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La sfida possibile di Beto O’Rourke, il democratico che vuole strappare il Texas ai repubblicani
È indietro nei sondaggi rispetto al governatore uscente Abbott, ma su quattro temi molto delicati potrebbe approfittare delle incertezze dell’avversario: aborto, latini, centri rurali e armi possono ribaltare tutto
«Non succede, ma se succede…»: è più o meno questo lo spirito della campagna elettorale, condotta, contro l’evidenza stolida della realtà e quella un po’ pigra dei numeri, da Beto O’Rourke, candidato democratico a governatore in Texas, lo Stato repubblicano per antonomasia.
In realtà per O’Rourke (che tutti chiamano familiarmente Beto) si tratta della seconda corsa: la prima, la condusse nel 2018, candidandosi al Senato contro Ted Cruz. E, come era scritto, perse. Di un soffio,ma perse. Con il miglior risultato mai ottenuto da un democratico in Texas dopo il 1994.
Anche a questo giro, tutto lascia pensare che potrebbe perdere ancora. Contro di lui ci sono i numeri (i sondaggi lo danno indietro), l’inerzia elettorale che tira tutta verso i conservatori (il Texas non elegge un governatore democratico dal 1994), la popolarità del governatore in carica Greg Abbott e, visto che siamo in America, i soldi: il governatore ha a disposizione per la sua campagna circa 50 milioni di dollari, il doppio secco di Beto.
Ma ad alimentare le speranze di O’Rourke e del suo staff ci sono altre cose. Anzi: a essere precisi, le stesse cose: i numeri (i sondaggi lo danno sì, indietro, ma di pochissimo), l’inerzia elettorale, che sì, tira verso i repubblicani, ma che da anni vede i numeri dei democratici crescere; infine la popolarità del governatore Abbott che è ai minimi storici (solo il 42 per cento degli elettori ne ha un’opinione favorevole). Quanto ai soldi, O’Rourke li ha raccolti a tempo di record (appena tre mesi) e per lo più in piccole donazioni da 5 o 10 dollari. Poi c’è il fattore carisma: Abbot ne è poco dotato; Beto, invece, ne ha da vendere, con le sue camicie sudate, la capacità di rispondere a braccio per ore a centinaia di domande e contestazioni durante gli incontri pubblici, la sua storia e le sue movenze da ex chitarrista punk rock, il suo amore tutto texano per il barbecue e i cappellini e la sua passione, vagamente fanciullesca, per lo skate.
Per questo, perché in teoria le carte per farcela ci sono tutte, negli uffici dei comitati elettorali della sua campagna, si respira l’aria frizzante ed eccitata delle sfide difficili, ma possibili. Inoltre, visto il momento storico plasmato dall’ombra di Trump e della violenza verbale e pratica che si trascina dietro, per i democratici, espugnare il Texas sarebbe un modo per iniziare, davvero, ad archiviare un periodo incredibilmente buio.
A separarli da quest’obiettivo, secondo i sondaggi, c’è un divario sottilissimo: i pessimisti parlano di 8 punti; gli ottimisti di appena 4. Possono sembrare tanti, ma in realtà sono solo poche migliaia di voti. Nel 2018, quando corse per il Senato contro Cruz, Beto O’Rourke perse solo per il 2,6 per cento, ossia circa 200mila voti.
Voti che Beto sta andando a raccogliere uno per uno, a differenza di Abbott, che, invece, confida molto nel traino del suo partito e del suo ruolo di governatore uscente. Il Washington Post ha contato che, nell’ultimo mese, la campagna di Beto ha organizzato una media di tre incontri pubblici al giorno, tutti i giorni, concentrandosi soprattutto sulle città rurali. Posti nei quali, per dirne una, Trump, nel 2020, ha mietuto percentuali dell’80 o del 90 per cento. Quella zona è la cosiddetta “Texas Panhandle”, il “manico di padella” del Texas, ossia la parte più settentrionale, la cui forma ricorda quella di un manico. È lì, nei posti più repubblicani dello Stato, che Beto cerca i suoi voti. Non nelle città come Dallas, Austin, San Antonio e Houston, dove i democratici già da tempo godono di buona salute. Ma in posti come Quanah, una città di 2.272 abitanti, in cui nel 2020 i voti per Biden sono stati meno di 15 ma all’incontro con O’Rourke si sono presentati in 64, o come a Whitesboro, posto di 4.217 anime, nessuna delle quali ha degnato di una sguardo Biden, ma 400 delle quali si sono sono presentate all’incontro con Beto.
