’Unione europea, dove tutti hanno tirato un sospiro di sollievo: l’idea di un Paese che afferma i suoi interessi geopolitici, l’asse francotedesca, la centralità strategica militare verso l’oriente e l’est Europa. Al contempo, quasi tutti i politici delle democrazie europee fanno fatica a costruire una visione di società. Non è un problema solo francese. Il tema più importante in questo momento è la percezione di assenza di accesso alle opportunità che hanno troppe persone, a partire dai giovani, passando per la classe media che perde potere reale di acquisto, identità, status socioculturale. Il problema è che Macron non sembra interessato a rispondere a queste domande. Non è in linea con le esigenze e le necessitàdi questo momento storico. La domanda principale è: ha l’interesse, e dunque la volontà, di andarvi incontro? Come tutti i politici in questo momento, Macron pensa a se stesso. Si misurerà nelle ambizioni personali e vediamo dove andrà a parare.»
Le “sofferenze del popolo” sono state invece al centro della campagna elettorale di Le Pen. Che al primo turno ha preso il 36 per cento dei voti degli impiegati e della classe operaia. Quali sono le sue previsioni per le legislative del 12 e 19 giugno?
«In questo momento è molto difficile rispondere. Lo scenario più probabile è che, come spesso accade, riflettano, con un astensionismo molto più alto, i risultati delle elezioni presidenziali. Anche perché il sistema elettorale è sempre maggioritario. L’aspetto più interessante a mio parere sarà il regolamento dei conti all’interno dei partiti di destra. Ormai sono anni che è parte strutturale della politica francese, ma arrivati a questo punto serve una riconversione. “Non vincere mai fa male”. Già Le Pen ha tentato la dediabolisation, almeno in apparenza, e Zemmour ha tentato la via di un nazionalismo ancora più estremo. Entrambe le idee non hanno funzionato, e ora c’è il rischio di una frana.»
Tornando a Melénchon, che ha lanciato l’idea di fare il primo ministro, come può capitalizzare l’ottimo risultato del primo turno?
«In primis intestandosi la sconfitta di Le Pen, che ha detto chiaro e tondo di non votare al suo elettorato. Qui è giusto anche notare come sia sbagliato l’appiattimento fatto in queste due settimane, tra primo e secondo turno, tra estremismo di sinistra ed estremismo di destra. Almeno in questo caso, sono due cose molto diverse. La sua politica è sì caratterizzata da una forte personalizzazione e da un rifiuto dello status quo che mal si addice a un ruolo governativo, ma non riconoscere i problemi e il malessere a cui ha dato voce nel suo programma elettorale è profondamente controproducente. Ovviamente vorrà ottenere il massimo alle elezioni di giugno, come dimostrano anche le dichiarazioni subito dopo i primi risultati, e darà battaglia a Macron nel corso del suo secondo mandato.»