Il decreto Sicurezza, voluto fortemente dal governo Meloni e definitivamente convertito in legge lo scorso 29 maggio, continua ad attirare critiche. In punta di diritto, come quelle recenti della Cassazione, ma anche di ambito umanitario, come quelle dell’Unicef, che “esprime preoccupazione sulla reale tutela dei diritti dei bambini figli di madri detenute”. Lo sottolinea in una nota il presidente di Unicef Italia, Nicola Graziano. E lo fa richiamandosi anche alle “osservazioni contenute nella relazione” degli ermellini. Il riferimento, in questo caso, è alla facoltatività - e non l’obbligatorietà - del rinvio dell'esecuzione della pena per le condannate incinte o madri di figli di età inferiore a un anno.
“Dobbiamo evitare - spiega Graziano - che i bambini, vittime innocenti, siano costretti a vivere in carcere con le madri. Bisogna individuare soluzioni adeguate a rendere concreta la tutela dei loro diritti che, come sancito dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, ratificata dall’Italia con legge n. 176 del 1991, deve essere attuata senza alcuna discriminazione”. Rispettare “il principio del superiore interesse dei bambini significa - per Unicef Italia, che da sempre si occupa dei diritti dei più piccoli di ogni parte del mondo - salvaguardare la loro integrità psicofisica, al di sopra di ogni generalizzazione o possibile strumentalizzazione, dando prevalenza alle esigenze educative e genitoriali su quelle cautelari”. Unicef, come tante altre associazioni che si occupano quotidianamente del tema, ritiene “che gli Icam (Istituti a custodia attenuata per le detenute madri) non siano delle reali alternative al carcere, soprattutto se li osserviamo con gli occhi di un bambino o di una bambina”.
Graziano sostiene a nome dell’associazione “la soluzione delle Case-famiglia protette che, allo stato, costituiscono un’effettiva alternativa alla detenzione". In queste strutture, spiega il presidente dell’associazione umanitaria, "si dà valore alla funzione genitoriale, al recupero di un’autonomia e alla rieducazione alla legalità: in esse i bambini non sono ‘costretti’ ma piuttosto ‘protetti’ in percorsi di reinserimento educativo e sociale”.

Quella delle Case-famiglia è, potenzialmente, una realtà già in vigore. Tuttavia, prosegue Graziano, “l’esclusione di oneri a carico della finanza pubblica per la loro realizzazione ne ha reso problematica la concreta attuazione. Attualmente - ricorda il comunicato di Unicef Italia - sono due le strutture attive sul nostro territorio, a Roma e a Milano, grazie a una forte collaborazione interistituzionale e con la valorizzazione dell’associazionismo. Per questo proponiamo la diffusione di queste esperienze anche su altri territori e chiediamo l’inserimento di adeguate risorse per gli Enti locali nella prossima legge di Bilancio: investire per l’attuazione dei diritti umani di bambini e bambine è un investimento, certo, per la sicurezza. La prima parola che i bambini devono imparare - conclude Graziano - è ‘mamma, papà’, non certo la parola ‘apri’”.