La mancata costruzione della struttura per lo slittino, ennesimo ecomostro che sarebbe poi stato abbandonato, mette in luce l'insostenibilità degli eventi sportivi pensati con impegni faraonici. E mostra anche il declino del sistema di potere dello sport italiano che ruota intorno a Giovanni Malagò

Mettiamola così. Se le Olimpiadi Invernali 2026 le facessero a Riad invece che a Milano e Cortina - e in qualche altro posto che non si sa bene ancora, questo è il dolente busillis - la pista di bob la costruirebbero nel deserto senza problemi. Sarebbe più facile che farne o trovarne almeno una in condizioni decenti e operative in Italia. Noi umili sportivi parliamo così, ma uno scafato e navigato come l’attuale presidente del Coni dice invece: “existing and working”. Capito? Se una pista di bob se la costruissero gli arabi nel deserto, non ci sarebbero tutti questi rimorsi di coscienza, da parte nostra, per spendere cento e passa milioni per un ecomostro di cemento da collocare nel bel mezzo delle montagne più belle del mondo tra il Cristallo e le Tofane. Uno scempio tale, che alla fine pure gli organizzatori si sono arresi: no, così non si può fare. Tra l’altro, ormai, non ci sarebbe quasi nemmeno più tempo…

 

Ma purtroppo a Riad faranno i Mondiali di Calcio del 2034 e all’Italia resta un clamoroso e imbarazzante pastrocchio che sta travolgendo il carrozzone organizzatore e soprattutto anche il più ottimista, brillante, charmant, nonché equilibrista dei manager sportivi italiani: quel Giovanni Malagò, da dieci anni presidente del Coni, ora giunto all’apice ma forse anche all’epilogo della sua avventura di numero 1 dello sport italiano. Teoricamente, stando all’attuale legge, dopo le Olimpiadi di Parigi 2024 di presidente del Coni se ne dovrebbe infatti fare un altro. 

 

Storia imbarazzante, perché lui, Megalò, così soprannominato da Suni Agnelli, è quello sempre ottimista e sorridente per contratto - ve lo ricordate per caso il torvo Franco Carraro?, ecco l’opposto - un po’ perché perché lui fa la parte di quello tirato in mezzo a beghe politiche che pensava di poter gestire e invece no, un po’ perché colpevole e un po’ no semplicemente perché sta lì, un po’ perché il responsabile dell’operazione olimpica effettivamente è lui, e soprattutto perché ora fa il finto ignaro del detto: hai voluto la bicicletta….? 

 

È talmente intricata questa storia che non si sa bene da dove prenderla. Se dall’inizio, e cioè quasi 4 anni e mezzo fa (24 giugno 2019) quando il Cio assegna la XXV Olimpiade Invernale a Milano e Cortina, nel cui dossier si prevedeva la ricostruzione della storica pista di bob dedicata al leggendario Rosso Volante “Eugenio Monti” delle Olimpiadi 1956, per un costo preventivato di circa 40 milioni (poi triplicatosi nel tempo). Di quell’impianto, per inciso, è rimasta in piedi una curva, tenuta lì come attrazione vintage. O se invece questa storia sia meglio raccontarla a partire dall’ultima puntata di questo papocchio squagliato al sole, e cioè la strombazzatissima visita addirittura di una delegazione governativa composta dal vicepremier ministro degli esteri Antonio Tajani, il ministro per la pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, e il presidente della regione Piemonte Alberto Cirio a Cesana, a circa 1400 metri di altezza, dove in una landa di erba secca giace lo scheletro della fu pista di bob delle Olimpiadi di Torino 2006. La sponsorizzazione del Piemonte smaccata, anche se neppure questa a costo zero: per ridar vita allo scheletrone inerte di cemento ci vorrebbero almeno una trentina di milioni. “Ma i primi 4 ce li mettiamo noi” e mi voglio rovinare, hanno fatto sapere dalla Regione Piemonte, pur di spingere anche loro il bob olimpico giù per la pista.

 

A questo punto ci sono almeno cinque precisazioni:

1) I tre sono tutti di Forza Italia e il prossimo anno ci sono le elezioni regionali con Cirio ricandidato e dunque non ti sbagliare sulla scheda Vota Cirio, Vota Cirio!

