Con il governo che vuole fare cassa, torna in pista il dossier Aspi. Il gruppo Dogliani è un possibile acquirente dopo i disastri della statalizzazione dai Benetton. Ma dietro la famiglia piemontese si affaccia il suo socio decennale, l’iberica Sacyr. Che ha già una quota del ponte sullo Stretto

Il piccolo compra il grande. Si può fare se è un’operazione di sistema. E l’ipotesi di affidare il gigante Autostrade per l’Italia (Aspi) alla Fininc di Matterino Dogliani è l’operazione di sistema per eccellenza con alcune coordinate definite e l’esitazione strategica che il governo applica alle infrastrutture.

 

Il campo delle certezze è abbastanza ristretto. Aspi è un’azienda statalizzata un anno e mezzo fa dopo il crollo del viadotto sul Polcevera il 14 agosto 2018. Oggi è in mano a Cdp equity e a due fondi assetati di liquidità. Blackrock e Macquarie stanno drenando dividendi faraonici per conto dei loro quotisti mettendo in imbarazzo l’azionista Stato che, peraltro, nessuno ha costretto a firmare il patto leonino.

 

Sul fronte dell’acquirente c’è un’azienda familiare medio-piccola nata nelle Langhe e trasferitasi a Torino che in un intero anno fattura circa un nono dei ricavi di Aspi nel solo primo semestre 2023. A fronte dei 300 milioni annui di Fininc, il primo concessionario autostradale italiano ha registrato 2,63 miliardi di euro il 30 giugno scorso.

 

Eppure la trattativa non è una boutade. Al contrario Matterino Dogliani, il cavaliere bianco venuto da Narzole (Cuneo), è lì a chiedersi chi abbia girato a Bloomberg lo scoop sul negoziato che il governo in prima battuta ha provato a smentire. In seconda battuta è arrivato Matteo Salvini a dire che, tutto sommato, potrebbe essere una buona idea restituire Autostrade a una cordata tricolore capace di offrire fino a 20 miliardi di euro.

 

Detto che Sherlock Holmes ha risolto casi più difficili della fuga di notizie Aspi-Dogliani, ormai Giorgia Meloni si è abituata a riconoscere, oltre che a subire, le fughe in avanti del suo vicepremier e ministro delle infrastrutture. Nel caso di specie non deve essere facile per lei che è stata nemica giurata sia della gestione Benetton dopo il crollo del Morandi sia della cidipizzazione progettata da Giuseppe Conte e realizzata da Mario Draghi. Quando era all’opposizione, Meloni ha contestato l’accordo del luglio 2020, che ha aperto la strada alla vendita di Aspi a Cdp. Poi ha riservato al dossier lo stesso atteggiamento intransigente durante il governo Draghi, con Lucio Malan così scatenato contro la statalizzazione da abbandonare Forza Italia e la maggioranza per passare a Fdi.

 

Matterino Dogliani

 

Alla fine il contratto di cessione che ha portato 8,2 miliardi di euro alla famiglia di Ponzano Veneto è stato firmato. A questo punto diventa arduo convincere il blocco Blackrock-Macquarie a rinunciare a ritorni sul capitale fino al 15 per cento annuo previsti dai rovinosi patti parasociali depositati in Consob e svelati da Giorgio Meletti sul Domani.

 

Detto chi potrebbe entrare, ossia Dogliani e i suoi compagni di cordata, siano banche o altri fondi, su chi dovrebbe uscire si va per esclusione. Blackrock e Macquarie sono nella posizione dell’hic manebimus optime, salvo ricevere una liquidazione faraonica da parte dei subentranti. Rimane l’azionista di riferimento Cdp. Il gruppo guidato da Dario Scannapieco ha fatto un buco nell’acqua con il suo tentativo di modificare lo statuto sul payout favorevole ai fondi esteri con una lettera di contestazioni a Macquarie e Blackrock finita nella casella dello spam. Nel frattempo, i 14 miliardi di euro di investimenti sulla rete programmati dall’ad di Aspi, Roberto Tomasi, languono a livelli benettoniani, se non peggio. Le nuove opere targate Autostrade, come il passante di Bologna o la gronda di Genova, sono in standby.

 

Cdp ha dunque una responsabilità politica pesante nella scelta del suo eventuale successore. Se il nuovo assetto avrà una dominante finanziaria, Autostrade diventerà un’enorme pompa di flussi di cassa. La sua dimensione di rete strategica da quasi tremila chilometri, già trascurata dai Benetton per massimizzare gli utili, varrà pressocché zero per chi è abituato a ragionare soltanto in termini di guadagno.

 

Il tema degli investimenti sulla rete è centrale e la manutenzione straordinaria è un inferno. Alcuni tratti andrebbero rifatti ex novo. Ma fondi e banche non sono certo in grado di ristrutturare i viadotti, le gallerie, i guardrail che cadono a pezzi anche al di fuori delle concessioni private, come si è visto di recente nel disastro di Mestre.

