Nel Senese si è tenuto il festival “Cbcr”, Cittine birbe crescono ribelli. Una manifestazione di “ragazze” disobbedienti alla norma sociale. Che, partendo dall’esempio delle donne ai tempi della mezzadria, si uniscono e lottano per l’equità

Val d’Orcia, quel modello di provincia dove affondano le radici del transfemminismo

Negli anni ’50 i poderi nella Val d’Orcia, la valle senese a Nord e a Est del monte Amiata, andavano da un minimo di dieci a un massimo di quaranta persone. Erano famiglie, spesso imparentate tra loro, che vivevano insieme, quasi sempre a mezzadria. Nel periodo che va da novembre fino a marzo, le donne, dopo essersi occupate di svariate mansioni tra cui la cura degli animali da cortile, da stalla e dei figli così come la gestione dell’orto, del bucato e del mangiare, si mettevano, a fine giornata, intorno al camino.

Anche nel podere Monte Laccio le donne con le loro sedie erano solite riposare e scambiare qualche parola davanti al fuoco, ma soprattutto dedicarsi a qualche altro lavoretto. Le donne conservavano le parti più dure delle cipolle, normalmente scartate, per poi metterle vicino alle braci o addirittura sotto la cenere per poi mangiarle come spuntino. Prima di coricarsi, il “capoccia”, il marito di una di loro, cioè il responsabile, sotto al padrone, del podere, faceva il giro delle stalle e delle terre per controllare che fosse tutto in ordine. Finito il giro era solito rientrare in casa, e, un giorno, passando accanto alle donne, notò che stavano sgranocchiando delle bucce di cipolla abbrustolite. Con tono brusco, le apostrofò: «Siete lì per lavorare o per sprecare?».

Questo aneddoto non racconta solo la condizione femminile del tempo, ma un aspetto essenziale di questa civiltà: tutto ritorna alla natura, tutto viene riciclato, nulla si fa a caso. Ogni cosa ha il suo posto in un economia agricola. Nel Dopoguerra «in queste terre», come altrove certo, «si soffriva e si moriva» (l’Unità, 2009). Giorgio Scheggi in “Species” scrive che «mai si era vista un’accelerazione così rapida e brutale della storia, mai una cultura si era dissolta con tanta rapidità» (2002). Che ruolo hanno avuto le donne in questo processo? L’hanno solo subito? E ora che ruolo hanno?

Stare e sostare in provincia significa mettersi in ascolto. Qui sicuramente le fila delle resistenze sono state ereditate: qualcuno ha raccolto i saperi delle grandi città e li sta redistribuendo. La provincia ruggisce e nel farlo ricorda che massaie, che classi subalterne, si è state, prima d’arrivare fin qui. La provincia non può dimenticare la propria storia: le voci riecheggiano troppo forti, la tradizione orale resiste e così si può tracciare il percorso del nuovo, del rinnovato.

La settimana scorsa, la Val d’Orcia ha ospitato il Cbcr, il primo festival transfemminista della provincia di Siena. Centinaia e centinaia di persone hanno parlato di cultura del consenso, di educazione sessuo-affettiva, di saperi decoloniali. Lo slogan “Cbcr” ovvero «cresci bene che ripasso» è una frase comunemente riferita a soggetti, spesso minorenni, che fisicamente «promettono bene», osservati quindi già con sguardo sessualizzante. «Per noi, invece, diventa: Cittine Birbe Crescono Ribelli», mi racconta Luce Scheggi. «Cittine, nella nostra zona, è il modo di chiamare le ragazzine. Noi siamo cittine disobbedienti alla norma sociale. In una prospettiva di critica al sistema patriarcale, le cittine birbe si ribellano a uno status quo che le vuole composte, ubbidienti e relegate in un ruolo subalterno, ruolo rafforzato anche attraverso slogan che sono i veicoli della violenza patriarcale».

È bello cominciare da qui: dalla provincia che tiene il filo storico, intergenerazionale, megafono di contro-saperi e antichissimo.

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