Per trasformare l’oro blu algerino tornano due progetti di vent’anni fa per Gioia Tauro e Porto Empedocle. Ma ci vogliono 2,5 miliardi di euro e quattro anni di lavori in zone dove la criminalità organizzata è forte

Imbattibili nell’arte di farsi cogliere di sorpresa, gli strateghi della politica energetica italiana affrontano la crisi del gas russo con armi polverose e progetti abbandonati da anni. Ma quando l’arsenale è vuoto e il futuro è incerto, un vecchio arnese è meglio di niente. E qui gli arnesi sono ben due. I rigassificatori di Porto Empedocle e Gioia Tauro sono tornati di moda a distanza di diciotto e diciassette anni dalla loro prima apparizione sulle mappe ministeriali in era di dominio berlusconiano, quando l’Italia ha iniziato la sua progressiva sterzata verso la democratura di Vladimir Putin e ha aumentato le forniture russe fin oltre il 38 per cento del fabbisogno nazionale nel 2021, con 29 miliardi di metri cubi comprati a Mosca su un totale di 76,2 miliardi.

 

La svolta mediterranea voluta da Mario Draghi e imposta dalla guerra sta riorientando le rotte del gas verso l’Algeria, dove l’ad dell’Eni Claudio Descalzi ha visitato i dirigenti della Sonatrach all’inizio di aprile. Nel nuovo contesto Sicilia e Calabria diventano pedine importanti per evidenza geografica. Ma la geografia non è tutto e i tre rigassificatori a Porto Viro (Rovigo), Panigaglia (La Spezia) e sul Tirreno fra Pisa e Livorno resteranno i soli in attività per molti anni ancora, se pure i nuovi progetti da 2,5 miliardi di euro complessivi saranno ripristinati.

La partita dell’energia
Caccia al gas, cosa chiede l’Algeria per liberare l’Italia dal ricatto di Vladimir Putin
8/4/2022

Su questa massa di denaro aleggia lo spettro familiare della criminalità organizzata. ‘Ndrangheta, Cosa nostra e, in passato, anche Stidda hanno concentrazioni parossistiche nelle due aree individuate. E come nel caso da manuale del ponte sullo Stretto, torna d’attualità il dilemma degli investimenti in zone mal controllate dallo Stato.

 

L’impianto siciliano ha la storia più travagliata, condita da battaglie politiche, sindacali e giudiziarie. L’ultima sentenza risale a due mesi fa quando il Tar ha respinto il ricorso del Comune empedoclino contro il rigassificatore. Era il 15 febbraio, nove giorni prima dell’invasione dell’Ucraina. Ma la vicenda è iniziata ad agosto del 2004 quando la società Nuove energie ha presentato l’istanza di costruzione alla Regione siciliana. Per i tempi italiani si è partiti con discreta velocità. Alla fine del 2005 è stata indetta la conferenza dei servizi, ad agosto 2008 il ministro dell’ambiente, la siracusana Stefania Prestigiacomo, ha licenziato la valutazione d’impatto ambientale con qualche prescrizione e dopo un anno la giunta regionale di Raffaele Lombardo ha concesso l’autorizzazione. Intanto Nuove energie era stata acquisita dal gruppo Enel nel 2007 con firma dell’ad Fulvio Conti.

 

Da quel momento, si calcolavano quattro anni di lavori e 800 milioni di investimenti per realizzare un impianto capace di lavorare 8 miliardi di metri cubi all’anno, quanti ne processa Porto Viro, il rigassificatore italiano più capace.

 

La battaglia si è subito spostata sul piano politico con schieramenti che, oltre un decennio dopo, rimangono immutati. Oggi come ieri sul fronte del sì ci sono i sindacati della triplice unita come non mai. A dire no, gli ambientalisti con Italia Nostra e Legambiente in testa, l’amministrazione comunale e parti non trascurabili dell’Ars, l’assemblea regionale dove oggi tuona contro il rigassificatore il grillino Giovanni Di Caro che stigmatizza la collocazione dell’impianto fra la Valle dei templi e la Scala dei turchi.

