Petrodollari e stelle internazionali per trasformare un campionato di quarta fascia in un evento sportivo di livello globale. Ma gli addetti ai lavori avvertono: «Ci sono molte clausole in piccolo. Tanti alla fine non saranno pagati»

Per cominciare bisogna rendere onore a una pattuglia di coraggiosi. Sono Leo Messi, Luka Modrić, Jamie Vardy, Josè Mourinho, Lautaro Martínez, Song Seung-ming. Il prossimo 11 agosto nessuno di loro sarà in campo o in panchina per l’inizio della Saudi Pro League di calcio nonostante offerte colossali. In ogni caso il prossimo torneo giocato nel regno del Golfo sarà decisivo. Se la Saudi league prevarrà sui mugugni della critica, chi dice no agli amati-odiati petrodollari diventerà un caso raro.

 

Dal punto di vista degli organizzatori ogni dubbio è vietato. I ministri e i manager del principe reggente Mohammed bin Salman, detto Mbs, fanno sul serio e per chi fallisce da queste parti ci sono forme di esonero piuttosto radicali. Nella nuova Saudi league, per la prima volta a diciotto squadre in modo da ripescare il decaduto Al Ahli di Gedda, l’Arabia Saudita ha investito tutta la potenza economica e l’efficacia decisionale di un sistema monocratico dove il potere, quasi giorno per giorno, viene assorbito dal principe reggente ai danni dell’antica aristocrazia beduina dispersa per i rami della dinastia fondata 91 anni fa da re Abdulaziz.

 

 

Mohammed bin Salman

 

Non tutti sembrano entusiasti. Un allenatore con esperienze nelle massime serie europee commenta off the record: «Bisogna vedere se le cifre sono davvero quelle. A me risulta di no. In più, ci sono questioni fiscali e in ogni contratto molte clausole in piccolo. Ho l’impressione che più d’uno faticherà a farsi pagare». Ogni riferimento alle cause per inadempimenti contrattuali presentate in sede Fifa contro l’Al Ahli e l’Al Nassr non è casuale.

 

Inoltre volontà, determinazione e soldi non sempre bastano, soprattutto nel calcio dove alla fine il fattore tecnico e la tradizione sono decisivi. E qui non ci siamo ancora.

 

Tra i protagonisti dello sport più amato al mondo chi ha detto no lo ha fatto perché lo scetticismo può essere più forte dell’avidità. Nessuno oggi può davvero prevedere il futuro di un torneo che si gioca da agosto a maggio, spesso in condizioni climatiche difficili, con impianti non all’altezza, secondo le critiche di Cristiano Ronaldo, vero apripista della corsa all’oro che dovrebbe concludersi con l’assegnazione del Mondiale di calcio del 2030. A scorrere l’elenco delle diciotto partecipanti alla serie A saudita, si passa da una élite imperniata su alcuni campioni a una fascia medio-bassa dove le stelle europee e sudamericane rischiano di confrontarsi con calciatori di livello dilettantistico.

 

Una competizione poco impegnativa potrebbe trascinare verso il basso anche il rendimento dei fenomeni inseriti, per lo più, fra le magnifiche quattro del football locale: Al Hilal e Al Nassr della capitale Riad, Al Ittihad, e Al Ahli di Gedda, la metropoli portuale più vicina alle città sante di Mecca e Medina. Le perplessità di Kylian Mbappé, combattuto fra il miliardo offerto dall’Al Hilal e il molto più gradito Real Madrid, sono lo specchio del dilemma tecnico-finanziario.

 

Le fantastiche quattro per ora hanno incassato il sì, in ordine decrescente di salario, di Cr7, 38 anni, di Karim Benzéma, 35 anni, Jota, 24 anni, Marcelo Brozović, 30 anni, Kalidou Koulibaly, 32 anni, Edouard Mendy, 31 anni, Ruben Neves, 26 anni, Roberto Firmino, 32 anni, Seko Fofana, 28 anni, N’golo Kanté, 32 anni, Sergej Milinković-Savic, 28 anni, David Ospina, 34 anni. Non c’è dubbio che l’elenco aumenterà da qui alla chiusura del calciomercato, prevista il 20 settembre.

 

I soli stipendi di Ronaldo e dell’ex centravanti del Real Madrid Karim Benzéma valgono insieme 400 milioni di euro all’anno.

 

Per dare un ordine di grandezza, il francese di origine algerina e musulmano osservante Benzéma destinerà il 2,5 per cento del suo salario annuale alla zakat, l’elemosina che è uno dei cinque pilastri dell’Islam. Sono 5 milioni di euro, uno in più del salario annuale dell’ex compagno di nazionale, il milanista Théo Hernandez.

 

 

I quattro club di prima fila, con l’Al Hillal che è il più vincente (18 scudetti) e conta tifosi vip come il miliardario Al Walid, sono tutti in mano al fondo sovrano Pif (public investment fund) che ha un patrimonio gestito di 650 miliardi di dollari, è presieduto da Mbs ed è guidato operativamente da Yasir al Rumayyan. Le altre quattordici squadre sono rimaste sotto il controllo diretto del Mos, il ministero dello sport affidato a un’altra delle figure chiave del governo di Mbs. Si tratta di Abdulaziz bin Turki, 40 anni lo scorso giugno, ex pilota automobilistico. Suo padre, Turki bin Faysal, è stato capo dell’intelligence saudita per 23 anni, dimettendosi misteriosamente dieci giorni prima degli attacchi del 9 settembre 2001. Suo nonno era re Faysal bin Abdulaziz assassinato da un nipote nel 1975.

 

La principale posizione da outsider sembra spettare all’Al Ettifaq di Dammam. La squadra ha piazzato in panchina Steven Gerrard, ex star dei Reds di Liverpool con 114 presenze nella nazionale inglese.

 

Di pari passo con gli atleti stanno facendo affari di platino i procuratori, minacciati dalle restrizioni del nuovo regolamento Fifa che entreranno in vigore fra qualche mese. In prima fila c’è la solita Gestifute del portoghese Jorge Mendes che ha incassato il no del suo amministrato Mourinho con il sorriso sulle labbra, dopo avere piazzato i connazionali Jota e Nuno Espírito Santo all’Al Ittihad e Ronaldo all’Al Nassr.

 

Per rendere più appetibili i trasferimenti, l’Arabia ha concluso 56 accordi fiscali bilaterali che concedono di pagare zero tasse a chi vive nel paese per un minimo di 183 giorni all’anno. Basterà per avere un torneo di primo livello?

 

Lo straripante nuovo corso saudita, lanciato verso il trionfo nella corsa all’Expo 2030 contro Roma grazie al sostegno interessato di Emmanuel Macron, punta molto sugli eventi sportivi. Lo scorso novembre Riad ha conquistato l’ospitalità delle Olimpiadi asiatiche del 2029 e punta ai Giochi globali del 2030. Olimpiadi invernali, in entrambi i casi. E se a Dubai hanno costruito una pistarella da sci dentro il Mall of Emirates, Mbs creerà dal nulla il resort di Trojena, a 2600 metri di altitudine sopra il livello del vicino Mar Rosso, come elemento del colossale progetto di Neom, la megalopoli da 500 miliardi di dollari. Altri eventi certi sono la Coppa d’Asia di calcio del 2027 e la proroga, a prezzi aumentati, delle partite di Supercoppa spagnola e italiana a Riad. Per giocare quattro su sei edizioni in Arabia con la nuova formula della final four la Lega di serie A incasserà 150 milioni di euro.

 

Sono tutti contorni rispetto alla conquista dei Mondiali 2030 che riporterebbero il meglio del calcio internazionale in un paese del Golfo a soli nove anni dal torneo giocato nel 2021 in Qatar, dove il numero uno della Fifa Gianni Infantino ha trovato felicemente residenza.

 

Riad vuole attirare talenti e professionalità a tutti i livelli per dare durata all’espansione del calcio al di fuori della fiammata quadriennale della coppa del mondo. Sul modello di Aspire, l’accademia di reclutamento giovanile qatariota, i sauditi hanno creato Mahd. Il personale tecnico, dai preparatori atletici agli analisti, può fare domanda di ingaggio sul sito del Mos. L’afflusso di personale tecnico-agonistico di origine europea o sudamericana dovrebbe essere facilitato dal graduale allentamento delle regole di vita quotidiana che impattano soprattutto su mogli e compagne in un paese dove la parità di genere è di là da venire. Chi sceglie di lavorare nel mondo dorato della Saudi league si confronterà con un mondo che di sicuro è cambiato rispetto a pochi anni fa. Velo e abaya, il vestito lungo tradizionale, possono essere portati con qualche concessione in più. La scommessa è integrare il nuovo mondo calcistico nella vita quotidiana delle città e di rompere la logica della “gated community” per occidentali.

 

Non è un ostacolo da poco e certo ha pesato sulla scelta di chi, come Messi e i suoi ex compagni di squadra a Barcellona, Sergio Busquets e Jordi Alba, hanno preferito gli Stati Uniti e l’Inter Miami di David Beckham e del miliardario Jorge Mas. Certo la Mls (Major league soccer) Usa è all’ennesimo tentativo di lanciare un campionato competitivo. Finora è andata male. E ai cinesi anche peggio. Per Mbs è l’ora della palla al centro. La partita è tutta da giocare.