Per questo, la convinzione di Beto O’Rourke e del suo staff è che i voti vanno cercati nell’ultimo posto in cui un democratico potrebbe sperare di trovarli: nel Texas rurale. In teoria, in quelle microcittà super conservatrici, di voti per i democratici non ce ne dovrebbe essere. In pratica però, scrive Washington Post, «Beto sta rivoltando i cuscini per trovarli», consapevole del fatto che per vincere gliene servono meno di 500 mila.
E i bacini di potenziali elettori di Beto O’Rourke sono molti. Si potrebbe partire da chi non vota. Il recupero dell’astensione è una specie di Sacro Graal: milioni di voti, nel caso del Texas circa 7. Se Beto ne ottenesse solo il 10 per cento, sarebbe fatta. Lo stesso vale per il voto femminile: la questione aborto potrebbe pesare moltissimo. In base alla nuova legge texana l’aborto non solo è vietato in ogni caso (con la sola eccezione del rischio di vita della gestante) ma impone anche pene severissime, fino l’ergastolo. La legge, sostenuta da Abbott e dallo zoccolo più duro della base trumpiana, in realtà sembra essere piuttosto impopolare: un recente sondaggio pubblicato da Npr riporta che il 60 per cento degli elettori è contrario, mentre solo l’11 per cento è con Abbot su questo tema.
Un altro segmento determinante sono i latini, circa il 40 per cento della popolazione, concentrati per lo più nel Sud. Si tratta di un blocco che per varie ragioni, dal forte cattolicesimo a un radicato anticomunismo, storicamente si colloca a destra. Eppure, anche lì, qualcosa sta cambiando. Le politiche sociali di Abbott hanno impoverito la comunità che nel frattempo, e nonostante tutto, si è fatta più giovane e istruita, tanto che, nel 2020, la maggioranza dei latini ha votato per Joe Biden.
Infine ci sono i nuovi texani, ossia l’enorme fetta di persone che, di recente, si è trasferita in Texas da altri Stati, in particolare dalla democraticissima California. Si stima che negli ultimi dieci anni, almeno 250 mila californiani siano sbarcati in Texas, attratti dalle imposte più basse e dal costo della vita nettamente inferiore. I loro voti liberal hanno traslocato con loro e stanno contribuendo a rendere lo stato «purple» ossia una via di mezzo tra il rosso acceso dei repubblicani e il blu dei democratici. Potrebbero fare la differenza, soprattutto se sommati ai repubblicani non trumpiani che, in dissenso, potrebbero astenersi.
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Ma non è tutto: a poter tirare la volata c’è la questione armi, forse la più delicata: sia perché per i Texani il diritto a possedere qualunque arma è più che sacrosanto, sia per cultura, machismo e repubblicanesimo spinto, sia per ragioni che considerano pratiche e necessarie, visto che molti di loro abitano in fattorie sperdute in mezzo al nulla.
Dall’altra parte è inutile fare finta che la strage di Uvalde, poche settimane fa, non abbia cambiato le carte in tavola. La strage di 19 bambini delle elementari, uccisi con un’arma da guerra ha inevitabilmente colpito la società texana che, come al solito, ne è uscita divisa. I repubblicani ritengono che la soluzione sia armare, per esempio, anche gli insegnanti. I democratici sono per limitare il più possibile la circolazione delle armi.
Nell’America di oggi, il principio del secondo emendamento (quello che prevede il diritto a possedere e portare armi) è più che radicato, anche tra i democratici (si stima che il 30 per cento degli elettori dem possieda un’arma), ma in questa campagna, in un Texas più scosso di quel che vuole ammettere dalla strage di Uvalde, Beto ha trovato due messaggi efficaci: il primo è la proposta di vietare non le armi in toto, ma solo le armi d’assalto (uno dei suoi slogan è “verremo a prendere il tuo AK47”); il secondo è che il governatore Abbott non sta facendo niente per proteggere le persone dall’ipotesi che possano uscire di casa per fare la spesa e non farvi più rientro. Non è solo uno slogan, ma è quello che Beto ha urlato a Abbott facendo irruzione durante una conferenza stampa (e rubandogli la scena).
Tra due mesi sapremo se le congiunture astrali che potrebbero portare Beto, primo democratico dopo 28 anni, al Campidoglio di Austin, si verificheranno e se si verificheranno a sufficienza. Perché in politica, non esistono le «quasi vittorie».