Legge di bilancio
Il ponte sullo Stretto si finanzia con il saccheggio dei fondi destinati al Sud
Il governo in crisi di liquidità scarica sulle regioni l’opera simbolo di Salvini. Così Sicilia e Calabria perderanno 1,6 miliardi destinati a scuole, acquedotti e altri interventi urgenti. Per gli amministratori locali la ribellione è bipartisan mentre le imprese interessate, tutte a nord di Roma, festeggiano
Quanto è meridionalista questo governo. Solo i maligni potevano pensare che due ministri lombardi, di cui uno è anche vicepremier, avrebbero sfavorito il Sud negli investimenti. Figurarsi. Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, leghisti debossizzati, stanno definendo il piano per rilanciare il ponte tra la Sicilia e la Calabria. Ardito sarà il progetto tecnico. Audacissimo è il montaggio finanziario che per ora ha inserito in legge di bilancio un aperitivo da 607 milioni di euro da gustare il prossimo anno sull’opera stimata 11,6 miliardi e destinata a costarne ben più di 14.
L’ultimo aumento di capitale della Stretto di Messina (Sdm), società pubblica concessionaria dell’opera, è stato sottoscritto dal ministero dell’economia guidato da Giorgetti in modo da arrivare a 672 milioni complessivi. Gli equilibri fra i soci sono stati ridisegnati con il Mef che sale in maggioranza e il tandem Rfi-Anas, entrambe del gruppo Fs, diluite a un 42 per cento complessivo. Le due regioni sono confinate a un minimale 1,16 per cento ciascuna. L’ad della Sdm Pietro Ciucci ha illustrato gli obiettivi dell’aumento capitale di dicembre senza del tutto riuscire a spiegarne la ratio. I finanziamenti dell’opera saranno infatti consegnati direttamente da governo e regioni al general contractor, il consorzio Eurolink. Per dimostrare che dal 2024 si fa sul serio, Sdm ha concluso la sua campagna acquisti dirigenziali, in larga parte dall’Anas, dopo la lunga fase di liquidazione e si prepara al trasloco di sede fissato al prossimo gennaio. Il nuovo quartier generale è alla stazione Termini, previo sfratto proprio dell’azionista Anas che in piazza dei Cinquecento teneva la divisione international.
Che l’assetto finanziario sia un aspetto quasi altrettanto problematico di quello progettistico lo dimostra l’aggressione al Fondo di coesione e sviluppo (Fsc). Come aveva previsto qualche mese fa sull’Espresso l’ex ministro del Mezzogiorno, il democrat siciliano Giuseppe Provenzano, i 40 miliardi di euro di Fsc messi a disposizione del Sud fino al 2029 sono stati trasformati in un bancomat governativo. Invece di scuole, acquedotti, infrastrutture stradali e ferroviarie urgenti, interventi sul territorio richiesti dai sindaci, il Fsc verrà decurtato per alimentare il ponte. Le reazioni sulle due rive sono state molto diverse. Renato Schifani, presidente berlusconista della regione siciliana, ha protestato. Il calabrese Roberto Occhiuto, anche lui forzista, si è dichiarato favorevole. Il terzo azzurro interessato da vicino alla questione è Raffaele Fitto. Il ministro ha la delega sul Mezzogiorno, su un Pnrr che quest’anno ha già visto il taglio di 1,5 miliardi di opere in Sicilia e sul Fsc. Vaso di coccio nella morsa Salvini-Giorgetti, Fitto deve fare buon viso a cattivo gioco.
La differenza di posizioni fra isola e continente è presto spiegata. Sulla sponda sicula la dotazione Fsc per il periodo 2021-2027 è di 6,6 miliardi. L’accordo con Schifani prevedeva un prelievo pro-ponte da 1 miliardo. La cifra è poi cresciuta di 300 milioni con un peso proporzionale che sfiora il 20 per cento del totale. Sulla sponda calabra si parla di appena 300 milioni su una dotazione Fsc di 2,86 miliardi. È il 10,5 per cento del fondo, circa metà di quanto chiesto alla Sicilia che, secondo la vulgata governativa, sarebbe la principale beneficiaria del ponte. Pertanto è giusto che paghi di più, anche se Salvini nelle sue apparizioni ai convegni confessa il primario interesse nell’opera delle aziende lombarde, a cominciare dalla capocordata di Eurolink, l’impresa Webuild con sede a Rozzano, per seguire con le altre consorziate dove non figura un solo azionista a sud di Roma, almeno in attesa delle cessioni in subappalto che preoccupano don Ciotti di Libera, e non solo lui, per le possibili infiltrazioni criminali.
