«Conoscevo persone obbedienti e le loro vite non erano migliori delle nostre. Continuavano ad arrabbiarsi, continuavano a perdere le loro case, continuavano ad andare in prigione, continuavano a morire per strada» (Hunter, 2019). La casa è uno strumento di irradiazione di molti diritti fondamentali: la sua garanzia rappresenta il mezzo per rendere gli altri diritti non solo effettivi, ma anche dotati di senso. I movimenti e i sindacati per il diritto all’abitare si muovono intorno a numerose rivendicazioni, tra le principali troviamo: l’utilizzo immediato degli alloggi e degli edifici pubblici inutilizzati; il blocco dell’esecuzione con la forza pubblica degli sfratti; la gestione del sovraffollamento negli affittacamere; lo stop alla compenetrazione tra pubblico e privato, cioè la cessazione dello stanziamento di fondi pubblici ai privati che speculano e aumentano il valore di intere aree cittadine contribuendo così ai processi di gentrificazione.
Per gentrificazione si intende il processo socioculturale che trasforma un’area urbana da proletaria a borghese a seguito dell’acquisto di immobili con conseguente rivalutazione sul mercato, costringendo così lo spostamento verso zone periferiche della città, e il conseguente cambio radicale delle condizioni di vita delle persone. In questo senso, le politiche abitative sono, quindi, chiamate a garantire non solo l’accesso a un alloggio dignitoso, ma anche il diritto a vivere in un contesto sostenibile, sotto il profilo ambientale e sociale. In questa cornice, gli sfratti sono la punta dell’iceberg di una sofferenza abitativa strutturale del nostro Paese che riguarda l’intero comparto dell’affitto e dei senza casa.
In Italia le famiglie in affitto sono circa il 20 per cento delle famiglie residenti, rappresentando circa il 45 per cento dei 5,6 milioni di persone in povertà assoluta, di queste 1,3 milioni sono minori. Povertà assoluta significa non potersi permettere le spese minime per condurre una vita dignitosa. Nel 2005 la percentuale era il 3,3 per cento della popolazione residente in Italia; nel 2021 era il 9,4 per cento; nel 2022 5,6 milioni di persone, dunque il 10 per cento della popolazione. Nel 2022 gli sfratti eseguibili in Italia erano circa 150 mila, il 90 per cento eseguibili per morosità (Sole 24 Ore). Le convalide di sfratto sono attualmente 37 mila, numeri particolarmente alti anche perché si stanno eseguendo quelli accumulati con il blocco degli sfratti durante il periodo pandemico.
A dicembre l’Unione Inquilini ha lanciato l’allarme rispetto alla decisione del governo di azzerare i fondi di contributo per l’affitto e la morosità incolpevole. La decisione di azzerare le dotazioni di bilancio, insieme all’assenza di misure strutturali contro l’emergenza abitativa, causerà un aumento drammatico degli sfratti e delle persone senza casa, in una situazione già estremamente precaria. Nonostante la natura non strutturale e le modalità di erogazione delle risorse, il contributo affitto e i fondi per la morosità incolpevole hanno costituito negli ultimi anni uno strumento utile per alleviare il disagio abitativo, impedendo o ritardando gli sfratti fino a consentire ai nuclei familiari in difficoltà di trovare un’altra sistemazione abitativa. In Italia, con i finanziamenti che venivano erogati, 600 mila famiglie beneficiavano di fondi di contributo per l’affitto, mentre 650 mila persone sono utilmente collocate in graduatoria: hanno cioè il diritto alle case popolari, ma le case non vengono loro assegnate. Per far un esempio della gravità della gestione di queste, si consideri che nel 2022 l’Unione Inquilini di Ladispoli è riuscita a ottenere un’assegnazione di casa popolare in emergenza, la prima assegnazione dal 1986.
Il 20 dicembre l’Assemblea di autodifesa dagli sfratti di Roma ha protestato davanti alla sede del dipartimento del Patrimonio e delle Politiche abitative con lo slogan «Basta persone senza casa, basta case senza persone», denunciando così i 7 milioni di case inutilizzate in Italia, ovvero il 25 per cento degli appartamenti in un Paese in cui 2,3 milioni di famiglie non possono permettersi un alloggio. Inoltre, denuncia l’Assemblea, sono quasi 50 mila gli alloggi di liste di edilizia residenziale pubblica non utilizzati perché non hanno ricevuto la giusta manutenzione dall’ente gestore.
Premio gentrificazione
A Bologna, dal 2014, le strutture extra-alberghiere sono triplicate. Al momento in città ci sono quasi quattromila Airbnb. D(i)ritti alla città ha stimato che a Bologna ci sono 547 case vuote, di cui 183 pubbliche, con un totale del vuoto immobiliare di 1.079.902 metri quadrati, equivalente a più di quattro volte i Giardini Margherita (2021).
Premio sfratti
Nel 2021 a Pisa, c’è stato un aumento di più del 600 per cento di richieste di esecuzione e di più del 550 per cento di sfratti eseguiti con la forza pubblica. Solo nel 2022 ci sono stati oltre trecento sfratti. La comunità di quartiere di Sant’Ermete, dieci giorni fa, ha preso in gestione tre palazzine abbandonate, con sei alloggi l’una, e iniziato un processo di autorecupero dal basso. Sono case che il Comune di Pisa avrebbe dovuto demolire e ricostruire, le ha, invece, abbandonate. Dopo l’operazione di autorecupero la comunità chiede al Comune di assegnare le case alle famiglie in graduatoria.
Premio repressione
A novembre di quest’anno il tribunale di Milano ha emesso una sentenza contro nove membri del Comitato abitanti Giambellino Lorenteggio per «associazione a delinquere con finalità di occupazione e resistenza». L’accusa è quella di avere aiutato a occupare una serie di appartamenti vuoti di proprietà dell’Aler, cioè l’ente gestito dalla Regione che si occupa di buona parte dell’edilizia residenziale pubblica della città.
Nella complessità delle cause dell’erosione del diritto all’abitare si può additare con certezza il processo storico neoliberista in cui lo Stato si è sottratto al proprio ruolo pubblico di regolatore del mercato immobiliare e delle trasformazioni urbane, svendendo di fatto città intere, svuotandole e rendendole inabitabili. Ha fallito così nel garantire una vita dignitosa e, soprattutto, ha contribuito nel costruire una colpa sociale intorno alla povertà. Le realtà che lottano per il diritto all’abitare vogliono ristabilire la casa come diritto fondamentale, non solo come struttura che fornisce riparo, ma come luogo, fisico e non, che permette di localizzare le proprie memorie, svolgendo così un ruolo centrale nei processi di costruzione dell’identità.