Anche se l’economia va meglio, il cancelliere tedesco è sempre più impopolare. E la coalizione di governo scricchiola. Una situazione che mette in difficoltà pure l’Europa

L’Europa e il mondo possono attendere, la Germania è impegnata a risolvere sé stessa. Quando ventiquattro anni fa il Paese fu definito dall’Economist per la prima volta «il malato d’Europa», il timone del suo governo era saldo nelle mani del cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder. Con le riforme dei primi anni Duemila il governo rosso-verde riuscì a rimettere in sella il Paese e l’economia riprese il largo. Ora è più complicato. Stando ai principali indicatori, la crisi economica in Germania sta rallentando e «l’economia si sta stabilizzando su livelli bassi» – come ha detto l’istituto economico Ifo – ma il malessere ha contagiato l’esecutivo di Berlino, portandosi dietro la più seria crisi di leadership politica degli ultimi decenni. Quali conseguenze avrà la saldatura di una fase economica zoppicante e una politica irresoluta? I precedenti storici non rassicurano, ma rimettiamo in fila i fatti e guardiamo avanti.

 

Dopo mesi di gravissima crisi energetica seguita all’aggressione russa dell’Ucraina – che ora sappiamo essere stata pianificata ad hoc dal Cremlino – dopo le acque agitate dall’inflazione a livelli senza precedenti, dopo la concorrenza poco leale dell’Ira (Inflaction Riduction Act) americano, che ha dirottato gli investimenti di molte aziende tedesche in Usa, nel mondo economico tedesco ora tira aria di bonaccia. L’inflazione armonizzata è scesa al livello più basso dal giugno 2021, attestandosi a un +2,3%. Il Pil del terzo trimestre registra un -0,3% ma secondo i Saggi dell’Economia, l’organo consultivo del governo in materia economica, il 2024 potrebbe registrare un’uscita dalla recessione con un +1,3%. I prezzi dell’energia sono scesi nel corso dell’anno ai livelli pre-crisi di fine 2021, riportano i dati dell’ufficio federale di statistica Destatis. E le imprese tornano ad avere fiducia nel futuro o almeno abbandonano il pessimismo degli ultimi due anni, come rivela la risalita dell’indice Ifo di novembre e come conferma un recente studio di S&P sul clima nel settore manifatturiero in Germania.

 

Insomma, non sta più andando tutto a rotoli. Eppure, per paradosso, la coalizione di governo è alle corde. Come quei matrimoni che si sfaldano dopo essersi lasciati alle spalle un lutto. Punti di incontro veri, che non siano una matematica somma di interessi, ce ne sono pochi nell’esecutivo di Berlino. E la sentenza della Corte costituzionale di Karlsruhe – che di fatto ha bocciato l’impalcatura di bilancio su cui poggiava le basi la coalizione semaforo – sembra averle dato il colpo fatale. Per il momento almeno.

 

La popolarità di Olaf Scholz è ai minimi termini e secondo il capo dell’istituto demoscopico Forschungsgruppe Wahlen Matthias Jung «c’è un deficit di guida» da parte del cancelliere, sia nella moderazione della discussione politica, che nella povertà di contenuti proposti. Solo il 10% dei tedeschi si fiderebbe delle sue capacità, secondo un sondaggio Forsa del 3 dicembre scorso. Per le opposizioni è tutta un’esplosione di “Schadenfreude”, il gioire per le disgrazie altrui. Il leader dei cristiano-democratici, Friedrich Merz, è stato durissimo al Bundestag, durante la discussione sulla legge di bilancio il 28 novembre. Non solo ha criticato la politica del governo ma ha attaccato ad personam Scholz. «Lei semplicemente non è in grado», ha detto Merz, e «paragonato ai cancellieri che hanno fatto la storia della socialdemocrazia, da Willy Brandt a Helmut Schmidt, e perfino a Gerhard Schröder, Lei, signor Cancelliere, indossa scarpe di almeno due numeri più grandi». Scholz ha reagito con il solito sorriso, mentre il ministro liberale Christian Lindner appariva più imbarazzato che mai.

 

Sul lato mediatico, la corazzata del gruppo Springer, Bild, schierata sempre più vistosamente contro il governo, aizza il populismo di casa propria. La settimana scorsa è andata (poco casualmente) a ripescare l’ex ministro greco Panagiotis Lafazanis, titolare del dicastero energia all’epoca della crisi del debito sovrano nel 2010, per raccogliere il suo consiglio su come uscire dalla crisi di bilancio in Germania. Per raccogliere soldi in fretta – quei 18 miliardi che mancano alla Finanziaria 2024 dopo la decisione della Corte costituzionale – i tedeschi potrebbero vendere l’isola di Sylt – l’equivalente in termini di lifestyle di Capri – suggerisce Lafazanis. Esattamente lo stesso consiglio che l’ex falco delle Finanze Wolfgang Schäuble diede alla Grecia circa 13 anni fa. Mentre una giornalista della tv pubblica Ard, in conferenza stampa dopo il bilaterale tra Scholz e Giorgia Meloni a Berlino, ha chiesto alla nostra presidente del Consiglio se riteneva la Germania, con la crisi di bilancio in atto, «un partner ancora affidabile». Scholz è stato immortalato mentre alzava gli occhi al cielo. Ribaltare il dogma dell’affidabilità tra Nord e Sud è una soglia-limite anche per un’impassibile amburghese.

 

Ma nel cupio dissolvi politico che si respira in questo scorcio di fine anno a Berlino, dove la crisi di governo rimane improbabile ma non più impossibile, l’Unione europea potrebbe rimanere sotto le macerie dell’indecisione dell’esecutivo tedesco, unita alla scarsa disponibilità economica dell’ex locomotiva. Sono tanti i dossier delicati sul piano europeo e internazionale che al momento hanno urgenza di essere gestiti. E nel triumvirato del governo tedesco c’è accordo solo su un paio: il sostegno all’Ucraina e a Israele, nessuno dei quali riguarda la nostra casa comune europea.