La minoranza che vive a Sud di Damasco è vittima degli attacchi islamisti da una parte e delle mire israeliane sulla regione dall’altra. “Ma difenderemo la nostra terra

I drusi siriani sono stati lasciati soli contro tutti

Un paesaggio lunare divide Damasco da Suwayda, l’estremo Sud del Paese a maggioranza drusa. Qui da più di venti giorni vivono in stato di assedio circa 650mila persone, bloccate tra l’incudine settaria e il martello dello Stato ebraico.

 

A cavallo tra aprile e maggio, infatti, contro i drusi si è scatenata una vera e propria guerra di fazioni. «Gli attacchi sono iniziati a Jaramana, un quartiere di Damasco, preso d’assedio da un gruppo di islamisti con l’intenzione di rastrellare le abitazioni dei drusi, come un mese prima era stato fatto contro gli alawiti. Le violenze si sono poi spostate nelle città di Ashrafiyat e Sahnaya», spiega Ahmed, un giovane druso di Suwayda. «A Sahnaya hanno fatto esecuzioni di massa», continua Ahmed. «Decine di drusi sono andati da Suwayda a Sahnaya per dare supporto ai nostri fratelli, e subito la violenza si è spostata anche qui».

 

Il settarismo contro i drusi è nato dalla diffusione di un audio contro il profeta Maometto attribuito a un capo druso, e ha causato oltre 100 morti e numerosi feriti sia tra i civili che tra i membri delle forze di sicurezza (secondo i dati del Syrian Observatory for Human Rights).

 

Mohammed ha 21 anni e studia a Latakia, mentre Layal ne ha 22 e studia a Damasco; entrambi sono originari di Suwayda, dove oggi sono bloccati: «Anche nelle università ci sono state minacce e molestie nei confronti degli studenti drusi. Siamo andati nel panico e in massa abbiamo lasciato le aule per tornare a casa. Il governo non ha fatto niente per proteggerci e finché non ci sentiremo sicuri non potremo tornare in università. Il che vuol dire perdere lezioni e probabilmente l’intero semestre», spiegano i due studenti. «Le cose a Suwayda sono ancora tese, ci sono scontri e spesso si sentono spari di artiglieria pesante a Est e a Nord della città», spiega Youssef, attivista druso. «Abbiamo raggiunto un accordo con l’autorità centrale di Damasco, ma ancora non è stato applicato».

 

Il punto principale dell’accordo siglato l’11 maggio tra il presidente Al Sharaa e il governatore di Suwayda, Mustafa Bakur, riguarda le forze di difesa, le stesse che hanno protetto la città dalla tirannia di Assad. Di fatto l’accordo prevede il loro ingresso nell’esercito siriano, sottolineando la necessità di riconoscimento e di unità, non solo contro il settarismo di stampo islamista ma anche contro Israele.

 

Netanyahu, infatti, utilizzando gli eventi a proprio vantaggio, pochi giorni dopo l’inizio delle violenze ha bombardato la capitale siriana a suo dire «in difesa dei drusi». Non contento, ha annunciato la spedizione di 10mila pacchi di aiuti umanitari alla comunità drusa in Siria. Lo stesso Netanyahu che a pochi chilometri da qui costringe alla carestia, da più di due mesi, la popolazione di Gaza.

 

«Non ci fidiamo di Israele, sappiamo cosa sta facendo ai palestinesi, non crediamo a Netanyahu, vuole solo approfittare di quanto sta accadendo per occupare più terra, ma sappiamo che non possiamo fidarci neanche del nostro governo, incapace di fermare i gruppi che ci hanno attaccati», dichiara Kinan, cittadino di Suwayda che ha combattuto sia contro il regime di Assad sia contro le milizie che hanno assediato la città i giorni scorsi.

 

La comunità drusa si trova così intrappolata tra la violenza settaria al suo interno, l’incapacità del nuovo governo di gestirla e le mire geopolitiche esterne. «La questione cruciale, oggi, è se il governo siriano sia semplicemente incapace di contenere l’escalation di violenza oppure se stia scegliendo consapevolmente di non intervenire, per non entrare in contrasto con le frange più estremiste, che ormai hanno conquistato spazio dentro gli apparati dello Stato», spiega Giovanna Cavallo, attivista italiana che da anni porta avanti il progetto Yalla Study in Siria. «In questo scenario – aggiunge – interventi esterni come quelli israeliani rischiano di aggravare ulteriormente le fratture interne alla società siriana».

 

Per Netanyahu questa è un’occasione d’oro per egemonizzare il Sud della Siria: dalla caduta del regime di Assad le sue truppe sono avanzate all’interno della zona cuscinetto che, fino all’8 dicembre 2024, divideva il confine delle alture del Golan (territorio siriano annesso illegalmente da Israele dal 1967) e la Siria. «La Siria meridionale e in particolare il governatorato di Daraa vivono in uno stato di sempre maggiore tensione a causa dei ripetuti attacchi israeliani contro i civili, l’ultimo dei quali nel villaggio di Kouya», spiega a l’Espresso Tarek Alkhalil, membro del Comitato per i diritti umani di Daraa. «L’esercito israeliano ha occupato i monti sopra la piana di Wadi Kouya aprendo il fuoco sugli agricoltori. In seguito, un bombardamento israeliano nel villaggio di Kouya ha ucciso 6 persone, che si sommano alle altre 9 che sono state uccise a Nawa».

 

Ogni giorno, e in totale violazione del diritto internazionale, l’esercito israeliano arresta arbitrariamente cittadini siriani. Khalil Ibrahim Aref, residente ad Abdeen, a Ovest di Daraa, è scomparso dal 24 dicembre. «L’ha arrestato l’esercito israeliano in territorio siriano e da allora non abbiamo più avuto sue notizie; il Comitato per i diritti umani ha ricevuto informazioni – ancora da confermare – secondo cui sarebbe detenuto nei territori occupati». Se fosse davvero così, si tratterebbe di una vera e propria deportazione, effettuata sotto gli occhi ciechi della comunità internazionale. «Quello di Israele è un problema internazionale e ne deve rispondere la comunità internazionale – conclude Ahmed – noi drusi così come tutto il resto della popolazione civile siriana, vogliamo solo pace e unità e difenderemo questa terra sia dal radicalismo islamista sia dagli israeliani».

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