La gigantesca speculazione che minaccia l’area ex Falck alle porte di Milano

È un business da almeno 5 miliardi sull’area dismessa più grande d’Italia. Ma a Sesto San Giovanni non si sa che fare con 1,5 milioni di metri quadrati. E le fondazioni della sanità pubblica esitano a traslocare di fronte agli appetiti del Milan, dell’Inter e delle immobiliari

Nella Milano dell’emergenza abitativa, dei sottoscala a mille euro al mese, degli studenti attendati per protesta contro gli affitti, non si sa che fare di un’area da 1,5 milioni di metri quadrati appena oltre il confine fra il capoluogo e il Comune di Sesto San Giovanni, in piena città mcetropolitana.

 

L’enorme buco vuoto a nord era occupato dalle acciaierie Falck fino al 1996, quando l’ultima attività produttiva è stata chiusa. Quattro anni dopo Giuseppe Pasini ha comprato per 400 miliardi di lire da Alberto Falck. Pasini, scomparso nel 2021 a 91 anni, ha ceduto a Luigi Zunino nel 2005. Dopo la crisi dell’immobiliarista di Nizza Monferrato e della sua holding Risanamento, nel 2010 è arrivato il bolognese Davide Bizzi che ha venduto nel 2019. Oggi l’area fa capo alla Milanosesto dove si sono incrociati politici e manager di Hines e di Prelios, l’ex Pirelli Re.

 

Nella riedizione mattonara della Fiera dell’est di Angelo Branduardi («e venne il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò»), le bastonate rischiano di prenderle un po’ tutti.

 

In prima fila nell’operazione c’è Intesa che ha investito 900 milioni di euro e ha in pegno il capitale della Milanosesto. Un terzo della cifra è stato svalutato e il 24 maggio difficilmente ci saranno decisioni in cda. Unicredit e Bpm hanno puntato 130 milioni a testa e Ifis 10 milioni. I debiti di costruttori e sviluppatori immobiliari, scaduti a gennaio, sono stati rinnovati per un triennio.

 

A questi soldi vanno aggiunti 280 milioni di euro di denaro pubblico messo a disposizione dal Mise e dalla Regione Lombardia amministrata dal centrodestra, come il Comune dell’ex Stalingrado d’Italia, guidato da Roberto Di Stefano, rieletto sindaco l’anno scorso.

 

Se si pensa che il valore dell’operazione è stimato a 5 miliardi di euro, non è certo un finanziamento imprudente o sproporzionato. Ma questi soldi, in parte già spesi in una bonifica massiccia dell’area industriale, non bastano più dopo l’aumento dei costi dovuto allo choc energetico.

 

I prezzi alle stelle non sono neppure il problema più grave. La difficoltà maggiore è che il progetto originale, al quale hanno lavorato architetti del calibro di Renzo Piano, rischia di essere accantonato in omaggio a una gestione delle politiche urbanistiche lasciata troppo spesso ai privati e alle banche.

 

La destinazione delle aree Falck è cambiata più volte con l’alternarsi dei proprietari. Con l’entrata in scena della parte pubblica, e con l’emergenza pandemica, il perno dell’operazione è diventato la Città della ricerca e della salute. Il polo sanitario dovrebbe occupare quasi un decimo dell’intera area (135 mila mq) e diventerebbe il più grande in Europa con 660 posti letto, 42 ambulatori, 20 sale operatorie e tremila addetti.

La giunta regionale di Attilio Fontana ha deciso di finanziare la ricostruzione dell’ex Falck proprio perché il progetto è una delle chiavi più importanti per rilanciare la sanità pubblica lombarda. Non è un caso se il cda della Milanosesto è stato prima guidato dall’avvocato leghista Giuseppe Bonomi, ex Sea, e ora dal suo capo del personale nella società aeroportuale, Luciano Carbone. Fino a novembre nel cda sedeva Guido Bertolaso, che si è dovuto dimettere dopo essere stato nominato assessore regionale al Welfare.

 

Gli inquilini designati della Città della salute sono due fondazioni di alto prestigio clinico-accademico, il neurologico Carlo Besta e l’Istituto nazionale dei tumori, entrambe pubbliche, coinvolte fin dal 2012 nella convenzione per le bonifiche con la Regione e il Comune. Sono previsti centri per la formazione professionale e una presenza dell’università Vita-Salute San Raffaele del gruppo privato San Donato (Gsd). E c’è un progetto per portare il museo dell’università Statale.

 

Ma evidentemente nella Milano dominata da una speculazione immobiliare paragonabile solo a quella del primo boom economico a qualcuno degli attori è parso che puntare sulla sanità pubblica non fosse abbastanza redditizio.

 

La prima rottura del fronte è arrivata da un finanziere nato a Philadelphia con laurea a Harvard e master a Oxford. Si chiama Gerry Cardinale e un veicolo societario del suo fondo Redbird controlla l’Ac Milan. In marzo, alla richiesta del Comune di Milano di chiarire il suo assetto proprietario il club rossonero ha chiesto ben novanta giorni di tempo.

 

Cardinale ha già incontrato il sindaco di Sesto per ufficializzare l’interesse del Milan verso l’area con giubilo di Bonomi, che nel frattempo è diventato consulente delle due squadre milanesi per la questione stadio. Probabilmente la visita di Cardinale e gli annunci del presidente del Milan Paolo Scaroni, da poco spedito alla presidenza dell’Enel dal governo Meloni, sono stati solo una forma di pressione sul sindaco dell’area metropolitana milanese Beppe Sala tanto che, dopo mesi di grancassa mediatica, il nuovo stadio a Sesto sembra scomparso dai radar della cronaca.

