Il 9 maggio del 1978 grazie a un conoscente riuscì a immortalare il recupero del cadavere dello statista in via Caetani. L’immagine fece il giro del mondo. «Mi piazzai nel palazzo di fronte, i due finestroni si affacciavano proprio sulla Renault rossa»

Ognuno di noi possiede una speciale scatola dei ricordi. Quella di Domenico De Carolis, classe 1952, ha però il potere di trasportare non solo lui, ma anche gli altri nel passato. È come una macchina del tempo e Memmo - così tutti lo conoscono - scoperchiando quello sbiadito contenitore giallo, stracolmo di documenti e di ritagli di giornale, ha la capacità di condurti in un luogo e in un istante ben preciso.

L’attimo si dilata e diventa storia. Ci si sente circondati dal chiasso delle sirene, spintonati tra la folla che si accalca. Nel mezzo degli Anni di Piombo, in una delle vie più antiche della Capitale, a metà strada fra la sede della Democrazia Cristiana e quella del Partito Comunista, siamo nel momento esatto che molti considerano un vero crocevia tra le pagine più buie d’Italia.

 

Il 9 maggio 1978, giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, in via Caetani, dopo 55 giorni di prigionia.

 

De Carolis, all’epoca cinefotoreporter della GBR, emittente privata laziale, è probabilmente uno dei pochi testimoni ad aver registrato quei fatti, senza aver condiviso pubblicamente prima d’ora il suo tassello di storia. Fu lui, assieme al collega cameraman della GBR, Valerio Leccese, a realizzare il video che portò alla notorietà l’emittente. Quella piccola tv, battendo sul tempo persino la Rai, fu l’unica a trasmettere le fasi del ritrovamento del cadavere del Presidente della Democrazia Cristiana. Immagini che furono messe a disposizione per il servizio pubblico radiotelevisivo italiano.

 

Eppure il racconto di Memmo non è mai entrato nelle ricostruzioni giornalistiche che si sono succedute negli anni. Dopo oltre 40 anni, però, da quella scatola emergono gli appunti scritti e la cronaca di quegli attimi concitati, alcuni negativi mai sviluppati di un rullino e la documentazione che dimostra la vendita di quegli esclusivi scatti.

 

Sono giorni e notti che De Carolis viene chiamato come unità esterna di supporto alla redazione giornalistica per le riprese video. Spesso segue le forze dell’ordine che verificano le tantissime segnalazioni anonime che arrivano ai centralini di polizia e carabinieri, ma una dopo l’altra tutte le soffiate si rivelano solo falsi allarmi. Mentre le ricerche di Aldo Moro si susseguono senza sosta, Memmo porta sempre con sé la sua Reflex Nikon e anche quel 9 Maggio la tiene a tracolla. Il caporedattore di GBR, Franco Alfano, ha dato indicazioni precise: la troupe si deve recare in via Caetani. Sono passate le 13 e si parla di un allarme bomba.

 

«Alfano aveva ottimi contatti, conosceva l’allora colonnello Antonio Cornacchia, comandante del Nucleo Investigativo dei Carabinieri e in qualche modo riusciva sempre a darci le giuste indicazioni», racconta De Carolis. «Spesso e volentieri arrivavamo anche prima della Rai. Anche quel giorno io e Leccese fummo velocissimi, abbiamo cercato di passare per via delle Botteghe Oscure, ma era tutto transennato. Abbiamo girato alcuni minuti di video, ma c’erano troppe persone. La confusione era tanta e non si riusciva a passare. Poi abbiamo sentito qualcuno dire che non si trattava di un allarme bomba, ma di Moro. Così conoscendo bene la zona siamo andati da via Paganica a via Dei Falegnami salendo le scale di un edificio ad angolo con via Caetani fino al terrazzo. Dietro di noi c’erano altri due fotografi. Gianni Giansanti e Maurizio Piccirilli e poi si accodò anche Rolando Fava dell’Ansa. Dal tetto era però impossibile localizzare il punto preciso. Eravamo troppo perpendicolari per avere una buona visuale. Così scesi al primo piano e suonai al custode del palazzo, Pino. Lo conoscevo perché, essendo un amante della musica, frequentavo la Discoteca di Stato che si trovava nello stabile dove lui lavorava e quindi dopo aver insistito ci promise di farci entrare. Andai a prendere l’attrezzatura facendo segno a Leccese di venire con me. A ruota ci seguirono anche gli altri e alla fine il custode ci fece entrare, nonostante fossimo in cinque».

