Prima di diventare cancelliere, Friedrich Merz di lei pensava molto bene. Si erano conosciuti un paio d’anni fa e lui avrebbe voluto rivederla entro il 2024 se non fosse caduto il governo Scholz in autunno, raccontava una fonte vicina al cancelliere prima delle elezioni tedesche. Per la campagna elettorale, il leader della Cdu aveva rimandato la pianificazione del suo viaggio in Italia. Il Paese che per i tedeschi attrae i desideri, i sogni, la nostalgia: il Sehnsuchtland di Goethe. Ma la premier italiana era comunque osservata con molto interesse a Berlino. «È pro-atlantica, pro-europea, è una sostenitrice dell’Ucraina, è pro-Stato di diritto» proseguiva la fonte. Un po’ l’incarnazione della destra conservatrice “per bene”. Tutto il contrario di quella populista tedesca di Afd: sguaiata, illiberale, estremista. Solo sui centri in Albania, Merz non ancora cancelliere aveva qualche perplessità. I giudici avevano fatto delle obiezioni, e questa – per un conservatore autentico – è una linea rossa. Legalità innanzitutto. Ora, passati tre mesi, la premier Meloni vista da vicino – dopo l’esperienza di Kiev, Tirana, Roma – rispecchia ancora l’immagine che il cristiano-democratico ne aveva da lontano, dietro il filtro della Sehnsucht?
I temi che uniscono i due continuano a essere lì sul tavolo: atlantismo, migrazione, diffidenza per il Green deal e sostegno all’Ucraina. Di tutto questo hanno parlato nel primo incontro bilaterale, il 17 maggio a Roma. Dove all’apparenza tutto è andato per il meglio. Ma il diavolo è nei particolari. Guardiamo i rapporti con gli Usa. Entrambi i premier sono convinti atlantisti, ma il desiderio di Meloni di farsi largo tra gli altri europei ritagliandosi un ruolo di “facilitatore” sull’Ucraina con JD Vance e “di costruttrice di ponti” sul commercio è osservato con attenzione a Berlino. Si aspettano risultati, non ruote da pavone. Da parte dei socialdemocratici, c’è aperta diffidenza: «Dubito che Meloni abbia abbastanza presa sul presidente americano per influenzare il dialogo tra Europa e Usa» sostiene Martin Schulz, ex presidente del Parlamento Ue e ora a capo della fondazione Friedrich-Ebert. Anche l’ambiguità del governo italiano sull’Ucraina non sfugge a chi guarda l’Italia da fuori. E la prova è stata la mancata presenza a Kiev insieme ai quattro premier europei – il britannico Starmer, il francese Macron, il polacco Tusk e il tedesco Merz. Un’assenza che si è poi concretizzata nella gaffe di Tirana e nel botta e risposta con il presidente Macron sull’invio di truppe. Macron l’ha definita una “fake news”, mentre Meloni ha replicato «di prendere atto che si è cambiata idea».
In Italia è diffusa l’opinione che partecipare alla coalizione dei volenterosi equivalga a mandare militari sul fronte ucraino. Un disallineamento palese con l’opinione pubblica europea. «La discussione sull’invio di truppe in Ucraina è completamente al di fuori di qualsiasi realtà politica» ha detto Merz a Roma. «Ci stiamo impegnando per prima cosa per ottenere un cessate il fuoco. Il passo successivo deve essere quello di chiarire i formati per i colloqui di pace» e «non possiamo ancora prevedere quali garanzie di sicurezza potrebbero un giorno essere necessarie». Tradotto: il tema non è sul tappeto. E perché se ne parla? La cortina fumogena sull’ipotetica presenza militare in Ucraina ha ragioni interne poco comprensibili oltre confine. «Il ruolo che l’Italia può giocare è limitato dalla sua politica interna» sostiene Schulz, la premier deve fare da ago della bilancia tra un alleato europeista come Tajani e un antieuropeista e filorusso come Salvini. Il cancelliere tedesco ricorda che l’unità europea è imprescindibile in un momento di instabilità nei rapporti con gli Usa. «Nei prossimi giorni terrò dei colloqui nell’Unione Europea per coinvolgere l’Italia in tutti i nostri sforzi per risolvere questo conflitto» in Ucraina, ha promesso Merz. Ma fino a che punto Giorgia Meloni si lascerà coinvolgere a togliere i piedi dalle due scarpe, sovranista ed europeista?
Dove c’è accordo pieno è sul dossier immigrazione. «Lavoreremo molto bene con il cancelliere» ha detto Meloni dopo il bilaterale. «Le iniziative che l’Italia ha preso negli ultimi mesi, in particolare nei confronti di questo o quel Paese che si affaccia sul Mediterraneo, hanno avuto un grande successo» ha risposto Merz. La soluzione dei centri in Albania «di sicuro non è la soluzione del problema ma può contribuire a ridurlo». Mentre sull’iniziativa italiana di fare pressione per “aggiornare le convenzioni” alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Berlino non si sbilancia. Sulla migrazione secondaria, cioè sui migranti che secondo l’accordo di Dublino dovrebbero chiedere asilo nel Paese di primo approdo e invece arrivano in Germania, la questione è aperta. Berlino non li accetterà più.
Infine, c’è il tema del finanziamento della Difesa europea. Per Paesi ad alto indebitamento come Italia e Francia è impensabile fare investimenti per la Difesa in deficit, come la Germania. Senza titoli di debito comune i margini non ci sono. E se per il governo Scholz gli eurobonds erano un “no go”, da Merz arrivano aperture. Messo in chiaro che il debito comune «non deve diventare la norma in Eu – ha detto il cancelliere – Adesso abbiamo una nuova grande sfida: creare una capacità di difesa della Ue. Stiamo cercando il modo di finanziarla e di questo si sta discutendo». Il governo di Roma che posizione avrà? Vista da vicino Meloni è più sfuggente che da lontano. I suoi tentativi di equilibrismo ne fanno una partner di cui fidarsi è difficile.