 

«Personalmente faccio fatica a vedere una convivenza fra Città della salute e nuovo stadio», dice Carlo Borghetti, capogruppo Pd nella commissione regionale welfare. «Inoltre l’area è di proprietà del Besta e dell’Istituto tumori. Dovrebbero vendere. Certo è che, senza Città della salute, cambia tutto e perciò ho invitato le due fondazioni in audizione per conoscere i loro programmi».

 

Nemmeno le due fondazioni sanitarie vedono di buon occhio una convivenza con il viavai delle partite. La dirigenza dell’Ircss Besta sta impegnando i ricavi di una consistente donazione privata in nuovi laboratori presso la sede attuale, nel quartiere milanese Città studi. Considerato che il polo sanitario di Sesto dovrebbe essere inaugurato entro il 2026, l’investimento su una struttura vecchia appare un segnale di sfiducia verso Sesto.

 

Ma lo stadio nuovo non è l’unica possibile virata rispetto ai piani originari. Una svolta radicale potrebbe arrivare dalla magica formula del social housing.

 

«Da dicembre 2022 abbiamo notato rallentamenti nei lavori», dice Yuri Maderloni, consigliere democrat a Sesto, «soprattutto sulla stazione Ponte Sesto progettata da Piano. Il prolungamento della metropolitana si è fermato. A novembre è emerso il progetto di uno studentato con un orientamento verso il terziario intorno alla nuova sede di Intesa. Siamo preoccupati che il social housing, considerato più benevolmente dalle autorità pubbliche quando si tratta di valutare nuovi debiti, diventi la leva principale e trasformi l’area Falck in un quartiere dormitorio. E poi cosa si intende per social housing? Le case da 500 euro al mese? Un progetto a servizio dell’espulsione da Milano di chi ha uno stipendio normale?».

In attesa di risposte, sul fronte dei privati le cose si stanno muovendo in fretta. «Abbiamo valutato con grande attenzione la visione del ceto bancario e in particolare di Intesa», ha dichiarato al Sole 24 ore Mario Abbadessa, country manager di Hines per l’Italia, «e abbiamo scelto una soluzione di sistema con questa visione insieme a soggetti come Redo, che hanno una missione socialmente rilevante e si sposano con i nostri valori».

 

Anche negli assetti societari ci sono stati cambiamenti. La costruzione della Città della salute è stata affidata al consorzio Cisar che ha come capogruppo Condotte con il 40 per cento, seguita da Fincantieri con il 30, Italiana costruzioni con il 20 e Edison con il 10.

 

Fincantieri ha chiesto più volte di acquisire la quota di Condotte ma gli amministratori straordinari dell’impresa in crisi hanno sempre rifiutato. Così lo scorso aprile Condotte è stata ceduta a Valter Mainetti, proprietario di Sorgente group ed editore del Foglio, che è ben deciso a tenersi stretta la sua quota. Per Cisar l’area di Sesto è comunque un ottimo affare visto che il consorzio si è aggiudicato anche il ragguardevole business della manutenzione stimato 900 milioni di euro in 23 anni. Inoltre, gli extracosti che hanno avuto impatto su tutto il settore delle grandi opere hanno indotto Cisar a chiedere una revisione del contratto altrettanto ragguardevole. Il ritocco chiesto è di 150 milioni di euro, oltre la metà in più rispetto ai 280 milioni previsti.

 

Nell’armonia difficile fra capitale pubblico e privato gioca un ruolo anche Edoardo Caltagirone, fratello minore di Francesco Gaetano, che ha rilevato gli stabilimenti Vulcano, i primi del recinto Falck a chiudere nel 1979. Nella cosiddetta Caltacity sono stati realizzati un quartiere residenziale e un centro commerciale dove la catena Il gigante, fondata proprio a Sesto da Giancarlo Panizza mezzo secolo fa è stata avvicendata da Conad.

 

Gli avvicendamenti riguardano anche l’assetto della Milanosesto. A luglio dell’anno scorso c’è stato il passaggio del controllo alla londinese Hines Iron associates. Fra gli azionisti della limited londinese ci sono Fabrizio Palenzona, presidente del gruppo Prelios controllato dal fondo Usa Davidson Kemper e nominato da poco alla guida della Fondazione Crt, e il figlio Mattia, direttore sviluppo di Prelios.

 

Il giovane Palenzona, 37 anni, uno in più di Abbadessa, è stato inserito nella nuova controllante dopo un rigiro di quote, cedute al prezzo nominale per poche migliaia di euro, fra i soci precedenti. Oltre al padre, si tratta di Riccardo Serrini, Nicolò Denaro, Massimo Marinelli, Sergio Cavallino e Angelo Cattaneo, tutti manager inquadrati nei ranghi di Prelios.

 

L’elemento che più rivela le difficoltà dell’operazione è il coinvolgimento delle altre due big dell’immobiliare milanese. Si tratta della Coima di Manfredi Catella e di Redo sgr, guidata da Fabio Carlozzo e molto attiva proprio nel settore dell’housing sociale con la riqualificazione dell’area dell’ex Macello in viale Molise a Milano dove i nuovi affitti low cost dovrebbero partire da 450 euro al mese per un bilocale.

 

A marzo Prelios e Hines avevano dichiarato irricevibile l’offerta di partnership di Coima e Redo. In meno di un mese hanno cambiato idea e hanno accolto a braccia aperte la proposta. Adesso sull’area ex Falck ci sono davvero tutti i padroni del real estate. A pensar male andreottianamente, si direbbe che siano attratti dal nesso fra housing sociale e finanziamenti pubblici. Di sicuro il tempo di scegliere tra polo sanitario, stadio e quartiere residenziale si avvicina. Altrimenti, la fine di tutti i lavori andrà molto oltre la scadenza prevista del 2032 e l’ex zona industriale di Sesto San Giovanni rimarrà un buco nero.

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