Con l'inchiesta esclusiva "Sex and the spot" sveliamo quanto le prevaricazioni siano dure a morire nel mondo delle agenzie pubblicitarie. Un lavoro nato da nuove testimonianze dirette e da chat interne delle più importanti realtà dell’advertising. Uno scandalo che si allarga e che le vostre segnalazioni possono contribuire a illuminare. Scriveteci e pubblicheremo in forma anonima le vostre esperienze

Il mondo della pubblicità dice di essere ormai immune da sessismo, omofobia, discriminazioni. Ma le testimonianze dirette delle lavoratrici e le chat interne delle più importanti agenzie di comunicazione, pubblicate in esclusiva nell’inchiesta de L'Espresso “Sex and the spot” che trovate in edicola, svelano nuovi risvolti dello scandalo che ha investito il mondo dell’advertising. 

 

«Votavano la più scopabile e poi venivano a raccontarci chi aveva vinto. Se qualcuna sbagliava dicevano che eravamo frigide e avevamo bisogno di fare sesso più spesso»: questa è solo una delle centinaia di conversazioni raccolte dal nostro giornale che dimostrano quanta strada ci sia  ancora da fare per superare l’opprimente clima di prevaricazione maschile. 

 

Ma non vogliamo fermarci qui: abbiamo dato vita a #lavoromolesto, uno spazio anonimo e sicuro di denuncia per chi subisce molestie sul lavoro. Uno sportello dove raccontare, creare occasioni di confronto, azioni necessarie per generare un cambiamento. Per condividere le vostre esperienze scrivete a questa mail: dilloallespresso@lespresso.it e noi pubblicheremo tutto, perché è ora di rompere il silenzio.

 

Secondo Istat, sono quasi un milione e mezzo le donne in Italia che durante la vita lavorativa hanno subito aggressioni fisiche o ricatti sessuali, molte di più quelle che vivono minacce, comportamenti offensivi, umilianti, che violano la dignità. Ma pochissime sono quelle che denunciano. Per questo L’Espresso vuole continuare a dare loro voce.

 

Quando è nato lo spazio #lavoromolesto quasi due anni fa, il 25 novembre del 2021, le testimonianze delle donne sono piovute a raffica. «Facevo l’assistente in uno studio dentistico, ho iniziato affiancando un’altra che stava per andarsene. Solo pochi giorni dopo ho capito perché: mentre mi stavo cambiando il capo è entrato nello spogliatoio dicendo “perché non ci cambiamo insieme?”. Mi sono girata e l’ho visto con il membro fuori dai pantaloni. Sono scappata a casa. Dal giorno dopo una nuova ragazza ha iniziato ad affiancarmi. Perché un capo non si cambia, le lavoratrici sì. Soprattutto se sono precarie», ha raccontato, ad esempio, Lara, nome di fantasia. 

 

«Ho tagliato i capelli, tolto i tacchi, nascosto il seno. Per non subire molestie sono diventata invisibile. Non sono accondiscendente, forzatamente gentile, non accetto le avance. E per non scendere a compromessi ho rinunciato anche a ogni possibilità di carriera», ha spiegato, invece, Livia, che da 20 anni combatte contro i pregiudizi dei colleghi. «I capi commentano le caratteristiche fisiche di tutte le donne dell’azienda. Nelle loro chat ho scoperto una classifica a punti di noi dipendenti», ha aggiunto Cristina.

 

Oggi rilanciamo questo spazio dopo quanto abbiamo scoperto sulle agenzie di pubblicità. Perché raccogliere e pubblicare questo tipo di storie può servire a formare una nuova normalità in cui le lavoratrici non siano vittime del pensiero maschilista dominante ma portavoce di una società consapevole. Ditecelo, ditelo a L’Espresso.