2) La spedizione piemontese si è resa necessaria quando si è prospettata l’ipotesi di sostituire la mai (ri)nata pista di Cortina con “l’affitto” olimpico a un costo di una dozzina di milioni almeno dell’impianto, e come ti sbagli, pienamente efficiente e funzionante di Sankt Moritz, con sommo smacco del governo Meloni che si vedrebbe costretto a “cedere” un pezzo delle sue Olimpiadi alla Svizzera;

3) Si tira in mezzo il Piemonte, quando le Olimpiadi sono invece affare di Lombardia e Veneto, gelosissimi del loro affare, in particolare il presidente Zaia che si vede privato e pure offeso per lo scippo di un pezzo di business olimpico (“dai, ti diamo in cambio i Giochi Olimpici Giovanili Invernali 2028”);

4) Le piste di bob sono destinate a diventare un rudere inutile, talmente ne è scarso l’uso post olimpico e costoso il mantenimento;

5) La stessa pista di Cesana Pariol, pur risalente al 2006, è la dimostrazione che i 110 milioni che costò allora furono unicamente un sacrificio all’insopportabile paganesimo del fuoco olimpico. 

 

Tra l’altro, qui è tutto un derby. Non solo Milano e Cortina, Lombardia e Veneto, le Olimpiadi sono bicefale in tutto. Le strategie operative e il flusso di denaro passano attraverso la Simico (Società Infrastrutture Milano-Cortina 2020-2026) costituita nel 2021 e di cui fanno parte Ministero Economia e Finanze, Ministero Infrastrutture e Mobilità, le regioni Lombardia e Veneto, le province autonome di Trento e Bolzano. Ultimo conteggio conosciuto, e non aggiornato, dei costi: 3 miliardi e 600 milioni. Ma il cervello di tutta l’operazione è la Fondazione Milano-Cortina 2026 e cioè il comitato organizzatore, al cui vertice c’è appunto Giovanni Malagò. Il quale da solo è uno e trino: il Coni di cui è presidente, il Cio di cui è membro, la Fondazione MI/CO di cui è numero 1. 

 

La diarchia operativa, gli intrecci e gli interessi rendono tutto molto complicato e fanno dello “scaricabarile” la prima medaglia d’oro già assegnata. Ruoli, cariche e consigli di amministrazione sono un Manuale Cencelli applicato allo sport. I rimpalli di responsabilità per paurosi ritardi (“Sono 4 anni che li sollecitiamo” dice Malagò) e moltiplicazione dei costi all’ordine del giorno. Se a Roma piangono sull’occasione mancata delle Olimpiadi 2024 poi andate a Parigi, è anche vero che certi fantasmi e pregiudizi evocati dalla sindaca di allora Virginia Raggi hanno poi preso fatalmente corpo.

 

La realtà è che tanto gigantismo sportivo, con tutte le conseguenze su costi, impiantistica e organizzazioni sempre più complesse, ha ormai fatto il suo tempo. Per limitarci alla famigerata ma tanto indispensabile pista di bob, slittino e skeleton parliamo di poche decine di praticanti in Italia. Si costruisce dunque a prezzi folli per 15 giorni di dirette tv, e poi va tutto in malora. E sempre per rimanere alle Olimpiadi, a Los Angeles 2028 saranno assegnate medaglie di “lacrosse” e “flag football”, discipline ignote in buona parte del mondo. Ma si può andare avanti così?

 

Vale anche questa insana patologia ipertrofica per i Mondiali di calcio che la Fifa di Gianni Infantino ha portato a partire dal 2026 a 48 squadre, tanto da doverli suddividere tra Canada, Stati Uniti e Messico. I Mondiali del 2030 saranno in tre continenti e sei paesi: Spagna, Portogallo e Marocco più tre partite in Argentina, Uruguay e Paraguay. Tanto che l’Australia si è ritirata dalla candidatura ai Mondiali di calcio 2034 per lasciare il campo all’Arabia Saudita (quelli di Ronaldo, Benzema, Mancini etc), gli unici in grado di poter ragionare su certe cifre astronomiche. Gli ultimi Mondiali In Qatar, a 32 squadre, sono costati almeno 220 miliardi di dollari.

 

Se non sarà modificata la legge sullo stop al terzo mandato (è in carica dal febbraio 2013) Giovanni Malagò è agli sgoccioli della sua presidenza Coni, così onusta di medaglie olimpiche sotto la sua gestione (finora 103 di cui 23 d’oro). Al di là dell’intensa attività di lobbying per non muoversi da Foro Italico, il nostro si gioca tutto a lascia o raddoppia, con Parigi 2024 e Milano-Cortina 2026. Per uno nato vincente, così abituato all’osanna e al plauso, i nervi sono fin troppo scoperti, tanto che nell’ultimo Consiglio Nazionale del Coni è esploso: «Voglio precisare che noi organizziamo le Olimpiadi, non costruiamo le piste!». E va bene, ma alla fine sempre lì si torna: hai voluto la bicicletta?