Quella di Pasquale Petrolo è una carriera che viene da lontano. Radio, fumetti, cinema, tanta televisione. Oggi tutti lo esaltano per la caricatura nata a Lol. Ma l’attore è una solida certezza. Come dimostra ancora una volta la serie (molto) comica su Prime

Pasquale Petrolo detto Lillo ha creato il suo primo supereroe nei fulgenti anni Ottanta. Si chiamava NormalMan e raccontava le gesta di Pier Maria Carletti, un uomo cento volte più stupido del normale che grazie ai superpoteri riusciva a raggiungere la media. Esilarante già all’epoca del fumetto, NormalMan diventò una rubrichetta dentro al programma “Sei Uno Zero” che ancora oggi, dopo vent’anni tondi tondi e una serie di premi portati a casa, continua a essere una delle realtà più gustose del convento radiofonico. A Lillo, col suo compagno di viaggio Claudio Gregori detto Greg, si devono anche le avventure musicali della band Latte e i suoi Derivati, una nutrita presenza sul piccolo schermo tra cui la fondazione de “Le Iene”, e poi partecipazioni illustri, compagnie di grido, musical, doppiaggio, parecchio teatro e una trentina di titoli cinematografici.

Poi all’improvviso, dopo tutto questo lavoro pazzo e disperatissimo riservato ai cultori della materia comica, Lillo si veste da Posaman, poggia i pugni sui fianchi e con questa cagata pazzesca, giusto per citare il maestro dei maestri, diventa una star dalla popolarità sfacciata. Sembrerebbe detta così una breve storia triste. E in effetti per certi versi lo è, se non fosse che l’approdo finale, ovvero la serie su Prime Video “Io sono Lillo” fa ridere parecchio, come non succedeva da tempo. E lascia spazio persino a una riflessione. Nonostante la lunghezza eccessiva e una storia che cerca di far tornare i conti a tutti i costi, non solo riesce a mettere insieme una banda di comici e una sfilza di battute da far impallidire la nuova stagione di “Boris” (da cui prende in prestito nomi di prima grandezza, dai Guzzanti a Pietro Sermonti, Lundini, Giraud, Fanelli).

Ma soprattutto mette nero su bianco una sorta di autobiografia su questo destino barbino, in cui l’alter ego in tuta e occhiali prende il sopravvento e diventa il personaggio invasivo, il giullare estremo che sgomita a tutti i costi sino a diventare il protagonista da far fuori per cercare di sopravvivere all’inconsistenza. Perché quello che viene in mente non sono tanto le citazioni altissime da “Birdman” a “Batman”, quanto la cattiva pratica a cui ci ha abituato la tv ordinaria, quella che lascia spazio all’inutile in barba all’utile, che salta di palo in frasca tanto alla fine è tutto uguale e che soprattutto si impegna a creare fenomeni inconsistenti come falene dalla vita breve. Perché, come dice un impeccabile Paolo Calabresi nella citazione di Wilde in chiusura di serie, «nella vita reale ai nostri buffoni tocca il ruolo di Amleto e i nostri Amleti devono fare i buffoni».

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DA GUARDARE
Emanuela Fanelli da Morena, con quel raro tocco tra il perplesso e lo stupefatto, si srotola come un filo per legare due racconti del passato che farebbero assai bene anche al futuro. Da rivedere (RaiPlay) con “I magnifici 4 della risata”, da aspettare (Rai Tre) in “Illuminate” dove racconta Franca Valeri. Tutti giganti, lei compresa.

 

MA ANCHE NO
Se per assurdo aveste perso su Real Time l’ennesima intervista esclusiva a quel logorroico del principe Harry, niente paura. Tutte le accuse nei confronti della Casa Reale contenute nella sua nobile autobiografia si potranno recuperare su Discovery Plus. Perché lo sanno tutti che i panni sporchi si lavano in tv.

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