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14 luglio, 2025Le reticenze e le comunicazioni incoerenti dell'amministrazione americana stanno alimentando il complottismo di cui si è sempre nutrita la base elettorale trumpiana. Il rischio, per il presidente, è una frattura insanabile
C’è chi si limita a dei tweet indignati, chi esasperato chiede risposte dal microfono di un podcast. C’è perfino chi si è preso la briga di inzuppare di benzina dei cappellini con la scritta “Make America Great Again” e bruciarli con un lanciafiamme. Qualcosa si è rotto nel rapporto tra il presidente Donald Trump e la sua base elettorale più accanita, la galassia MAGA. Alla base della spaccatura c’è il caso Jeffrey Epstein, il finanziere accusato di aver gestito per anni una vasta rete di traffico sessuale minorile e morto in carcere nel 2019 in circostanze che continuano ad alimentare sospetti.
Chi era Jeffrey Epstein e che rapporto aveva con Trump
Epstein era un imprenditore con una rete di stretti legami con l’élite politica, economica e culturale mondiale. È stato accusato di aver abusato di decine di ragazze, molte delle quali minorenni. Le vittime venivano reclutate, spesso in situazioni di vulnerabilità, e indotte a prestazioni sessuali per lui e per i suoi potenti amici. Nel 2008, ha scontato 13 mesi di carcere per abusi sessuali su minori. Nel 2019, è stato arrestato di nuovo con nuove accuse federali più gravi, tra cui quella di traffico sessuale di minori. Poche settimane dopo, il 10 agosto dello stesso anno, è stato trovato morto nella sua cella a New York. Ufficialmente è stato dichiarato il suicidio per impiccagione, ma esistono diverse teorie online secondo cui sarebbe stato ucciso per evitare che rivelasse nomi compromettenti. Trump non è mai stato coinvolto legalmente nel caso Epstein, né risulta tra gli accusati o tra i “clienti” ipotetici della sua rete di traffico sessuale. Ma una relazione tra i due esisteva ed è documentata. Ci sono diverse foto che li ritraggono insieme e il nome del presidente americano figura anche nei registri di volo del famigerato jet privato di Epstein, noto come 'Lolita Express'. Al contempo, Trump durante la sua campagna elettorale ha più volte sfruttato il clamore mediatico del caso per chiedere di desecretare i file e di fare chiarezza sul coinvolgimento del “Deep State” negli affari del finanziere. All'interno del movimento MAGA, Epstein rappresentava la manifestazione del comportamento degenerato che, a loro avviso, caratterizza l'élite della società americana.
Il mistero della “lista Epstein”
In molti credono che l’imprenditore avesse una lista “lista nera” di clienti famosi coinvolti negli abusi. La scorsa settimana, il dipartimento di Giustizia Usa ha escluso l’esistenza stessa della lista e ha certificato l’assenza di prove credibili che il finanziere abbia ricattato personalità di alto profilo. Una conclusione che cozza con le dichiarazioni rilasciate a febbraio da Pam Bondi, ministra della Giustizia dell’amministrazione Trump: “La lista è sulla mia scrivania”.
La Casa Bianca ha chiarito che si riferiva all’insieme dei documenti sul caso. Ma la narrazione è ormai sfuggita al controllo del governo e rischia di privare il presidente del supporto della stessa galassia politica che ha permesso al trumpismo di prosperare. A nulla valgono i tentativi di minimizzare. "State ancora parlando di Epstein? Questo tipo è morto da anni. È incredibile che ci sia ancora chi se ne occupa", ha detto Trump lo scorso martedì a un reporter. Incalzato dalla sua base, il tycoon ha poi dedicato al caso un dettagliato post sul social Truth, in cui difende anche la procuratrice generale: "Pam Bondi sta facendo un lavoro fantastico! Siamo tutti nella stessa squadra, la MAGA, e non mi piace ciò che sta succedendo", ha scritto. Secondo il presidente, non c’è nessuno scandalo nei file di Epstein, che sarebbero stati "costruiti" dai democratici, da Obama e da Hillary Clinton. Lo stesso Epstein non conterebbe nulla e l’attenzione sul caso serve solo a danneggiare il suo movimento. Ma il fatto stesso che gli dedichi oltre dieci righe smentisce la scarsa rilevanza che Trump vorrebbe attribuirgli. Il post ha generato 40 mila commenti, quasi tutti negativi nei confronti di Trump, proprietario del social e, sulla carta, idolo degli iscritti a Truth.
