Quando nel 1963 Martin Luther King scandiva “I have a dream”, il discorso più celebre, sulle gradinate neoclassiche del Lincoln Memorial di Washington accanto a lui annuiva fiero Walter Reuther, leader della United Automobile Workers (Uaw). Il carismatico tribuno dei metalmeccanici americani era già una leggenda, tanto che John F. Kennedy, nella sua breve presidenza, lo aveva incontrato una ventina di volte. Era l’epoca d’oro del sindacato, una mastodontica leva progressista - con un milione e mezzo di iscritti alla fine degli anni Settanta - in grado di influire sull’agenda politico-economica del Paese. Tanto è cambiato negli ultimi decenni. A causa dei profondi mutamenti dell’economia globale, delle leggi sul lavoro che rendono complessa per i dipendenti la sindacalizzazione, ma anche per l’ostilità politica della destra, i membri ormai non superano i quattrocentomila.
Oggi, però, la Uaw prova a recuperare lo smalto perduto grazie a un’azione storica nella Rust Belt, il cuore industriale del Paese. Venerdì scorso, a seguito del mancato accordo sul contratto collettivo, ha indetto uno sciopero contro le “Detroit Three” - Ford, General Motors e Stellantis (nata dalla fusione delle case automobilistiche Fiat Chrysler e Psa) - le superpotenze che dominano l’economia dell’auto dalla “Motor City”. Non era mai accaduto prima. In campo uno schema “a scacchiera” con la serrata alternata delle fabbriche che punta a dilatare la durata delle agitazioni. A incrociare le braccia subito sono stati quasi in tredicimila in Ohio, Michigan e Missouri.
Qualcuno lo chiama il “Rinascimento” dei sindacati. Dalla pandemia a oggi, le organizzazioni dei lavoratori hanno iniziato a penetrare realtà ritenute impermeabili - come alcuni stabilimenti Google, Amazon, Starbucks, ad esempio - o hanno strappato risultati importanti come il recente accordo dei Teamster (il sindacato degli autotrasportatori) con Ups.
«Prima dell’emergenza sanitaria i lavoratori non credevano di avere il potere di lottare contro le forze neoliberali. Oggi abbiamo capito che siamo tutti essenziali. L’America ha bisogno di noi, l’economia ha bisogno di noi. Abbiamo potere ed è ora di esercitarlo», ci spiega Patricia Campos-Medina, a capo del Worker Institute della Cornell University.
Di certo è cambiata la percezione delle azioni organizzate. «Recentemente, con i picchetti di Hollywood, sono scesi in strada persino personaggi famosi in cui la gente si riconosce - ci dice Rebecca Kolins Givan, professoressa associata della Rutgers University - lo sciopero ha sempre fatto paura per la scarsezza di tutele. Oggi però la carenza di forza lavoro in molti settori, instilla coraggio. Insomma, la gente sa che se pure dovesse perdere l’impiego, ne troverebbe presto un altro».
Nel caso delle serrate dell’auto, i sondaggi rilevano che la maggioranza degli americani ha solidarizzato con gli operai, decisi a tornare a far parte della classe media. Al momento molti ne sono esclusi: una larga fetta non sarebbe in grado di vivere un solo mese senza salario. Una situazione che affonda le radici negli anni 2007-2009. In piena crisi, per garantire la sopravvivenza delle aziende gli impiegati strinsero la cinghia, ingoiando significative rinunce.
Ora, però, le compagnie hanno ripreso a registrare profitti record ed è il momento di redistribuire, rivendica Shawn Fain, presidente attuale dell’Uaw, a muso duro contro i ceo delle “Big Three” ovvero Mary Barra di General Motors, Jim Farley di Ford e Carlos Tavares di Stellantis. I top manager sono disposti a concedere un aumento che si aggira intorno al 20%, ma per Fain sarebbe più equo un aggiustamento in linea con le percentuali che i dirigenti si sono garantiti in busta paga e cioè circa il 40% in quattro anni. A cui vanno aggiunti anche riduzione dei turni, ripristino delle pensioni e assicurazione sanitaria.
«Questo sciopero può avere risvolti potentissimi», prevede Harley Shaiken, professore emerito all’università di Berkeley, in California, che a questi temi ha dedicato la carriera. «La Uaw è ancora molto influente, è un punto di riferimento per le altre union». L’effetto domino non è utopia. «Gli americani stanno riscoprendo che grazie a sindacati forti la loro vita migliora - nota l’esperto - un assioma che ha definito gli Usa negli anni ’50 e ’60, quando un lavoratore su tre era iscritto. Ora, ce n’è uno su dieci».
C’è chi parla di “Union Paradox”, il paradosso dei sindacati; nonostante la popolarità sia altissima, le iscrizioni sono ai minimi. La verità è che le azioni viaggiano più lente delle intenzioni. La rivoluzione, che inizia a prendere forma, vede i giovani in prima fila. Millennials e Gen Z dominano la scena non solo come supporter, ma anche come nuovi leader e presto saranno la maggioranza della forza lavoro.
Intanto Washington non è mai stata così attenta. Solo qualche giorno fa, ad esempio, la Casa Bianca è riuscita a scongiurare un temutissimo sciopero ferroviario grazie a un accordo provvisorio. «Il presidente Biden recentemente ha preso alcune decisioni importanti - continua Harley Shaiken - un passaggio dell’ultimo comunicato lo conferma il presidente più a favore dei sindacati mai esistito: “Le compagnie hanno fatto offerte significative. Ma credo che dovrebbero spingersi oltre, per garantire che i profitti aziendali record significhino contratti record per l’Uaw”». Una posizione non scontata a poco più di un anno dalle elezioni.