Il caso
L’Iva sulle accise, la scandalosa tassa sulla tassa di cui la politica non parla
Si tratta di un sopruso fiscale che porta 5 miliardi l’anno nelle case dello Stato. Ma su cui vige il silenzio assoluto
Non contate sulle promesse elettorali. Sperare che vengano onorate è quasi sempre una pia illusione. Ed è successo così anche questa volta. Nessuno stupore, dunque, per il fatto che un governo guidato da chi aveva dichiarato guerra in campagna elettorale alle accise sui carburanti, promettendo di archiviarle definitivamente con un video da milioni di visualizzazioni, le abbia invece ripristinate nei loro valori massimi. Difendendole oltre ogni ragionevole dubbio. Ma se è perfino comprensibile che le difficoltà di bilancio costringano la politica a rivedere certe posizioni, qualcosa nelle dichiarazioni del ministro Adolfo «Urss» Urso comunque non torna. E ancora meno torna nel silenzio della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del suo vice Matteo Salvini.
Le accise non si toccano, dice Urso, perché i soldi servono per finanziare il taglio del cuneo fiscale. Se abbiamo capito bene, la benzina resta cara perché con quei soldi si alzano un poco gli stipendi, così magari i lavoratori possono anche pagare la benzina più cara. Il taglio del cuneo fiscale, insomma, viene finanziato pure dagli stessi lavoratori che ne dovrebbero beneficiare. C’è però un altro aspetto di questa vicenda decisamente più scandaloso dello scandalo delle accise che si sono accumulate nei decenni nel silenzio pressoché generale. Un aspetto sul quale colpevolmente si è sempre sorvolato. È il meccanismo assurdo per cui paghiamo una tassa sulla tassa. Un esempio rende bene il concetto. Un litro di carburante che costa alla pompa 1,812 euro incorpora il costo industriale di 0,757 euro, più le accise di 0,728 euro, più l’Iva di 0,327 euro. E proprio nell’ultima voce c’è una clamorosa stonatura. Perché l’Iva non viene applicata sul solo costo industriale, come sarebbe ovvio e giusto, bensì sulla somma del costo industriale più le accise. Ne consegue che oltre a pagare il 22 per cento di Iva sul carburante paghiamo anche il 22 per cento di Iva sulle accise. Che quindi non pesano per 0,728 euro al litro ma ben 0,888 euro. Se a questa cifra sommiamo anche la parte di Iva che grava sul prodotto industriale, si arriva alla conclusione che un litro di carburante per autotrazione non potrebbe in nessun caso costare meno di un euro: neppure se il petrolio fosse gratis
Basterebbe tuttavia eliminare questa tassazione impropria (e inaccettabile) sulle tasse per far scendere il costo del carburante da 1,812 a 1,652 euro al litro. Un taglio del 10 per cento circa e senza sfiorare le accise. Perché allora non si fa? Perché nessuno si indigna per una pratica moralmente riprovevole, che comunque viene applicata su una massa di beni di consumo, e perfino sulle bollette di luce e gas? Sono miliardi di euro che ogni anno lo Stato incassa di fatto in modo ingiustificato, tosando i contribuenti inconsapevoli. Ma che non sollevano alcuna reazione: nemmeno da parte delle forze politiche più ostili al fisco, a cominciare dalla Lega salviniana. Nessuno in Parlamento ha mai alzato davvero un dito per arginare questo inaudito sopruso fiscale. Solo la tassazione impropria sulle accise dei carburanti vale circa 5 miliardi l’anno. Fanno 85 euro per ogni italiano, e scusate se è poco.