 

De Carolis prosegue nella descrizione, sostenuto nella cronistoria, dagli appunti segnati su un taccuino di pelle: «Nell’appartamento al primo piano c’erano due grandi finestroni che si affacciavano proprio sulla Renault rossa. Un punto di vista privilegiato per la vicinanza e l’angolazione di ripresa. I fotografi si sistemarono a sinistra, noi a destra. Erano le 14.30. Iniziammo a girare a singhiozzo: avevamo una sola cassetta da venti minuti ed eravamo a corto di batterie. Io e Leccese ci alternammo alle riprese e io ogni tanto scattavo qualche foto. Quando riprendevo, facevo quello che in gergo si chiama montaggio in macchina. Avevo iniziato a lavorare quando ancora si girava con la pellicola ed ero abituato così: inquadrature pulite di 4 secondi, avendo già in mente la sequenza di immagini che sarebbero andate in onda. In quel momento, però, dicevano ancora che si trattava di un allarme bomba, ma tra gli addetti al settore, ogni fatto strano, portava il pensiero sempre a Moro».

 

Il racconto arriva, quindi, al momento del ritrovamento: «Gli artificieri e i vigili del fuoco ispezionarono la Renault rossa aprendola come una scatoletta, l’ipotesi dell’ordigno divenne sempre meno credibile. La tensione era alle stelle. Controllarono l’automobile aprendo prima gli sportelli anteriori e per ultimo fu aperto il portabagagli. Eravamo vicinissimi: nemmeno dieci metri in linea d’aria. C’era una coperta. E, appena fu scostata, lo abbiamo visto. Nella posizione che tutti conosciamo. E anche i nostri occhi su Moro, a quel punto, sono entrati a far parte di quella storia».

 

«In quel momento - confida De Carolis – mi balzò in mente un ricordo: ripensai a quando lo avevo incrociato d’estate a Terracina tanti anni prima. Avevo circa 14 anni ed ero seduto su un muretto del lungomare. Lo riconobbi dalla chioma bianca e dissi a mia madre che c’era il tizio che parlava sempre in Tv. Colloquiava, sorridente e in calzoncini, con una persona. Non so perché mi venne in mente quest’immagine vedendolo disteso e senza vita. Comunque eravamo tutti molto concentrati. Tra noi operatori c’era un mix di tensione per la gravità del momento e di euforia per lo scoop che stavamo facendo. Uscimmo dall’appartamento nel tardo pomeriggio, quando la situazione si era calmata. Io andai verso la sede de Il Messaggero e mi misi d’accordo con Pasquale Prunas al quale vendetti il rullino che avevo scattato, tranne alcuni negativi che ho conservato fino ad oggi. Leccese, invece, si diresse verso la redazione di GBR. Quando arrivai anche io in redazione c’era un clima di eccitazione. Tutti dicevano: abbiamo battuto mamma Rai, ma sulle immagini che giravano sulla rete tv pubblica e sui canali internazionali, non c’erano i nomi degli operatori che avevano fatto le riprese e nemmeno il logo dell’emittente. Rimasi sbalordito da questo e lo feci notare. Il giorno dopo chiesero di essere almeno citati».

 

Nella voce di De Carolis si avverte una nota di malinconico rimpianto: «Non ho mai cercato visibilità e per questo in pochi sanno che quel giorno ero lì. Non tutte le ricostruzioni fatte nel corso degli anni sono state puntuali e precise, ma questa è un’altra storia che preferisco tenere per me. Nonostante siano passati tanti anni, quindi, mi sembra giusto condividere quel che ho vissuto. Alla fine non si ricordano i giorni, ma gli attimi. E le scatole dei ricordi, prima o poi, devo essere riaperte».

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il pugno di Francesco - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso