La Regione a guida leghista approva uno stanziamento per prevenire le interruzioni di gravidanza, prendendo spunto da quanto fatto in Piemonte, dove vengono pagate direttamente le associazioni anti-choice

«Non toccheremo la 194», ha detto Giorgia Meloni al suo insediamento, dopo che in molti temevano questa possibilità. Il suo governo non l’ha fatto e non si capisce perché dovrebbe, visto che nelle regioni in cui governa, insieme a quelle della Lega, proprio grazie “alla piena applicazione” della legge del 1978 riesce a portare avanti politiche antiabortiste.

 

Dopo il Piemonte infatti arriva l’Umbria, tra le regioni a comando della destra, ad istituire il cosiddetto “Fondo per la Vita Nascente”. Dopo la votazione in consiglio comunale, l’11 luglio, la giunta di Donatella Tesei ha approvato la mozione già annunciata mesi prima, con lo scopo di “prevenire le interruzioni di gravidanza” e “contro l’inverno demografico”.

 

Per ora si parla genericamente di finanziamenti, senza una cifra precisa, ma il riferimento alla regione del nord guidata da Alberto Cirio, di Forza Italia, è esplicito e compare pure nel documento. Erogazione quindi di latte in polvere, pannolini, culle, aiuti per affitti, bollette e mutui, alle donne e alle coppie che decidono di portare avanti la gravidanza e alle neomamme. Saranno inoltre garantite otto sedute di psicoterapia.

 

Quello che non si sa invece, perché ancora non è stato chiarito, ma si presuppone, visto il modello di riferimento, è chi gestirà i fondi, e se, come per il Piemonte, andranno nelle mani delle associazioni anti-choice con lo chiaro scopo di impedire qualsiasi aborto.

 

Il Partito Democratico umbro e il Movimento 5 Stelle si sono fortemente opposti alla mozione: il consigliere pentastellato Thomas De Luca ha presentato degli emendamenti, sostenuto anche dai dem, che non sono stati tuttavia accolti. «Non siamo contro la vita, ma pensare che con delle mancette le donne non abortiscano non ha senso, questa giunta non si mette nei panni delle donne. Si deve affrontare il tema in maniera costruttiva e non ideologica», ha detto durante la discussione la consigliera Meloni del Pd, sottolineando che «non possono associazioni private entrare all’interno di strutture pubbliche per dire alle donne quale percorso che devono fare. Qui non si parla di autodeterminazione delle donne e delle persone, ma si riduce tutto alla sfera economica».

 

Contraccezione gratuita ed educazione sessuale, quella che l’opposizione definisce la vera prevenzione, non sono citate, mentre negli anni il Pd umbro ha fatto proposte in tal senso, poi bocciate. Stesso discorso per i consultori: «In questa mozione non è mai nominata la parola consultorio, mentre vengono smontati e ormai non ce ne sono più, chi va in pensione non è sostituito. Sicuramente la clandestinità degli aborti cresce anche per questo», commenta Marina Toschi, ginecologa dell’Aied, Associazione Italiana Educazione Demografica.

 

«Non è così che convinceranno le coppie a fare i figli, continuano dritti come se nessuno avesse parlato», aggiunge Toschi che insieme a tante associazioni femministe prova a fermare la deriva anti-aborto nella regione. L’Umbria infatti ha un tasso di obiezione alto e in alcuni ospedali è al 100%, come a Foligno. La regione poi è stata una delle ultime a recepire le linee guida per la somministrazione della RU486, che al momento però non è possibile richiedere nei consultori, ma è limitata solo ad alcuni presidi ospedalieri. È escluso ad esempio quello del capoluogo, Perugia, dove invece avviene la formazione dei futuri ginecologi.

 

«Dovrebbe essere fuori legge che gli antiabortisti entrino negli ospedali. In Francia chi fa questo tipo di propaganda è perseguito penalmente, da noi invece tutto questo è rinforzato. Cosa faranno le donne non andranno più in ospedale?», conclude Toschi.

 

«Pensano che "pagando" (poco) le donne e dando un breve supporto psicologico in consultorio possa aumentare la natalità. Da un lato dimostrano di non capire che, in questo modo, di nuovo, si addossa la responsabilità di un sistema di welfare logoro e morente alle donne, che non sono a loro avviso abbastanza altruiste da mettere al mondo comunque dei figli. Questi atti sono pericolosi palliativi proposti come cura ad una malattia», commenta Giorgia Gaggiotti della Rete umbra per l’autodeterminazione.

 

La destra sfrutta la 194 per le sue mozioni anti-choice
Non toccare la 194 quindi diventa una priorità visto che tutte le mozioni di questo tipo, anche quelle sui cimiteri dei feti, le città in difesa della vita nascente, ne riportano stralci a premessa. In particolare sono due i passaggi citati: «Rimuovere gli ostacoli di natura economica e sociale che impediscono l’istituzione e lo sviluppo di nuove famiglie» e aiutare la donna «offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto». In Piemonte inizialmente il fondo previsto era di 400mila euro, accolto con lo slogan “cento bambini in più che potranno nascere”, è stato aumentato a un milione per l’anno successivo: tutti fondi nelle mani dei movimenti per la vita e senza alcun controllo.

 

Per ora ad aver approvato il fondo ci sono Piemonte e Umbria, ma non è detto che presto non si aggiungano altre regioni guidate da Fratelli d’Italia o Lega, sulla falsariga di altre mozione sopracitate, fotocopiate identiche giunta per giunta. In testa ci sono le Marche guidate da Francesco Acquaroli, FdI, dove da tempo l’applicazione della 194 è messa a dura prova, e il Friuli Venezia Giulia, guidato da Massimiliano Fedriga, Lega, convinto sostenitore del “diritto al non aborto”, che governa una regione dall’alto numero di obiettori di coscienza.

 

Un’iniziativa simile, poi sospesa dal presidente Michele Emiliano, era stata presentata in Puglia dall’assessora Rosa Barone del Movimento 5 Stelle: cinquemila euro come sostegno alle maternità difficili. Sinistra e associazioni avevano fatto pressione perché venisse bloccata sostenendo che si trattava di un contributo economico per dissuadere dall’aborto. Matteo Salvini e il Forum delle associazioni familiari, una rete che riunisce diversi gruppi antiabortisti italiani, erano invece intervenuti a sostegno.

 

Anche a livello nazionale, però, la destra ci prova: ad esempio con il ddl sulla “Vita Nascente” presentato in questa legislatura e anche nella precedente, dalla Lega. «Il punto principale è l’istituzione di un fondo di sostegno alla maternità, per aiutare le donne in gravidanza con problemi economici o che affrontano disagi psicologici in quel passaggio della loro vita», aveva commentato il promotore il senatore Massimiliano Romeo.

 

«Tutte le statistiche ci dicono che la scelta di abortire è meno legata a problemi economici e più alla precarietà del lavoro e di vita e alla legittima scelta di autodeterminare le proprie vite», scrive in un comunicato la Rete umbra per l’autodeterminazione, «Siamo stanche di ripetere che non è attraverso elargizioni economiche irrisorie, una tantum, che si sostengono le donne che decidono di portare avanti una gravidanza, che non deve essere considerata alla stregua di una condizione patologica da curare con otto sedute gratuite di psicoterapia. La possibilità di interrompere una gravidanza fa parte di quel bagaglio di poteri e diritti che abbiamo come donne libere».