La produzione di batterie segna il confine di una nuova rivoluzione industriale che potrebbe partire dal sud della Sardegna. Più precisamente dal sito industriale di Portovesme: l’unico stabilimento in Italia a produrre piombo e zinco che, da febbraio, ha fermato l’80% degli impianti a causa della crisi energetica e che adesso sarebbe pronto a riconvertirsi alla produzione di litio riciclato per batterie. Il progetto metterebbe in piedi il più grande hub europeo per il trattamento della black mass tra la fine del 2026 e l’inizio del 2027. Resta da capire quale sarà, fino ad allora, il destino dei lavoratori.
«Prima della guerra in Ucraina la Portovesme acquistava energia a circa 50 euro a megawattora, ma nel 2022 abbiamo avuto punte di 800 euro», spiega il segretario della Cgil Sardegna sud occidentale Emanuele Madeddu. Per Glencore, la multinazionale svizzera proprietaria di Portovesme, la voce energia costa più di quella lavoro. Così, è partita la cassa integrazione a rotazione per 1.500 dipendenti. «Perdere 300 o 400 euro dalla busta paga fa la differenza», confessa uno dei lavoratori che il 28 febbraio si sono asserragliati per quattro notti sulla ciminiera dello stabilimento sardo. L’obiettivo era accendere i riflettori sulla condizione lavorativa di 1.500 famiglie in uno dei territori più poveri d’Italia.
Lì dove si trova lo stabilimento metallurgico considerato strategico dal governo. La produzione di metalli non ferrosi, infatti, è fondamentale nel settore metalmeccanico che conta già 51 tavoli di crisi e circa 60mila posti di lavoro a rischio. «Mortifica dover fare gesti così eclatanti per rivendicare dei diritti», osserva il lavoratore che preferisce restare anonimo. Dalla produzione metallurgica, inoltre, dipende la transizione energetica che l’Europa vorrebbe completare entro il 2050 se si considera che «veicoli elettrici, batterie, sistemi solari fotovoltaici, turbine eoliche e tecnologie dell’idrogeno richiedono molti più metalli delle loro alternative convenzionali per sostituire il fabbisogno di combustibili fossili», si legge in uno studio di Eurometaux, associazione europea del metallurgico.
Da marzo la vertenza Portovesme è sulla scrivania del ministero delle Imprese e del Made in Italy. Ma il rinnovo del credito di imposta per le aziende energivore non è bastato a Glencore per far fronte ai costi. La multinazionale ha preferito tenere fermi i forni e puntare alla transizione energetica mettendo a punto un progetto di riconversione con Li-Cycle, azienda canadese leader nel recupero di batterie agli ioni di litio. «Per noi i progetti vanno bene, ma il punto è che vogliamo arrivarci vivi», ammonisce Madeddu che in queste settimane è impegnato nel gruppo di lavoro tecnico istituito dal ministero per definire la sostenibilità della riconversione.
Il 19 giugno si valuterà l’ipotesi di riaprire la linea zinco dello stabilimento, in modo da sospendere la cassa integrazione e arrivare alla fine del 2026 con tutti i lavoratori a regime. Resta fuori da ogni confronto, invece, la condizione energetica della Sardegna. Qui la mancanza di gas penalizza il territorio, nonostante la Costituzione impegni la Repubblica a «rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità».