La produzione in Italia è passata da 60 mila a 90 mila ettari, arrivando anche in aree non tradizionali: dal Veneto alla Basilicata. Con benefici per l’occupazione e un basso impatto ambientale

Tra le materie prime per eccellenza nella produzione di cioccolato, le nocciole italiane hanno conquistato terreno negli ultimi dieci anni e, in alcune zone, hanno sostituito progressivamente coltivazioni storiche, come quelle cerealicole.

 

«Prima la coltivazione di nocciole era appannaggio di Piemonte, Lazio, Campania e Sicilia, ora la crescente richiesta da parte delle aziende di trasformazione ha portato gli ettari coltivati da 60 mila a oltre 90 mila, con la diffusione in aree geografiche quali Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Umbria, Basilicata», spiega Gianluca Griseri, responsabile tecnico di Nocciolo Service, che fornisce piante certificate, nonché consulente Ascopiemonte, associazione che riunisce circa seicento produttori di frutta a guscio. «La crescita della superficie dei noccioleti ha garantito un aumento dell’occupazione. Va sottolineato che la filiera del nocciolo, oltre alla parte prettamente agricola, comprende la trasformazione del frutto demandata a piccole, medie e grandi imprese. Grazie a ricerca e innovazione tecnologica, il nocciolo è diventato nel tempo una delle coltivazioni a più basso impatto ambientale. Mediamente, per andare a pieno regime, un noccioleto impiega sei-sette anni assicurando poi frutti per una trentina».

 

Anche nel caso delle nocciole, la siccità ha influito sulla resa. «Il problema ha interessato in particolar modo le piante giovani», racconta Guglielmo Roveta che coltiva Nocciola Tonda Gentile delle Langhe Igp a Vesime, in provincia di Asti: «Abbiamo anticipato la raccolta, che di solito è a fine agosto. Qui le nocciole sopravvivono grazie alla forte escursione termica fra giorno e notte, all’umidità e al vento che arriva dal Mar Ligure. Importantissima, poi, è la fase di essiccazione e tostatura che preserva il profumo caratteristico del frutto».

 

Scendendo al Centro, è nella Tuscia che si concentra il 40 per cento della produzione: circa 500 mila quintali per un giro d’affari che supera il mezzo miliardo di euro con l’indotto. Caprarola, Ronciglione, Vignanello, Sutri, Capranica sono fra i Comuni che hanno dato vita a una filiera certificata, Viconuts, per trasformare la materia prima e rifornire le più importanti industrie dolciarie. «Oggi il prezzo delle nostre nocciole oscilla tra i 250 e i 300 euro al quintale», dice Settimio Discendenti, presidente di Cooperativa Produttori Nocciole, che riunisce 150 realtà della provincia di Viterbo: «La guerra non ha influito tanto sul costo finale del prodotto, quanto su energia, fertilizzanti, carburante».

 

Un aiuto arriva dalla ricerca: con l’Università della Tuscia è stata fatta una mappatura dei suoli per attivare piani di concimazione specifici, sistemi che calcolano l’umidità del terreno, produzione di energia verde con gli scarti delle nocciole. «Abbiamo installato trappole innovative per monitorare le cimici, dannose perché rendono amaro il frutto acerbo. Gli agricoltori sono avvisati in tempo reale della sua presenza e possono allertare i tecnici della cooperativa, intervenendo solo quando necessario con prodotti chimici». Insomma, anche i noccioleti diventano smart.