Nel mondo arabo è nato un movimento che punta a tagliare i rifornimenti di combustibili per ostacolare Israele. Bloccando la sua offensiva a Gaza e punendo i Paesi che lo sostengono

Quasi nessuno sa come funziona uno scaldabagno ma tutti l’anno scorso sembravano avere un’opinione sulla dipendenza energetica dalla Russia e sul conseguente coinvolgimento europeo nella guerra in Ucraina. È indubbio che negli ultimi due anni il dibattito intorno all’energia abbia appassionato e mosso tantissimo l’opinione pubblica, ha anche agevolato l’ingiustificato caro-prezzi delle società energetiche.

 

Da ottobre 2023, è nata “Disrupt Power”: una coalizione decentralizzata e anonima di ricercatori e ricercatrici che si sta organizzando per interrompere e sanzionare il settore mondiale dell’energia con lo scopo di ottenere un cessate il fuoco a Gaza. Mentre girava un documentario sull’industria del gas nel Mediterraneo, ho incontrato Olive, un’attivista climatica che mi ha raccontato della loro battaglia: «Un genocidio non avviene e basta, qualcuno lo finanzia, ne estrae le risorse e le moltiplica». La coalizione è nata da una forte spinta del mondo arabo: è composta da professionisti indipendenti del settore energetico, tra cui economisti, artisti, architetti, ricercatori e attivisti, ha sede in diverse città metropolitane del mondo arabo e non solo. Nelle loro parole «sono anonimi ma presenti ovunque».

 

L’obiettivo è un embargo energetico. Storicamente, è già avvenuto: nel ’73 e ’74 c’è stato un embargo petrolifero dal Medio Oriente nei confronti degli Stati Uniti, dei Paesi Bassi, del Portogallo, della Rhodesia e del Sudafrica, come rappresaglia per il sostegno a Israele durante la guerra del Kippur. Il candidato più plausibile, mi racconta Olive, è l’Algeria viste le relazioni europee con il gas algerino e la storica solidarietà del Paese africano alla causa palestinese. L’embargo energetico non è solo uno strumento del mondo arabo per esprimere solidarietà alla liberazione palestinese ma significa creare una barriera fisica al supplemento di energia per carri armati e jet da guerra.

 

Nel frattempo, negli ultimi tre mesi, sono sono state uccise 22 mila persone, tra cui 110 giornalisti. Uccidere i giornalisti, così come bombardare gli ospedali, i campi profughi, le case dei civili, le scuole, i luoghi di culto e le vie di fuga dai bombardamenti sono crimini di guerra e contro l’umanità, oltre che azioni con un esplicito intento genocida.

 

All’inizio del 2024, il Sudafrica si è appellato alla Corte internazionale di giustizia affinché Israele venga processata per genocidio. La prima udienza a L’Aia si è tenuta in questi giorni. Come possiamo aspettarci che l’Unione europea porti Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia se ha firmato con Gerusalemme un accordo sul gas? Ugualmente, come potrebbe l’Inghilterra chiedere un cessate il fuoco se le sue compagnie petrolifere si sono aggiudicate le licenze nelle acque al largo di Gaza? Se le compagnie petrolifere e del gas statunitensi forniscono carburante ai jet da combattimento israeliani e ne traggono profitto, muovendo così l’economia nazionale, quale motivazione avrebbero per fermare l’occupazione militare?

 

Ci sono storie fantasiose e complottiste di uomini in torri d’avorio che decidono il destino dell’umanità, ci sono poi conferenze e summit molto realistici dove si decide di essere complici alla luce del sole. Non c’è goccia che possa far traboccare il vaso, non c’è goccia che possa ripopolare questo deserto.