Guanciale e pomodori, pecorino e peperoncino. Una delle ricette più famose da gustare sui bucatini ma anche sugli gnocchi: ecco alcuni indirizzi per gustarla

Roccaforti della gastronomia: certi piatti della nostra tradizione sprigionano un’aura eterna che sfida il tempo e le mode. Come accade con l’amatriciana. Composta in origine di soli tre ingredienti (guanciale, pecorino e pasta secca: ora Gricia) semplici da trasportare e a lunga conservazione, per secoli fu il sostentamento dei pastori laziali durante la transumanza.

 

La ricetta, poi, raggiunse l’Urbe insieme ai molti che dal reatino lasciavano i pascoli per lavorare come osti; anche se furono loro i primi a cucinarla nelle trattorie della capitale, la più antica ricetta codificata è di un cuoco romano, Francesco Leonardi, autore del manuale di cucina “L’apicio moderno”. La sua ricetta del 1790 tinge di rosso il piatto contemplando anche il pomodoro. Assurgendo dalla tradizione pastorale ad icona della cucina capitolina, l’amatriciana fu replicata in numerosi ricettari e altrettante variazioni sia sugli ingredienti (Guanciale o pancetta? Aglio? Cipolla? Pepe o peperoncino?) che sulle modalità di preparazione (ne “Il talismano della felicità” del 1927, il guanciale è tritato, non a cubetti o listelli).

 

Sperimentando nei decenni una costante evoluzione venne infine canonizzata nei seguenti ingredienti: guanciale, pomodori, pecorino romano e peperoncino. Nel disciplinare di produzione approvato nel 2015 dal Comune di Amatrice, inoltre, un goccio di vino bianco va a sgrassare il guanciale (il pecorino, invece, è solo «abbinamento consigliato»). Fermo restando che nel caso di una ricetta ancestrale è sempre insidioso, forse vano, individuarne la “miglior” versione, non resta che affidarsi al giudizio del palato. A Roma, ecco dove meglio lo si può mettere alla prova.

 

L’Arcangelo. Ottime materie prime, cottura molto al dente come piace allo Chef Arcangelo Dandini, quarta generazione di una grande stirpe di ristoratori romani doc.

 

Flavio al Velavevodetto. A Testaccio, la versione de “l’oste della porta accanto” Flavio de Maio è ghiottamente classica, eseguita secondo tradizione e con ingredienti scelti.

 

Trattoria Sora Lella. La nonna di ogni romano a distanza di anni continua, attraverso i nipoti, a soddisfare il palato di chi approda sull’isola tiberina. La tradizione romana imporrebbe il bucatino, ma lei amava gli gnocchi e quindi faceva quest’ultimi, ormai tradizionali in questa storica trattoria.

 

SantoPalato. Una cuoca abruzzese che più romana non si può. Nel regno di carbonara e quinto quarto, l’amatriciana non si lascia relegare a un ruolo da comprimaria, anzi.

 

Trattoria Pennestri. Nel quartiere Ostiense questa trattoria abbina una proverbiale aderenza alla tradizione a una continua ricerca delle più eccellenti materie prime. Una coccola al sapor di guanciale.

 

DOLCE
Il Pecorino di Amatrice. Nel sugo all’amatriciana la dolcezza del pomodoro si ravviva con la saporosa rusticità del pecorino. In questo caso perfetto supporto è il Pecorino di Amatrice (prodotto nella zona del Parco del Gran Sasso) dal colore dorato e dal gusto potente quanto basta, se come deve essere lo usiamo ben stagionato.

 

E AMARO
Intransigenza sulla amatriciana. Comprendiamo bene la bellicosità campanilistica quando si stravolge il significato di una ricetta, ma quando un correttivo resta sul solco della tradizione gustativa perché opporsi? Se il vino per sfumare per esempio è un rosso il risultato è un rilancio del pomodoro.