Il Consiglio di Stato ordina di mettere in gara le concessioni. L’Unione europea concede al massimo due mesi. Il governo cerca di prendere altro tempo dopo anni e anni di inadempienza

Per i nemici la legge si applica e per gli amici si interpreta. Pare l’abbia detto un giorno Giovanni Giolitti, in uno slancio di sfacciata sincerità. Qui è sempre stato così, ma ora scopriamo che il metodo trova campi di applicazione mai inesplorati. Diversamente, l’avvilente sceneggiata sulle concessioni balneari che va avanti dal 2006 finirebbe il 31 dicembre prossimo.

C’è una sentenza del Consiglio di Stato, esattamente la numero 18 del 20 ottobre 2021, che non lascia spazio a dubbi. Emanata quando è presidente Filippo Patroni Griffi, e dall’adunanza plenaria, l’organo giudicante più alto in grado, demolisce una precedente decisione del Tar Puglia sul ricorso di un balnearista di Spiaggiabella, litorale leccese. Il Comune di Lecce gli ha rifiutato la proroga triennale della concessione e lui porta la faccenda al Tar, che gli dà ragione. Allora il Comune si rivolge al Consiglio di Stato, dove si trova di fronte in giudizio un esercito di balnearisti con tutte le loro associazioni schierate. Costretti però tutti a subire una sconfitta bruciante. Perché non solo vengono dichiarati estromessi dal giudizio, ma nella sentenza il Consiglio afferma il principio che le proroghe automatiche delle concessioni demaniali, comprese quelle decise con la scusa del Covid, sono in contrasto con il Diritto Comunitario. Perciò, testuale, «non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione». In ogni caso, oltre il 31 dicembre 2023 si considerano scadute, «nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’Unione europea».

 

Una bomba. Che però si cerca subito di disinnescare. La magistratura amministrativa non ha terzo grado di giudizio tranne in qualche caso particolare. Questo è appunto uno di quelli. E la Cassazione annulla la sentenza del Consiglio di Stato con la motivazione che i balnearisti e le loro lobby avrebbero diritto di partecipare al giudizio che riguarda un associato. Immediata l’esultanza dei politici amici dei balnearisti, da Forza Italia alla Lega (che pure la direttiva Bolkestein avevano votato al Parlamento europeo), fino a Fratelli d’Italia.

 

Sanno però che quella sentenza del Consiglio di Stato non è isolata? Lo stesso giorno, quel 20 ottobre 2021, l’adunanza plenaria di Palazzo Spada ha giudicato un altro caso simile riguardante una concessine demaniale in Sicilia. E la sentenza, la numero 17, è la fotocopia della numero 18. Stesso concetto, stesse identiche parole: le concessioni balneari scadono improrogabilmente il 31 dicembre 2023. C’è solo una differenza. Cioè che la numero 17, a differenza della numero 18, non è stata impugnata. Ed è passata in giudicato. Dunque immediatamente esecutiva: non c’è Cassazione che tenga. Perciò a San Silvestro la direttiva Bolkestein che impone gare per le concessioni demaniali dovrebbe diventare operativa anche in Italia.

 

Lo sanno, ma fanno finta di niente. Da quella direttiva sono passati 18 anni e i governi (dieci) che si sono succeduti hanno sempre evitato di applicarla.

Infischiandosene della sentenza ormai definitiva e delle prevedibili pesanti sanzioni europee, quello di Giorgia Meloni concede addirittura una proroga ulteriore al 31 dicembre 2024. Mentre si lavora nel tentativo di bloccare i siluri di Bruxelles. Piuttosto puerile: si arriva perfino a interpretare la geografia. L’Italia non avrebbe 8 mila chilometri di coste, ma ben 11 mila e le spiagge in concessione sarebbero appena il 33 per cento. Assegnate a 27 mila concessionari che pagano allo Stato 115 milioni l’anno. Ma a fronte di un giro d’affari, tenetevi forte, di 32 miliardi. «Pur di non intaccare gli interessi della lobby dei balneari, nella relazione da inviare all’Ue il governo Meloni allunga l’Italia…», ironizza il deputato di +Europa Riccardo Magi sul risultato della mappatura già sollecitata con decisione da Fratelli d’Italia. Della sollecitazione si fa carico Costanza Bianchini, titolare di uno stabilimento balneare a Sarzana nonché responsabile del demanio marittimo e imprese balneari del partito di Giorgia Meloni, candidata senza fortuna alle Politiche in Liguria. E ciò che ne viene fuori, guarda caso, servirebbe a sostenere la tesi della ministra del Turismo di FdI, Daniela Garnero Santanchè, già proprietaria di una quota dello stabilimento balneare Twiga a Forte dei Marmi. Prima di mettere a gara le concessioni esistenti (e scadute), dice, si dovrebbero semmai fare le gare per le spiagge ancora libere. Un pallonetto alzato anche alla Lega. 

 

«La mappatura dimostra come ci sia ampio spazio di mercato per nuovi operatori. Avanti così!», commenta prontamente il deputato leghista Salvatore Di Mattina, balnearista di Gallipoli e presidente di Cna balneari Puglia: associazione costituitasi contro il Comune di Lecce nel giudizio poi impugnato in Cassazione. La linea è sempre quella plenipotenziario balnearista di Forza Italia Massimo Mallegni, ex senatore berlusconiano con attività a Martina di Pietrasanta, che ha fallito la rielezione. «Le regole vanno scritte tutelando la continuità delle aziende, superando sentenze del Consiglio di Stato basate su principi errati, convincendo la Ue che la Bolkestein non si applica a questo settore», è il suo credo. La Ue, però, non si è convinta e ha intimato all’Italia di applicare le regole entro due mesi. Anche volendo (ma nessuno vuole) sarà impossibile. Per organizzare i bandi serve un decreto attuativo ancora neppure immaginato. Figuriamoci se proprio adesso c’è tutta questa fretta…