Esterno notte, Marco Bellocchio nel corpo e nel cuore del caso Moro

Presentata a Cannes la miniserie da oggi nelle sale italiane (e in autunno su Rai1). Che si concentra, anche grazie a un cast eccezionale, la dimensione intima, dunque tragica, di tutti i personaggi coinvolti. Con pagine tanto più efficaci quanto più libere e paradossali

Il caso Moro come tuffo vertiginoso in una follia tutta italiana, con politici ma anche psichiatri, mitomani, veggenti, intercettazioni che non svelano nulla se non la profondità dello psicodramma vissuto da un intero paese (e in buona parte pilotato da governo, servizi segreti, televisione).

I 55 giorni di sequestro del presidente Dc, che stava per varare un governo sostenuto dal Partito Comunista, visti non tanto dai luoghi del Potere ma da quelli dell'intimità, in cui del Potere si avvertono gli effetti più remoti e pervasivi: case, cucine, sale da pranzo, camere da letto, perfino confessionali (momento geniale: la brigatista Adriana Faranda che becca il compagno Valerio Morucci a lamentarsi con un prete delle loro difficoltà di coppia).

Il dramma politico più devastante del dopoguerra scandagliato, ma in parte anche reinventato, in 6 episodi da 55 minuti che non illuminano chissà quali retroscena ma ci portano con crescente emozione nel corpo, nel cuore e talvolta nell'inconscio dei protagonisti.
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Presentato in anteprima al Festival di Cannes, da oggi nelle sale italiane (subito i primi tre episodi, dal 9 giugno gli altri, in autunno su Rai1), “Esterno notte” arriva a quasi vent'anni dal film con cui Marco Bellocchio affrontò la prima volta il caso Moro, “Buongiorno, notte”, riprendendone in chiave ipotetica la trovata più “scandalosa” e paradossale, quella che vedeva il presidente Dc sopravvivere al rapimento. Ma approfitta della struttura da miniserie, della stringatezza del linguaggio tv e dell'eccellenza del cast, per cambiare ogni volta agilmente punto di vista.


Prologo e epilogo, più corali, sono dominati anche umanamente dalla figura di Moro (impressionante Fabrizio Gifuni, al culmine di un lungo lavoro anche teatrale sullo statista). I quattro episodi centrali invece esplorano altrettanti microcosmi. Ci sono i tormenti di Cossiga (Fausto Russo Alesi) e quelli di Paolo VI (Toni Servillo). Le lacerazioni vissute in casa Moro (con Margherita Buy nei panni della moglie del leader Dc) e quelle, non solo politiche ma sempre inevitabilmente anche personali, che dividono i brigatisti. Da un lato, maggioritaria, l'ala dei duri, che non vuole concedere nulla al nemico ed è decisa a eliminare l'ostaggio in ogni caso. Dall'altro chi, come Adriana Faranda (Daniela Marra), si pone problemi non solo umanitari ma politici. Perché condannare Moro al martirio facendo un favore proprio alla Dc, che lo abbandona, lo denigra e lo delegittima fin dal primo momento? E poi, siamo proprio sicuri che la fiammata di entusiasmo generata dal sequestro nelle frange più estreme dell'ultrasinistra sia un buon investimento (è il succo della bella scena in cui le BR discutono col “mediatore” Lanfranco Pace)?

La discussione potrebbe portare lontano, ma Bellocchio (con Stefano Bises, Ludovica Rampoldi e Davide Serino alla sceneggiatura) non si avventura sul terreno scivoloso dei retroscena e dei manovratori occulti. Anche il contesto internazionale è sintetizzato nella figura di un consigliere “amerikano”, come si diceva allora, che la sa lunga ma in definitiva capisce poco d'Italia e di italiani. Mentre a emergere con forza in “Esterno notte” è la dimensione intima, dunque tragica, di tutti i personaggi coinvolti, dai protagonisti ai semplici comprimari. Con pagine tanto più efficaci quanto più libere e paradossali. Tanto che alla fine della maratona – sono 330 minuti - a restare in testa non sono tanto le scene più a effetto, la visione di Moro che trascina una croce, l'invettiva di Cossiga contro quella congrega di generali (“tutti massoni o ex-fascisti”) che non farà nulla per salvare il rapito, o le rapide sintesi del quadro politico (con una sola apparizione per Craxi e poco più per Berlinguer).

No, ad accompagnarci, anche a visione finita, è Moro che a tarda sera, solo, si fa l'uovo al tegamino in cucina; è Cossiga che prega la moglie di farlo dormire con lei; sono Faranda e Morucci travolti da raptus erotico (il che non impedisce a lei di portarsi la pistola in camera da letto); sono il ghiaccio e il fango, così simbolici, del Lago della Duchessa. Senza dimenticare la furibonda discussione in cui Faranda scopre che il suo compagno non crede alla rivoluzione, anzi è vocato alla sconfitta (“Hai ucciso cinque padri di famiglia e non ci credevi! Io per la causa ho lasciato mia figlia, ho abortito, e tu non ci credevi...”).

Difficile comunque credere che “Esterno notte” farà l'unanimità. Qualcuno magari, dopo la scomunica preventiva di Maria Fida Moro, accuserà Bellocchio di aver romanzato troppo, o di aver dato eccessiva dignità ai terroristi, o di aver semplificato il quadro politico. Ma la forza di questa miniserie così anomala sta proprio nella molteplicità dei punti di vista, nello sguardo quasi “psicopatologico” poggiato sui protagonisti, nella capacità di evocare un'intera epoca con tocchi anche bizzarri (accanto a poche doverose immagini di repertorio, e ad alcune citazioni cinematografiche, compare un immaginario film sul sequestro girato quasi in diretta). Lasciando sulle spalle di Moro e delle sue lettere, mai abbastanza lette e commentate, il peso dell'emozione più autentica. “Vorrei capire con i miei piccoli occhi mortali – scrive nell'ultima indirizzata a sua moglie – come ci si vedrà, dopo. Se ci fosse luce sarebbe bellissimo”.

 

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