Il treno dei lanzichenecchi, il cedolino sventolato in Aula, il generale erede di Giulio Cesare. Coprono il vuoto di agosto, ma con le loro esternazioni fuori controllo rischiano di fare scuola

Estate militante? No, estate mina vagante. Nella bella stagione politicamente più placida della storia recente, con appena una ministra sulla graticola (Daniela Santanché) e nessuna seria crisi di governo all’orizzonte, una precisa categoria di esternazioni, a ritmo cadenzato, ha inghirlandato come una catena di lampadine colorate i pomeriggi altrimenti abbastanza piatti dei cronisti, dei vacanzieri, del popolo dei social tutto. Una sequenza che ormai fa serie, e forse comincia persino a indicare un senso (non è una buona notizia). Di certo risponde a una necessità.

 

Cosa faremmo adesso senza il generale Roberto Vannacci, il cui libro autoprodotto, il “Mondo al contrario”, gira in Pdf per i telefonini di mezza Italia e affolla metà delle rassegne stampa, mentre sull’ex comandante della Folgore aleggia – più di un Alessandro Orsini e di un Mauro Corona messi assieme - la ressa possibile di offerte contrattuali per i talk show d’autunno, a maggior ragione visto che Guido Crosetto ha benedetto la sua rimozione dal comando dell’Istituto geografico militare. Cosa avremmo fatto a inizio estate senza Alain Elkann, il cui gesto futurista vale la pena di ricordare, per quanto forse ormai seppellito sotto la valanga degli emuli. A luglio, col suo breve reportage su “Repubblica”, il giornalista e scrittore ha rinvigorito la narrativa di viaggio come nemmeno Goethe ai tempi del “Viaggio in Italia”. Un’idea, ad avercela avuta, da fare la fortuna di un consulente di marketing Trenitalia (o Italo): un bel signore distinto sale su una carrozza Roma-Foggia in piena estate, segue saga. E infatti 25 luglio, scoccando gli ottant’anni dalla destituzione di Mussolini, nei trend invece che «Badoglio» la parola del giorno era la manzoniana «lanzichenecchi»: soldati mercenari, distruggitori, violenti. E così ha descritto Elkann i ragazzi armati di iPhone, cuffie e lattine di coca: a seguire, un’impennata nella vendita dei biglietti ferroviari e di reportage da ovunque e per ovunque, da parte di signori più o meno stazzonati, intenti a confermare o a smentire la tesi originaria. In proposito bisogna segnarsi la parte più notevole, la meno citata: la riga in cui egli si stupisce che l’andare a Foggia implichi passare per Caserta e addirittura per Benevento, ossia si fa incarnazione vivente del mainstream, del dire che è intrinsecamente interessante, del punto di vista che diventa naturaliter punto di riferimento anche se ignora la geografia. Tanto da far scrivere al direttore dell’istituto di cultura italiana a New York, Fabio Finotti: «Ho visto le critiche, mi sono sorpreso e rallegrato. Ma dunque la letteratura può ancora scandalizzare, muovere le coscienze, dare scandalo?». Ma dunque anche lo sfogo di Elkann è letteratura, muove le coscienze, dà scandalo.

 

Ecco non sappiamo se siano le ondate dei 38 gradi, l’autolesionismo da noia governativa (l’anno scorso, tra la caduta di Draghi e le elezioni anticipate, c’è stato neanche il tempo di pensarla, la parola «stazzonato»), se sia il caro benzina o la prospettiva che anche stavolta il ponte sullo Stretto non si farà, di fatto l’estate 2023, a un primo bilancio, è punteggiata dalle uscite di maschi di una certa età (minimo 54 anni) che d’improvviso escono dai gangheri, perdono il controllo, manifestano reazioni esagerate, sembrano dimenticarsi di se stessi e di quello che hanno sempre saputo. In dialetto romanesco, certifica la Treccani, c’è una parola più sbrigativa per dirlo: sbroccano.

