Belle storie
Adozioni dalla Cina, il sogno interrotto di quei genitori in attesa dei loro bambini
Dal 2020, decine di coppie italiane aspettano invano l’arrivo dei figli che erano destinati a loro. Che intanto sono cresciuti, cambiati. E rischiano di perdere l’occasione di avere una famiglia. Ma c’è chi non s’arrende e lotta con ostinazione
Una cameretta con un piccolo lettino, un cappello di lana con due occhietti orientali disegnati. Come quelli che ha il loro bambino. E poi i vestitini, i giocattoli pronti per accogliere un bambino di sei anni. «Ho dovuto regalare tutto a una mia amica ed è stato dolorosissimo. L’ho dovuto fare perché sono passati più di tre anni e Li Shiu, che doveva arrivare nella nostra famiglia a sei anni, oggi ne ha quasi dieci e la sua taglia, le sue esigenze sono cambiate. Ho tenuto solo il cappellino, come ricordo di quell’emozione tradita».
Paola e Ilario, come altre trenta coppie, a fine gennaio 2020, prima del lockdown, avevano finalmente ottenuto l’abbinamento dei loro figli in arrivo dalla Cina, nel corso di una procedura di adozione internazionale. In Italia, però, i bambini non sono mai arrivati e nessuno, ancora oggi, riesce a farli ricongiungere. C’è chi ha perso le speranze, chi lotta con ostinazione, chi manifesta cercando di far prevalere un diritto genitoriale che viene soffocato dalla burocrazia, dalle distanze.
«Noi non rinunciamo a lui, anche se il tempo passa ed è sempre più difficile. Come si fa ad abbandonare un bambino che era orfano, che già era stato abbandonato? È questo che ci ha spinti, in questi anni terribili, ad andare avanti».
Durante la pandemia le coppie hanno scritto al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, poi al presidente Mario Draghi, sperando di ottenere più risultati per la sua competenza diplomatica, e infine alla presidente Giorgia Meloni, sperando potesse prendere a cuore il dramma di queste famiglie italiane sciogliendo una situazione tragica: «I nostri piccoli hanno anche problemi di salute, che avremmo potuto curare».
E poi ancora hanno coinvolto televisioni, giornalisti, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la Santa Sede, confidando nella coerenza di chi si è sempre occupato di diritti, di giustizia, di famiglia, di fede. «Abbiamo ricevuto diverse risposte e impegni: ci dicono che sono a conoscenza della nostra situazione e che stanno facendo il possibile».
In questi anni, però, il possibile si è limitato a vedere crescere i bambini in fotografia o per pochi secondi in qualche video recapitato dagli enti che li hanno in custodia. I contatti sono rari e arrivano dopo otto, nove mesi, in cui un bambino inevitabilmente cambia, si trasforma. «Qualche volta, se passano troppi mesi, non riesco a riconoscere il mio Li Shiu. Lo abbiamo adottato che era diverso (e non solo per l’aspetto fisico). Anche noi siamo cambiati. Noi tutti ci siamo preparati ad accogliere dei bambini di un’età e ora ci troviamo a doverci riorganizzare, anche a livello materiale».
«Il mio pensiero è sempre andato a Li Shiu, a cos’altro fare. C’era un bambino che oggi è un ragazzino, dall’altra parte del mondo, per il quale, forse, noi rappresentiamo un’ultima occasione per poter avere una famiglia che lo amerà per tutta la vita. Il suo destino, la sua felicità dipendevano da noi fino a un certo punto. E oggi, invece, qualcuno ha fatto in modo che noi, il nostro impegno, il nostro amore incondizionato non bastino più».
Se questa diventerà una storia bella, come quelle che scrivo di solito su L’Espresso, dipenderà solo da chi non avrà permesso di continuare a lasciare spente le luci di queste camerette, pronte per illuminare delle nuove famiglie.