Occuparsi di Africa è scontato per l'Italia: farlo senza Europa è un rischio. La premier ha l'opportunità di fare da apripista in attesa del voto per Bruxelles di giugno, ma non dovrà cadere nella tentazione della facile propaganda annunciando miliardi a pioggia e soluzioni salvifiche. Tra Senato blindato e caccia ai tappeti: tutto quello che non sapete

La prima caratteristica del piano Mattei è che si tratta di un piano che va piano. Fu citato già nel discorso di Giorgia Meloni alle Camere per chiedere la fiducia al suo governo. Era il 25 ottobre 2022. Il calendario porgeva un sapido gancio: il 27 ottobre cadevano i sessant’anni dalla morte di Enrico Mattei, «un grande italiano» per dirla con la presidente: «Credo che l’Italia debba farsi promotrice – disse – di un piano Mattei per l’Africa, un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane». Farsi “promotrice” fa bello assai e non impegna troppo. Almeno non troppi soldi. Quelli li porta mamma Unione Europea che però, se francesi e tedeschi sono contrari, e più che contrari, sono irritati, e i più irritati sono i francesi, non porta neanche un euro. Un attimo di pazienza. Non è proprio vero. Non più. Il solipsismo di Parigi in politica estera è in declino e in molte zone africane (il Sahel) ha fallito: «L’epoca della Françafrique è finita», in un momento di inusitata modestia nazionale l’ha ammesso proprio il presidente Emmanuel Macron. Però l’intera Africa e il cosiddetto Mediterraneo allargato, che si estende al Golfo Persico con le monarchie arabe, è lo specchio che deve riflettere l’Europa dei prossimi vent’anni, perciò la Germania, la Francia, l’Italia. Per lo squilibrio demografico. Per la contesa energetica. Per la sicurezza che ingloba le migrazioni e il terrorismo.

 

Lo specchio è sempre «inquietante» e «mostruoso», aveva ragione Jorge Luis Borges, perché restituisce una immagine diversa dall’immagine che pensiamo di avere. È l’immagine che ricalca esattamente la realtà. Oggi l’Africa s’è allontanata dagli europei e si è concessa a Russia e Cina. Soltanto che l’Africa è vicina a Roma. Non a Mosca. Né a Pechino. Il piano Mattei non è sufficiente, ma il piano Mattei è necessario a indicare un tema che va affrontato in Europa con l’Europa sotto le insegne delle Nazioni Unite. Più volte annunciato e di conseguenza più volte sviscerato nonostante nessuno l’avesse mai letto e, peggio, mai scritto, fatto paranormale che in Italia si ripete con una certa frequenza sui media, finalmente, per domenica 28 e lunedì 29 gennaio, il governo Meloni ha convocato a Roma decine di capi di Stato e di governo, ministri degli Esteri, istituzioni e organizzazioni internazionali per svelare al mondo il piano Mattei. Il programma è talmente avanti con i dettagli che, a pochi giorni da un evento non certo imprevisto, per le riunioni plenarie e bilaterali al Senato della Repubblica, il Cerimoniale non ha capito ancora da quale ingresso far entrare le delegazioni africane, quante stanze di Palazzo Madama requisire, dove spedire i dipendenti in sovrannumero, come evitare l’eccessiva invadenza dei giornalisti (a Palazzo Chigi preoccupano figuracce in stile telefonata di Meloni con i “comici” russi spacciatisi per il presidente dell’Unione Africana e dunque sono tollerate soltanto interviste concordate con la Rai). In attesa di accogliere le delegazioni senza paralizzare la già paralizzata Capitale, i funzionari del Senato della Repubblica sono a caccia di tappetini per la preghiera da offrire agli ospiti di religione musulmana.

 

Fedele al suo archetipo, il piano Mattei è sempre un piano che va piano. Quel che si è rapidamente rovesciato dal 25 ottobre 2022 è che l’Italia non è «promotrice» di un modello virtuoso, ma unica protagonista del piano Mattei. Il riferimento normativo è il decreto legge 161 che le Camere hanno appena convertito. Se qualcuno dovesse interrogarvi e pretendere una definizione esatta del piano Mattei, potreste rispondere, con corretta citazione dei testi di legge, che il piano Mattei «persegue la costruzione di un nuovo partenariato tra Italia e Stati del Continente africano, mediante la promozione di uno sviluppo comune, sostenibile e duraturo, nella dimensione politica, economica, sociale, culturale e di sicurezza». Antefatto. Il piano Mattei è anche la risposta non bruta, è la nemesi di Matteo Salvini, all’immigrazione illegale. Agli sbarchi. E soprattutto racchiude in sé un concetto filosofico o comunque un afflato etico. Un approccio non «predatorio» per l’Africa, affermano ministri e politici di ogni risma, in stile Enrico Mattei fondatore di Eni. Come questa opera di nitida fratellanza fra popoli si concili con i centri di permanenza e rimpatrio tirati su in Albania non è intellegibile. Oppure è politica, che ingenui. A essere più precisi, i settori di collaborazione fra Italia e Africa sono 17, e molto laboriosi. I principali, per esempio: «Formazione, cooperazione, energia, ambiente, turismo, cultura, economia». E l'ultimo: «Prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare e gestione dei flussi migratori legali». Avete ragione. Il settore 17 è quello più adatto a fare propaganda per il voto europeo e locale (ci sono comuni e regioni) di giugno e peraltro è quello più immediato. I restanti 16 buoni propositi, in gran parte, tacendo sulle bizzarrie (l’aerospazio come urgenza per l’Africa), sono per le prossime generazioni, o meglio per le prossime legislature.

 

In assenza di denaro, e ovviamente la presidente Meloni non mancherà nelle conferenze stampa di stanziare miliardi di euro, il piano Mattei è l’ennesimo trasferimento di poteri a Palazzo Chigi. A Giorgia Meloni. La struttura del piano Mattei prevede una gestione politica di una cabina di regia e una gestione ordinaria di una struttura di missione presso la presidenza del Consiglio. La cabina di regia «coordina le attività di collaborazione tra Italia e Africa», «coordina i diversi livelli di governo», «promuove gli incontri con la società civile, le associazioni e le imprese». In sostanza la cabina di regia, presieduta da Meloni, fa da tramite a qualsiasi tipologia di rapporto con l’Africa. La cabina di regia è un luogo affollato, comandano la presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri, a scendere poi: viceministri di Esteri, Imprese, Ambiente; rappresentanti di Sace, di Simest, di Ice, di Cdp. Questi sono i componenti di diritto. Poi la presidente del Consiglio individua esperti a vario titolo nella società civile e in enti pubblici e privati, anche imprenditori e la stessa presidente del Consiglio emana il piano Mattei quadriennale e ne approva la relazione per il Parlamento. Al fianco della cabina di regia, infine, opera la struttura di missione che viene assegnata al consigliere diplomatico Fabrizio Saggio, ex ambasciatore a Tunisi e molto stimato dal Quirinale dove ha lavorato con Sergio Mattarella. Saggio è determinante. Il tempo ci dirà se il piano Mattei vale mezz’ora di retorica per un quarto d’ora di consensi oppure è un modo scaltro per trascinare l’Unione Europea in Africa quando l’Unione Europea, dopo il voto, sarà più disposta ad ascoltare Meloni. Senza mettervi fretta: dove fate sedere le delegazioni?