Economia
I capannoni abbandonati in Veneto sono diventati un problema
Nella regione si conta una struttura ogni 54 abitanti: ma il boom del Nord Est ha lasciato sul territorio migliaia di edifici vuoti. Che ora vanno demoliti o riutilizzati. E nonostante alcuni importanti passi in avanti negli ultimi anni, si autorizza ancora il consumo del suolo
Dentro questi capannoni si è svolta molto più della storia industriale di una regione, il Veneto, che nel Dopoguerra, e dagli anni Sessanta e Settanta in particolare, ha visto aumentare la sua ricchezza, sfilandosi finalmente gli abiti della terra di emigrazione (dall’Unità d’Italia in poi il Veneto è stata la regione italiana con il numero più alto di emigranti).
In queste fabbriche hanno lavorato migliaia di operai pronti ad abbandonare le ristrettezze della vita contadina (ma spesso continuando, in parallelo, entrambe le attività) e sono prosperate imprese famigliari diventate colossi in grado di imporsi sui concorrenti di tutta Europa. Sull’intero territorio, sono sorte fabbriche e aree industriali, si sono sviluppati distretti specializzati, portando l’industria fin nei Comuni più piccoli. Un’espansione disordinata ed eccessiva, senza alcuna pianificazione urbanistica, che ha stravolto il paesaggio. Una dispersione che la Dc, al governo della Regione fino agli anni Novanta, ha accompagnato con complice silenzio: meglio evitare grandi concentrazioni di operai come a Porto Marghera, dove i sindacati rivendicano salari più alti, salute e sicurezza sul lavoro.
Ora che il boom industriale è rientrato e l’economia si orienta su altri assi (delocalizzazioni e crisi sistemiche, come nel 2008, hanno influito), rimangono le rovine di questa lunga avventura. Restano le fabbriche, abbandonate, svuotate di imprese, fallite o svendute. Nel 2016, la società di consulenza Smart Land, su indicazione di Confartigianato, queste rovine ha cominciato a contarle: ha rilevato, su più di 92 mila edifici industriali, oltre 11 mila fabbriche vuote, il 12 per cento. Ha calcolato che in Veneto si trova un capannone ogni 54 abitanti e che c’è una media di dieci aree industriali per ognuno dei 563 Comuni della regione.
Imprenditori ed enti locali hanno iniziato a pensare che recuperare almeno in parte questi edifici industriali, in quella che è la seconda regione italiana per consumo di suolo, fosse una buona idea. La stessa Regione Veneto, con la legge del 2017 sul contenimento del consumo di suolo, è intervenuta. Stabilendo un tetto massimo di superficie utilizzabile entro il 2050 (9.575 ettari), con l’intenzione di creare dense aree destinate alla produzione e liberare le altre, e ideando norme che permettono il riuso degli edifici in deroga alle norme urbanistiche comunali. Ma prevedendo, nell’autorizzazione dell’edificazione di nuove aree industriali, ancora troppe eccezioni, riguardanti ad esempio l’ambito della logistica.
Qualcosa, tuttavia, in questi anni si è mosso. Smart Land negli ultimi mesi è tornata sul campo, per dare una misura aggiornata all’abbandono ma anche al recupero del dismesso, mappando le fabbriche e catalogandone la tipologia. Ora gli edifici industriali sono di più, toccano le 97 mila unità. I capannoni inutilizzati sono 9.200, diminuiti del 13 per cento rispetto alla rilevazione del 2016. La superficie coperta dagli edifici svuotati supera i 18 milioni di metri quadri. Almeno il 20 per cento delle fabbriche dismesse andrebbe demolito, perché inutilizzabile o posto in contesto non funzionale. Circa 1.400 hanno ripreso vita e questa è la notizia positiva. Diventando spazi di coworking, palestre, sale prova, centri culturali, locali aperti al pubblico, asili aziendali. In 35 casi, grazie ai fondi regionali per la rinaturalizzazione, il capannone è stato abbattuto, tornando prato.
«Siamo all’inizio di un processo», riflette Federico Della Puppa, responsabile dell’area analisi e strategie di Smart Land. «Veniamo da sei anni di grande crescita economica del Veneto, fattore che ha garantito il riuso. Dobbiamo allenarci a mettere in campo idee e soluzioni che permettano di recuperare quello che già c’è».
Un anno fa, Assindustria Veneto Centro, associazione di categoria delle province di Padova e Treviso, ha presentato Capannoni OnOff, un portale in cui possano incontrarsi domanda e offerta interessate alla compravendita di un edificio industriale. Un progetto ancora nella sua fase di avvio che però rappresenta un altro segnale importante. Esperimenti innovativi che possono essere d’ispirazione per strategie nazionali sul tema. Gli sforzi per ridurre il consumo di suolo, tuttavia, ancora non sembrano sufficienti. Nuovi capannoni continuano a spuntare, spesso con autorizzazioni vecchie di dieci anni, o con progetti «di rilevanza sovracomunale», secondo le deroghe previste dalla legge regionale.
A Roncade, in provincia di Treviso, la Regione ha autorizzato (in attesa della valutazione di impatto ambientale) l’edificazione di un enorme polo logistico Amazon che occuperà un’area di oltre 230 mila metri quadrati. A pochi chilometri, tra i Comuni di Casale sul Sile e Quarto d’Altino, è in fase di progettazione un hub della logistica su più di 500 mila metri quadrati. Sempre in provincia di Treviso, vicino al casello di Montebelluna della nuova Spv, la Superstrada Pedemontana Veneta, sorgerà Hill Montello, un centro commerciale su 25 mila metri quadrati. In provincia di Verona (la prima per consumo di suolo in regione) il Tar ha bloccato la costruzione del centro logistico di San Giovanni Lupatoto, un’area di 127 mila metri quadrati che per il momento è salva. Un mare di cemento continua a esser riversato sul Veneto ogni anno.