L’assessora regionale all’energia, Daniela Baglieri, ha riacceso l’allarme del fronte di opposizione dichiarando che il progetto, sepolto all’inizio del 2022, è stato riesumato in fretta e furia con la disponibilità di Enel Global Trading a realizzarlo. Nel frattempo, il prezzo è già raddoppiato a quota 1,5 miliardi di euro. In compenso, secondo stime ottimistiche, possono bastare tre anni per completare l’impianto.

 

Su un piatto della bilancia ci sono gli aspetti occupazionali in un’area dove l’offerta di lavoro è sempre stata carente. Sull’altro, motivazioni che vanno dal rilancio dell’area turistica sull’onda del commissario Montalbano all’eccessiva concentrazione di impianti energetici in Sicilia, fra Gela, Milazzo e Priolo Gargallo.

 

Chi si oppone al rigassificatore empedoclino sottolinea anche i rischi di infiltrazioni criminali e ricorda un’indagine della Dda di Palermo del 2013 che aveva portato a un sequestro parziale dell’area individuata per l’impianto. Nel 2016, però, l’ipotesi di una pista mafiosa è caduta e l’inchiesta è stata girata alla Procura di Agrigento dove le indagini sarebbero ancora in corso. Con la giunta in scadenza per le regionali che si terranno in autunno non è da escludere un via libera in zona Cesarini da parte del presidente in carica, Nello Musumeci, che punta a ricandidarsi.

 

Se in Sicilia si pensa già alla campagna elettorale, in Calabria Roberto Occhiuto è a inizio mandato, dopo la larga vittoria dell’ottobre 2021. L’ex capogruppo forzista alla Camera, in visita all’Expo di Dubai, ha espresso entusiasmo incondizionato verso il nuovo rigassificatore a San Ferdinando-Gioia Tauro con lo slogan: «La ‘ndrangheta fa schifo ma non deve diventare un alibi per non fare investimenti». Sullo stesso tono sono arrivate le dichiarazioni di Gianni Vittorio Armani, ad di Iren, la multiutility che è socia di Lng Medgas Terminal insieme a Sorgenia e alla mantovana Belleli della famiglia Tosto.

 

Sotto il profilo autorizzativo la vicenda dell’impianto calabrese è una fotocopia di quella siciliana. Lng Medgas ha presentato istanza al ministro dello sviluppo economico, il berlusconiano Antonio Marzano, a marzo del 2005. A dicembre 2009, dopo la valutazione ambientale, la conferenza dei servizi ha dato il via libera e ha demandato l’approvazione finale al Mise. Il ministro del governo Monti, Corrado Passera, l’ha concessa a febbraio 2012 con l’appoggio della giunta regionale di Giuseppe Scopelliti. L’anno seguente è arrivata la doccia fredda. Medgas ha ottenuto dal ministero la sospensione dell’inizio lavori in attesa che l’autorità portuale ottenesse la concessione demaniale con parere favorevole del consiglio superiore dei lavori pubblici. Dietro questo stop c’era la crisi di Sorgenia, al tempo controllata dal gruppo Cir della famiglia De Benedetti e sommersa da 2 miliardi di debiti.

 

Oggi Sorgenia è passata di mano, è stata risanata ed è pronta a rimettere mano all’impianto che dovrebbe essere realizzato nell’area industriale di San Ferdinando per un costo previsto di 1 miliardo di euro e una capacità di 12 miliardi di metri cubi annui, quasi un sesto del fabbisogno nazionale.

 

Anche qui il fronte è diviso. Dopo la visita al porto del ministro Enrico Giovannini, favorevole al rilancio del progetto, il sindaco di Gioia Tauro ed ex Cgil Aldo Alessio si è mostrato possibilista dopo anni di opposizione delle amministrazioni locali. Resta contrario il suo collega Aldo Tripodi, sindaco di San Ferdinando mentre il terzo comune dell’area, Rosarno, è stato sciolto per mafia per la terza volta dopo l’arresto del sindaco su ordine della Dda di Reggio a gennaio 2021. Tre commissariamenti sono toccati anche a Gioia Tauro e uno, prorogato, a San Ferdinando. La ‘ndrangheta sarà un alibi ma per ora è un alibi di ferro.