Cultura
1 giugno, 2022

Chloé Jafé: «Così ho convinto le donne della yakuza a spogliarsi per fotografare i loro tatuaggi segreti»

Una carpa, una fenice, un drago. La fotografa francese ha immortalato i segni legati alla mitologia incisi sui corpi femminili di una potente famiglia mafiosa di Tokyo. Il progetto “I give you my life” esposto a Reggio Emilia

«Stavo per rinunciare a questo progetto fotografico quando ho deciso di darmi un’ultima possibilità e partecipare a un famoso festival giapponese dove gli yakuza possono mostrare i loro tatuaggi. Proprio lì, dopo una lunga giornata, ho incontrato casualmente il boss. Doveva andare così».

Chloé Jafé, fotografa francese che si è formata all’École de Condé di Lione e alla Ual Central Saint Martins School di Londra, racconta il suo paziente e particolarissimo lavoro in mostra fino al 12 giugno a Reggio Emilia (Chiostri di San Pietro) nell’ambito del festival “Fotografia Europea 2022-Un’invincibile estate”, promosso e prodotto da Fondazione Palazzo Magnani insieme al Comune e alla Regione Emilia Romagna. Protagoniste degli scatti le donne della yakuza, mafia giapponese del XVII secolo, tra le più potenti al mondo.

Come è strutturato il progetto di “I give you my life” che ha portato in Italia?
«Si basa principalmente su una famiglia di Tokyo, quella del capo, e su figure femminili indipendenti legate in qualche modo all’ambiente. Questo lavoro è il primo capitolo di una trilogia che comprende “Okinawa mon amour”, realizzato su un’isola bellissima poco conosciuta dagli europei e “Osaka Ben”, dedicato al mio incontro con Jiro, già aggregata alla yakuza, di cui sono diventata amica».

In che modo è riuscita a entrare in contatto con il mondo yakuza, notoriamente maschile e quanto tempo ha impiegato per realizzare le foto?
«Ho tentato diverse strade. I primi tempi ero basata nel quartiere a luci rosse di Tokyo, Shinjuku, ma non vedevo progressi. Le notti finivano inevitabilmente con qualche bicchiere di troppo (lo Shōchū, un distillato giapponese, ndr) e poche informazioni. Mi imbattevo in delinquenti vari ma nessuno di loro era uno yakuza. Finalmente un giorno mi invitarono a fotografare un gruppo di hostess in una zona elegante della città: in quel momento capii che dovevo essere una di loro e dimenticare per un po’ la macchina fotografica. Questo tipo di attività è generalmente in mano alla yakuza ma non ha nulla a che vedere con la prostituzione. Ho imparato molto: delle donne, degli uomini, delle serate a Ginza, della società giapponese nel suo complesso».

Chloé Jafé

Da dove nasce l’interesse verso il Giappone e la sua cultura?
«Penso sia iniziato da una scommessa con un’amica in un bar di Parigi: all’epoca lavoravo come assistente di studio e non vedevo l’ora di scappare. Lei aveva rotto con il suo ragazzo. Decidemmo di partire alla volta del Giappone. Amore a prima vista. Sicuramente tornare è stato più difficile che andare: ho impiegato un po’ di tempo per riconoscere il mio paese e riconnettermi al mio io francese».

Ma chi sono davvero e come vivono le donne che ha fotografato?
«Sono mogli, figlie, fidanzate o compagne di lavoro di un yakuza: forti, coraggiose e con un senso dell’onore innato. Il mondo sotterraneo a cui appartengono è patriarcale come il resto del Giappone. Quindi devono attenersi alle regole. Non hanno un modello di riferimento. I loro bellissimi tatuaggi, detti Irezumi, sono legati alla mitologia: una carpa, una fenice, un drago. Simbolo di determinazione e di resistenza al dolore. E hanno una matrice spirituale».

Chloé Jafé

Quali sono stati i luoghi in cui ha ambientato gli scatti?
«Molte foto sono impostate, una sorta di diario personale. Per esempio, ho fotografato il boss ovunque mi chiedesse di incontrarlo: nei ristoranti, in ufficio, a casa sua. Alcuni ritratti di donne svestite li ho realizzati nei sentō, i bagni pubblici giapponesi: un luogo dove ci si spoglia comunque ed è naturale mostrare i tatuaggi. E poi l’inchiostro sotto la pelle diventa ancora più bello e sensuale immerso nell’acqua calda».

Chloé Jafé

E per il futuro, a cosa sta lavorando?
«A un’edizione speciale del terzo capitolo di questa trilogia giapponese che vede protagonista Osaka, la città con il più alto tasso di criminalità: senzatetto, prostitute, ex criminali, transessuali, anarchici ed emarginati di ogni età popolano il quartiere di Nishinari o Kamagasaki, controllato dalla yakuza. Lontano dalle tradizioni e dai giudizi conformisti, Nishinari ha le sue leggi. È l’altra faccia del Giappone».

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