 

E così (sempre in luglio) Filippo Facci, pur assistito da intelligenza e capacità di stare fuori dal coro, non ha saputo invece esimersi dallo sguazzare nel gorgo peggiore della violenza da bar quando ha estratto dal suo armamentario lessicale quella frase terrificante a proposito della coca, del terzogenito di Ignazio La Russa indagato per stupro e della ragazza che lo ha denunciato. È tutt’ora ignoto, ha scritto anche il Foglio, come sia stato possibile che un giornalista con esperienza più che trentennale, curriculum corposo di cronista giudiziario, autore di varie contro-inchieste sugli anni di Mani pulite, sapendo di dover andare in Rai, non si sia fermato nel rileggere quello che aveva scritto (cosa che gli è costata la striscia quotidiana su Raidue).

 

Così come ancora non sappiamo perché, pur frequentando il Parlamento da sette legislature, la prima volta nel 1994, l’ex sindaco di Torino ed ex ministro dem Piero Fassino abbia deciso, nel bel mezzo della polemica sull’abolizione del reddito di cittadinanza e alla vigilia della discussione alla Camera sulla proposta dell’opposizione per introdurre il salario minimo, di attirare l’attenzione generale su una questione vagamente meno popolare come lo stipendio dei parlamentari. Una questione che i cinque stelle avevano aizzato nei loro esordi, e Fassino ha voluto rinverdire. All’inizio di agosto, sventolando in Aula il suo cedolino, ha precisato infatti che il «netto di ciascun deputato è di 4.718 euro al mese. Sono una buona indennità ma non sono stipendi d’oro». La polemica che ne è seguita ha fra l’altro oscurato l’approvazione dell’ordine del giorno di Maurizio Lupi, votato dal centrodestra, per alzare di circa mille euro lo stipendio dei deputati, tra indennità e diaria. Ecco di questo nessuno ha parlato: se ne è lamentato lo stesso Fassino, così definitivamente facendo perdere le tracce delle ragioni del proprio sventolare.

 

Nella razza sbroccona dell’estate 2023 c’è infatti questo di speciale: sono persone che di solito non entrano in questo genere di categorie. Diverse, per dire, da un Flavio Briatore o persino da un Domenico Dolce, che anche quest’anno, come più volte in passato, sono finiti nella rassegna relativa delle hit d’agosto delle frasi generatrici di polemiche. Sulla qualità della pizza, la voglia di lavorare dei giovani, il futuro degli idraulici, eccetera.

 

Si tratta invece stavolta di personaggi che di solito fanno notizia per altro, oppure che sin qui non l’hanno mai fatta. Come l’ultimo, il caso del generale Roberto Vannacci che a giudicare dai toni della premessa al suo “Mondo al contrario” parrebbe una sorta di estemporaneo Wu Ming di destra, le cui frasi sparate ai quattro venti, dalla descrizione di cosa sia normale all’anatema contro i «servi del pensiero unico», rischiano però - nell’assenza generale di ragionamenti più articolati - di riscrivere i canoni del politicamente corretto, almeno di questa stagione. Le polemiche politiche che sono sorte nel centrodestra – ad esempio con Crosetto che destituisce e il luogotenente meloniano Giovanni Donzelli che invece sostiene - rappresentano insomma il dettaglio inquietante che il momentaneo sbrocco estivo può farsi in un attimo battaglia di civiltà. E di quale civiltà viene da chiedersi, mentre sullo sfondo continua la saga, e ci possiamo solo immaginare Vannacci, convinto «forse ingenuamente» nelle sue vene «scorra una goccia del sangue di Enea, di Romolo, di Giulio Cesare», che sale in mimetica sul treno con a bordo Elkann in lino blu, per cominciare una conversazione su cosa sia la «normalità». Uniti nella lotta contro i lanzichenecchi con le cuffie.