Il video modificato e le presunte incongruenze nella versione ufficiale
Ogni spiegazione addotta, ogni tentativo di dare nuove informazioni non ha convinto i MAGA e, anzi, viene recepito un modo di insabbiare i fatti. “Perché mai Obama e Clinton avrebbero dovuto scrivere quei file se contenevano anche il nome di Bill Clinton?”. “Se li hanno scritti i democratici, allora non è vero che non esistono”, si legge in alcuni post pubblicati da account legati alla destra trumpiana.
Insieme al comunicato che testimonia l’inesistenza dei file, lo scorso 7 luglio il dipartimento della Giustizia ha anche diffuso un video di sorveglianza di quasi 11 ore, ripreso vicino alla cella di Jeffrey Epstein la notte prima della sua morte. Lo scopo era quello di fugare ogni dubbio sul suicidio dell’imprenditore, ma il risultato è stato il sorgere di nuovi punti oscuri della vicenda che non fanno che rafforzare le convinzioni dei complottisti. Analisi forensi condotte da Wired US e da esperti indipendenti hanno infatti rivelato che il file video non è grezzo, come dichiarato, ma modificato: sarebbe stato esportato, salvato più volte e rielaborato. I metadati - le informazioni aggiuntive che accompagnano e documentano i vari aspetti di un file - indicano che il video è stato composto da almeno due clip e poi caricato online. Gli esperti sottolineano che non c’è prova certa di manipolazione dolosa, ma la mancanza di trasparenza mina la credibilità della versione ufficiale.
La reazione della galassia MAGA
Durante una convention del gruppo conservatore Turning Point USA, tenutasi nel fine settimana a Tampa, è esplosa la delusione della base trumpiana. Il sentimento diffuso di diffidenza e ostilità è stato sintetizzato dal podcaster Brandon Tatum: "Credo che queste persone, non so per quale motivo, non ci stiano dicendo la verità su Epstein". Non è l’unica personalità un tempo vicina al presidente che sta prendendo le distanze. Tucker Carlson, ex conduttore di Fox News e figura influente del mondo conservatore, alla stessa convention ha detto: "Il fatto che il governo degli Stati Uniti per cui ho votato si rifiuti di prendere le mie domande seriamente, e affermi semplicemente ‘caso chiuso, basta con le teorie complottiste’, è troppo per me".
Elon Musk, ex braccio destro di Trump, aveva pubblicato (e poi rimosso) un post su X in cui affermava che il presidente farebbe parte della lista di Epstein – insinuando che sia questo il vero motivo per cui i file non vengono resi pubblici. In un nuovo post, Musk ha rilanciato la sfida: “Pubblica i file, come avevi promesso”.
Peter Thiel, noto miliardario della Silicon Valley e figura chiave della destra americana, si muove invece in una zona ambigua. Durante un'intervista con Joe Rogan, ha denunciato le relazioni tra Bill Gates ed Epstein, dicendo che la presidenza Trump avrebbe fatto luce sulla vicenda. Nella stessa occasione, però, ha ammesso lui stesso di aver incontrato Epstein, e di averlo fatto per “pagare meno tasse”. Non solo: secondo il New York Times, tra il 2015 e il 2016 Epstein ha investito 40 milioni di dollari nel fondo Valar Ventures, legato proprio a Thiel.
Tra l’estrema destra americana e Jeffrey Epstein c’è una fitta rete di legami e contraddizioni che contribuisce ad alimentare i dubbi di una base elettorale che per anni si è nutrita di complottismo e ostilità verso qualunque tipo di élite. Il caso Epstein, poi, ha al suo interno l’elemento della pedofilia che è uno dei temi ricorrenti alla base di teorie cospirazioniste di destra. È il caso di QAnon, secondo i cui sostenitori esisterebbe una cabala segreta di élite sataniche e pedofile che controlla il mondo e Donald Trump sarebbe il salvatore incaricato di smascherarla e distruggerla. Una convinzione, la loro, talmente radicata da spingerli ad assaltare Capitol Hill il 6 gennaio 2021.
Difficile che di una storia come quella di Epstein, che poggia su basi ben più solide di QAnon, ci si possa dimenticare dall’oggi al domani. La spaccatura nel mondo MAGA resterà e rischia di essere un serio problema per Trump. Soprattutto se il movimento riuscirà a fare a meno dell’autore della frase che gli dà il nome. Così, dalle ceneri di berretti bruciati non è da escludere che possa nascere un nuovo MAGA. Un mostro che fagocita il suo stesso fondatore, in una matrioska di complottismo: Make “Make America Great Again” Great Again.
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