 

Per ricostruire è necessario il partner industriale che manca ad Aspi al di là della controllata Amplia, l’ex Pavimental. A dire il vero un socio industriale forte è già implicito nel tentativo del gruppo Dogliani. Peccato che contrasti con l’ipotesi salviniana di cordata nazionalista ma forse si potrà chiudere un occhio, se non due, sul fatto che da vent’anni giusti gli spagnoli di Sacyr e Fininc sono insieme nel consorzio Sis, con gli italiani al 51 per cento. La società madrilena guidata dalla famiglia Vallejo de Juanes opera nelle costruzioni, nelle concessioni pubbliche, nella sanità ed è reduce da un anno molto buono. Ha chiuso il bilancio 2022 con ricavi per 5,85 miliardi di euro (+25 per cento) e 111 milioni di profitto netto dopo una perdita da 189 milioni di euro nel 2021. Le dolenti note sono nel debito finanziario netto a quota 7,49 miliardi di euro, in una multa da 16,7 milioni dell’antitrust spagnolo per avere alterato venticinque anni di gare d’appalto e nei contenziosi come quello sul raddoppio del canale di Panama che ha coinvolto anche Salini-Impregilo (Webuild).

 

Sacyr è anche parte integrante di Eurolink, il gruppo di imprese incaricato di realizzare il ponte sullo Stretto tanto caro a Salvini e molto meno gradito dal resto dell’esecutivo che sta trattando al ribasso sui finanziamenti dell’opera nella prossima legge di Bilancio. Gli spagnoli hanno il 18,7 per cento del consorzio, cioè la seconda quota dopo la società di Pietro Salini, e hanno manifestato entusiasmo quando la stazione appaltante pubblica Stretto di Messina (Sdm) è stata riesumata dalla liquidazione per un rilancio in grande stile.

 

Beniamino Gavio

 

Ma se il collegamento fra Sicilia e continente è ancora una realtà fumosa che serve come merce di scambio per evitare turbolenze con il leader leghista e con Forza Italia, Aspi è un dossier scottante. Non sarebbe la prima volta che si parla di Autostrade in versione spagnola. Non più tardi dell’aprile 2021, la società era già finita nel mirino di un altro grande delle costruzioni iberiche, il patron del Real Madrid e di Abertis Florentino Pérez, che aveva offerto 10 miliardi di euro ad Atlantia-Benetton.

 

Una cordata Fininc senza Sacyr è impensabile, dato il volume d’affari fra i due partner. Nel settore costruzioni il consorzio italo-spagnolo Sis sta lavorando al completamento della Pedemontana Veneta, un’opera miliardaria sostenuta dai contribuenti e voluta energicamente dal presunto rivale di Salvini dentro la Lega, il presidente della regione Luca Zaia. Il Sis sta completando il nuovo Policlinico Mangiagalli di Milano (260 milioni di appalto). Si è proposto per l’autostrada Roma-Latina, poi commissariata da Salvini, e ha conquistato le concessioni dell’A3 Napoli-Salerno, dell’A5 Torino-Quincinetto, dell’A21 Torino-Piacenza. Per questi ultimi due tracciati c’è stato un lungo braccio di ferro vinto da Dogliani contro il gruppo Gavio, che cinque anni fa ha irrobustito il capitale con l’ingresso del partner finanziario francese Ardian, a dimostrazione che il sovranismo concessorio è quanto meno a corrente alternata.

 

Le due famiglie piemontesi si conoscono da decenni, prima di farsi la guerra in casa. Il mandrogno Beniamino Gavio da Serravalle Scrivia – «con il termine 'mandrogno' si vuole indicare un individuo abile negli affari, furbo, e capace di condurre trattative», afferma il sito del comune di Alessandria – contro il langarolo Dogliani è un derby che nasce in tempi recenti, quando Fininc non solo ha deciso di entrare nelle concessioni autostradali, di preferenza nel quadrante di nordovest, ma ha tentato di portare via a Gavio la realizzazione dell’autostrada Asti-Cuneo.

 

Alcune escursioni fuori zona del gruppo Fininc sono andate peggio del previsto. Per realizzare i 707 chilometri del corridoio viario A, nell’area sud della provincia di Buenos Aires, Dogliani è entrato in un consorzio paritario a tre incaricato di spendere 1,8 miliardi di dollari di fondi statali. Ma l’opera è finita nel gorgo della crisi finanziaria argentina ed è stata sospesa, con un pagamento delle spese in titoli di Stato che hanno il rating terrificante di Ccc+, a un passo dalla d di default. È andata male anche con il passante ferroviario di Palermo, dove Sis ha chiesto la rescissione del contratto con Rfi (gruppo Fs) per gli extracosti.

 

L’assetto dei Dogliani ripete, in sedicesimo, quello della famiglia imprenditoriale piemontese per eccellenza, gli Agnelli. Il fondatore Matterino, 83 anni il prossimo dicembre, è saldamente alla guida del gruppo dagli anni Sessanta con una quota del 68,8 per cento che gli consente il dominio incontrastato. Il fratello Fiorenzo guida il ramo cadetto, che ha diversificato nei vini pregiati della zona e nel resort Boscareto, un cinque stelle a Serralunga d’Alba. Il resto del capitale è diviso fra i sei della seconda generazione, con Claudio che è anche ad di Fininc e della controllata Inc, Ignazio che amministra la Sipal engineering e Francesco che guida la londinese Circuitus capital, una finanziaria specializzata nel settore costruzioni in joint venture con la solita Sacyr.

 

In vista del salto definitivo nella serie A dei concessionari con la partita Aspi, Dogliani si è dotato di un consulente, Francesco De Leo, partner e fondatore della società di servizi finanziari Kaufmann&partners, con sede a Madrid, tre dipendenti e un sito quanto meno bizzarro segnalato su Linkedin (http://kaufmannpartners.com). Per mettere in difficoltà gli squadroni di legali e consulenti dei fondi padroni di Autostrade servirà ben altro.