Le diverse posizioni dei forzisti Schifani e Occhiuto vanno al di là della misura del prelievo. Il presidente della Calabria, che ha incassato le proteste dei sindaci Nicola Fiorita (Catanzaro) e Giusy Caminiti (Villa San Giovanni), appoggiati dai consiglieri regionali di opposizione Nicola Irto, Ernesto Alecci e Antonio Lo Schiavo, sta giocando una partita complessa che vede la sua città, Cosenza, al centro di appalti su larga scala. Il più sicuro è quello dell’autostrada del Mediterraneo per il tratto problematico a sud della città silana, sebbene la nuova A2 Salerno-Reggio sia stata dichiarata completa più volte, l’ultima a dicembre del 2016 dal premier Paolo Gentiloni.
Il vero jackpot per Occhiuto è l’alta velocità ferroviaria dove sta prendendo piede una follia progettistica senza precedenti in Italia. Invece di seguire la costa tirrenica, come fa la linea ferroviaria adesso, si vuole portare il treno veloce sulle montagne del cosentino con un allungamento significativo del percorso in termini chilometrici e un aumento esponenziale dei costi dovuti a un percorso quasi del tutto in galleria. Per adesso i soli interventi definiti prioritari da Rfi e limitati a 207 chilometri valgono 11,2 miliardi di euro, un altro ponte sullo Stretto. L’opera intera costerebbe almeno il triplo.
Il fronte della politica siciliana rimane caldo grazie all’incendiario Cateno De Luca, ex sindaco di Messina e oggi primo cittadino a Taormina con il suo movimento Sud chiama Nord. De Luca ha proposto la sfiducia a Schifani accusandolo di essere un pupo di Salvini e di essersi inventato la delibera da 1 miliardo di euro per sostenere il ponte con i fondi regionali. Anche l’attuale sindaco di Messina, Federico Basile, si è espresso in termini molto critici. Nel rissoso centrodestra isolano spicca il derby peloritano tra il senatore salviniano Nino Germanà e il deputato forzista Tommaso Calderone, che ha definito uno scippo il prelievo di 1,3 miliardi dalle casse regionali.
A tentare la mediazione è intervenuta la sottosegretaria ai rapporti con il parlamento, la forzista Matilde Siracusano. «C’è stato un equivoco sui 300 milioni in più», ha dichiarato la deputata messinese compagna di Occhiuto. «Tutto verrà chiarito con l’accordo di coesione insieme al ministro Fitto».
Da chiarire con urgenza è la possibilità, piuttosto bassa, di centrare la scadenza per il Fsc 2014-2020, fissata entro fine anno. Secondo un documento della Camera dei deputati, l’Italia «pur collocata al secondo posto tra i Paesi UE in termini di risorse finanziarie assegnate a valere sui Fondi Strutturali, si colloca al penultimo posto in termini di attuazione finanziaria». Il rischio è di perdere quello che non sarà stato investito entro il prossimo 31 dicembre.
Le cose non vanno più spedite per la fase 2021-2027 del Fsc. Dopo la delibera Cipess di inizio agosto che ha fissato in 32,4 miliardi la dotazione del fondo da distribuire per quattro quinti al Sud, il governo ha annunciato il primo accordo sulla programmazione con la Liguria di Giovanni Toti il 22 settembre mettendo a disposizione 265 milioni di euro. Il secondo accordo è arrivato il 7 dicembre, quando Giorgia Meloni ha firmato con il presidente del Piemonte Alberto Cirio per 865 milioni di euro.
La precedenza nordista per un investimento ideato a prevalente vantaggio delle regioni meridionali non è un caso e l’idea del governo centrale in fondo è semplice. Con il mastodontico collegamento fra Calabria e Sicilia si saltano le inadeguatezze tecnico-amministrative degli enti locali. Si concentra il massimo dei soldi nel grande calderone pontista governato dalle imprese del Nord. E il meridionalismo in versione leghista è servito.