Direttiva sulla concorrenza
Giorgia Meloni regala le spiagge alla lobby dei balneari. E mette a rischio il Pnrr
Direttiva sulla concorrenza
Giorgia Meloni regala le spiagge alla lobby dei balneari. E mette a rischio il Pnrr
Pur di non mettere i lidi a gara lo Stato rischia una sanzione Ue pesantissima e il blocco della quinta rata dei fondi. Perché i concessionari dettano legge in un settore che vale miliardi ma porta una manciata di euro nelle casse pubbliche
Chi c’è stato ne dice meraviglie. Mare, ulivi, natura sapientemente contaminata dalle grazie dell’architettura mediterranea. È Borgo Egnazia, o Egnathia alla latina, nella frazione Savelletri di Fasano in provincia di Brindisi. Tra i fan del resort salentino a cinque stelle, c’è Giorgia Meloni, che di mare si intende essendo cresciuta nello splendido panorama delle Canarie. Il 10 novembre la premier, avvistata per l’ultima volta a Fasano in giugno insieme all’allora compagno Andrea Giambruno, ha sciolto la riserva. Il G7 presieduto dall’Italia si terrà proprio a Borgo Egnazia tra il 13 e il 15 giugno 2024.
Per quell’epoca potrebbe essere arrivata la stangata dell’Ue sulle concessioni balneari mai messe a gara nonostante la procedura di infrazione alle leggi sulla concorrenza aperta il 3 dicembre 2020. L’ultimatum scade il prossimo 31 dicembre dopo un tentativo del governo Draghi di rinviare la partita a fine 2024 bocciato dalla sesta sezione del Consiglio di Stato.
Per le casse pubbliche la minaccia è doppia: una multa fissata dalla Corte di giustizia europea e lo stop ai miliardi del Pnrr. La quarta rata da 16,5 miliardi di euro è al sicuro. Il ministro delegato al Recovery plan, il salentino di Maglie Raffaele Fitto, vuole portarla a casa entro il 2023. Il rischio è per la quinta. All’interno della maggioranza è proprio Fitto, che aspira a un futuro in Europa, il più perplesso sulle forzature indotte dalla lobby balneare, trasversale con pendenza a destra.
La mappa delle coste spedita a Bruxelles dall’esecutivo è stata bocciata nel giro di poche ore con una lettera di messa mora europea di 31 pagine che erano evidentemente già pronte da un pezzo. Ora palazzo Chigi ha due mesi per preparare le controdeduzioni da opporre al commissario per la concorrenza, il francese Thierry Breton.
La strategia consiste nel sostenere che i litorali non sono un bene scarso, tanto che il 67 per cento delle rive italiane sarebbe disponibile per le nuove concessioni a gara che l’Ue richiede. Nei due terzi sono incluse le spiagge libere e centinaia di chilometri di rive impraticabili. Ma questo non sembra avere importanza come non sono rilevanti i canoni pagati dai concessionari a uno Stato che, pure, ricava dal turismo oltre il 5 per cento del suo pil. Restando al caso di Borgo Egnazia, il canone versato nel 2022 per 3400 metri quadrati di spiaggia è di 4781 euro e 22 centesimi, al di sotto della media nazionale di 5226 euro annuali.
Qualunque studente fuori sede paga di più per una stanza in periferia a Milano o a Roma. Eppure la galassia di società controllate da Aldo Melpignano attraverso holding lussemburghesi guadagna piuttosto bene, con uno scatto significativo da quando gli esponenti del centrodestra sono subentrati ai post-comunisti come Massimo D’Alema e alle star del pop come Madonna. L’anno scorso il resort ha quasi raddoppiato i ricavi a 10,1 milioni di euro contro i 5,9 milioni del 2021. Gli utili sono poco sotto il milione di euro contro i 180 mila euro dell’anno precedente.
In Salento si è appena svolta un’altra puntata della vicenda delle concessioni balneari partita diciassette anni fa con la direttiva Bolkestein. Il 2 novembre scorso il Tar di Lecce si è pronunciato contro la sentenza del Consiglio di Stato che obbligava alla messa a gara. Il tribunale amministrativo di primo grado ha sostenuto che, prima di applicare la sentenza del tribunale amministrativo di secondo grado, bisogna in effetti verificare la reale situazione dei litorali, ultima piroetta con la quale il governo tenta di sfuggire alla sanzione Ue.
La vicenda della mappatura è iniziata a maggio scorso quando il governo ha istituito un tavolo tecnico nazionale per determinare se la risorsa spiaggia fosse scarsa e dunque da mettere a gara secondo la Bolkestein. A questo gruppo di lavoro hanno partecipato i ministeri interessati e, abbastanza curiosamente, le associazioni di categoria che si sono sempre opposte all’applicazione della direttiva. Le regioni hanno lavorato sui territori di competenza e hanno fornito le rilevazioni sulle aree marittime disponibili mentre l’Agenzia del demanio, che avrebbe potuto contestare la presenza di rocce, parchi marini, aree industriali, foci di fiumi tirati in ballo per aumentare il chilometraggio, non è stata nemmeno convocata al tavolo.
Adesso si apre la partita dei comuni. Alcune giunte, come Soverato e Comacchio, hanno prorogato le concessioni in essere e hanno ricevuto una diffida dall’associazione Mare libero, presieduta dall’avvocato ed ex assessore del comune di Rimini Roberto Biagini. Anche in Puglia ci sono stati prolungamenti fino al 2033. Sul fronte opposto, alcune giunte come quella di Fiumicino si sono mosse per bandire le gare di affidamento dei lidi in un contesto legislativo ancora traballante dove soprattutto la Lega punta, come piano B rispetto alla mappatura bocciata, a favorire i concessionari uscenti oppure a risarcirli in caso dovessero essere soppiantati da un migliore offerente.
Da premier, Mario Draghi aveva proposto di affidare la stesura dei capitolati di appalto all’autorità anticorruzione (Anac), anche per prevenire l’infiltrazione di gruppi criminali attirati da un investimento che promette ottime rendite. Il fatturato annuo per il settore turistico-ricreativo vale 2 miliardi di euro, secondo le stime affidate a Nomisma da Sib-Confcommercio, il sindacato che ha presentato ricorso in Cassazione contro il parere anti-proroga del Consiglio di Stato. Nessun ricorso è stato invece registrato contro un’altra sentenza del tribunale amministrativo che ha bocciato l’aumento del canone minimo per il 2023 nella misura del 25 per cento, oltre i 3 mila euro.
La probabile multa europea, che sarà a tariffa rincarata perché una prima procedura di infrazione era già stata revocata dall’Ue nel 2012 su promessa del governo Monti di sanare l’anomalia, è difficile da quantificare ma aumenterà il già cospicuo monte sanzioni dell’Italia, di poco superiore a 1 miliardo di euro con ottanta violazioni. Per gli aiuti di Stato agli alberghi sardi la multa originale di 7,5 milioni di euro del 2020 è arrivata intorno ai 50 milioni grazie agli 80 mila euro giornalieri di interessi. Alla fine, qualcuno pagherà per il monopolio sui lidi. Il contribuente.