Cultura
6 marzo, 2023

Anche il Timballo è una delle meraviglie del nostro Rinascimento

Un piatto ricco della tradizione italiana da nord a sud, che ha origine nelle cucine di Corte e deve il nome a uno strumento musicale

Uno scrigno prezioso che racchiude una sorpresa ricca e voluttuosa per una raffigurazione, quella dell’universo dei timballi e pasticci, che per traslato può attribuirsi al mondo gastronomico della sorpresa, dell’effetto speciale. Come nel caso della “cloche” che lascia il commensale in attesa della “levata”.

 

L’etimologia del timballo deriva da esigenze strumentali e lo conduce dalla musicologia alla gastronomia: il moresco strumento a percussione atabal mutò probabilmente la sua funzione per diventare stampo emisferico, utensile privilegiato per confezionare preparati gastronomici altrimenti senza forma, per fare omaggio all’opulenza delle tavole delle italiche corti. Del resto, dentro all’impasto croccante si custodiva un cuore arabescato reso fondente da un ragù di tagli scelti e dalla componente casearia realizzata con burro, latte e farina.

 

Doppio tema: morbido-croccante, dolce-salato, con quid amarotico quando si innestano interiora. Questa la progettazione ingegneristica dei timballi, il cui termine nel tempo è andato ulteriormente traslandosi passando per metonimia dal contenente al contenuto ovvero quella nobile preparazione culinaria che toccherà tutta la Penisola. Così nella cucina partenopea sono chiamate timpani (anche qui si presenta un rimando al mondo musicale), pasticci di maccheroni, lasagna di Carnevale, in Abruzzo il timballo di maccheroni e melanzane, in Sicilia lo sformato di anelletti o anellini, mentre in Emilia soprattutto nel piacentino troviamo la bomba di riso, nel reggiano il pasticcio di cappelletti.

 

In termini di variazioni, poi, non possiamo esimerci dal segnalare il Timballo Orloff in cui la pasta di ricopertura viene sostituita con delicate crêpes. E poi c’è lui, quello ferrarese che, nella sua esegesi culinaria, riporta gran parte di quel gusto per le ibridazioni che riguardano la storia del timballo stesso, e che consiste in un pasticcio di maccheroncini reso ghiotto con ragù bianco di carne, besciamella, funghi e tartufo nero il tutto avvolto in una crosta di dolce pasta frolla che è il retaggio rinascimentale. Quando si diffonde il piacere popolare per la contaminazione tra dolce e salato, un’abitudine che era viva anche presso la cucina mantovana che, non a caso, condivide con quella ferrarese oltre ai più particolari gusti cortigiani, anche il ducato, e poco importa, si fa per dire, che da un lato ci fossero gli Estensi e dall’altro i Gonzaga: dolce e salato, per loro, devono entrare in conciliazione. La sua forma, difatti, richiama non solo la cupola, ma anche il celebre copricapo pontificio che andava ad omaggiare, a cavallo tra XV e XVI secolo, la legazione di stanza a Ferrara dopo l’incorporazione del Ducato.

 

DOLCE
Il carrello dei formaggi
Sarà pure demodé, sarà anche un po’ scomoda e ingombrante però l’unico modo per vendere formaggi è proprio la “voiture”: solo così si invoglia e si fa cultura diretta per conoscere ed assaporare lo straordinario mondo caseario.

 

...E AMARO
Gli amari… dolci
Comprendiamo che il gusto dolce sia diventato un paradigma, però allora sarebbe meglio chiamarli in un altro modo. Lasciando agli amari - nomen omen - la loro forza nerboruta degna di una chiusura del pasto dal gusto d’antan.

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