«Picchia di più. Ti sei ammorbidito, non sembri te. Non è che, perché ora scrivi su L’Espresso, devi diventare democristiano». Oppure peggio: «Vai proprio bene per la gente del Pd». Mi arrivano questo tipo di messaggi dopo l’esordio della rubrica perché chi mi legge da tempo sa che spesso ci vado giù pesante quando scrivo e che non ho mai mancato di gettarmi in polemiche. Ma è un po’ come dire a tuo cugino che in terza media ha menato uno se ti fa da guardia del corpo. So mostrare i muscoli, sì, ma se lo facessi a comando sarei un bullo.
Ma come, scrivi una rubrica su L’Espresso e usi la prima persona, parli di te? Beh, tanto parlano sempre tutti di sé stessi anche quando parlano di altri, no? Avete davvero sempre bisogno di qualcuno che vi faccia da pedagogo? Dai.
Il fatto è che mi sento caricato di una responsabilità più grande di quella che posso sopportare, come se dovessi vendicare non so chi da non so cosa. Siamo ancora qui, derisi e calpestati come nella canzone di Gaetano. Siamo sempre di più, sempre più abituati a esser tristi e incazzati, a non arrivare a fine mese o non poter andare in vacanza: insegnanti, persone comuni, abitanti della provincia e della città, precari. E questi vorrebbero qualcuno, una sorta di Robin Hood, che in faccia ai potenti disegni uno sberleffo e diventi il loro condottiero, qualcuno che gli risolva la vita e riscatti quel senso di ingiustizia che loro sentono addosso come un astro nefasto. Come fu Beppe Grillo. Però poi si è vista la fine che ha fatto. Pure Cristo abbiamo messo in croce ed è il segno che delegare non funziona proprio.
Che poi mi son reso conto: è un atteggiamento che abbiamo tutti, che ho forse anche io. Cerchiamo un difensore e lo riprendiamo quando non si batte abbastanza anche se siamo noi quelli che dovrebbero lottare sul ring. L’altro giorno ero su un tram a Milano e sono saliti su dei ragazzini che facevano davvero i maleducati. Il punto è che invece di alzarmi in piedi e prenderli per un orecchio, mi sono cacciato a fondo nel mio telefono ad ascoltare la musica in cuffia. Quando li ho visti scendere mi son reso conto che erano più alti e più grossi di me e che erano talmente scemi da essere innocui. Il mio orgoglio ha sofferto il doppio. Mi sentivo Fantozzi.
Alla fine non siamo né Fantozzi né Batman, siamo qualcosa di molto più complesso e ogni giorno cerchiamo di farcela nonostante tutto, ma veramente tutto, ci remi contro. Nell’era dei social siamo abituati a parlare un sacco online e meno dal vivo, abbiamo creduto scioccamente che delegare a opinionisti, politici, commentatori, ci esentasse dal nostro ruolo attivo di cittadini e persone. Beh, onde evitare di sentirsi dei coglioni come me su quel tram è bene ricordarci che siamo noi i primi che devono cominciare a dire no, ogni tanto. È scioccante, il vostro capo ci rimarrà malissimo quando vedrà che non vi piegate e voi vi sentirete pieni di vita. Così come tutti gli altri che vi fanno incazzare ma a cui non rispondete perché «tanto non ne vale la pena».
Invece la pena vale. Sgarbi che forse è matto come un cavallo ha sempre detto una cosa giusta, che lui sta molto bene nella vita perché non trattiene niente. Infatti Sgarbi è un figo, tutti lo amano, anche chi lo odia. E tutti vorrebbero essere un po’ lui ogni tanto. Ecco, non serve. Siate voi stessi e ascoltate solo il vostro istinto. È l’unico ad aver sempre ragione.