Il declino
Tutte le statistiche dicono che l'ascensore sociale in Italia si è rotto
L’indigenza cresce e diventa anche ereditaria. Per "salvarsi" lavorare non basta: quasi la metà delle famiglie in povertà assoluta ha un occupato. E anche l'accesso ai farmaci e alla sanità diventa difficile
Affollano le nostre città e interpellano la coscienza collettiva. Denutriti, deperiti, impossibilitati a fare un pasto completo ogni due giorni: parliamo esattamente di questo. Un italiano su dieci è ormai poverissimo, si trascina in condizioni dickensiane e tra caro-vita, inflazione e welfare a singhiozzo la situazione si va esasperando. Sono tantissimi i cittadini che non riescono a pagare la spesa, l’affitto, le bollette della luce e del gas, le spese mediche. Un’emergenza sociale che non fa share, ma colpisce quasi 6 milioni di residenti nella penisola secondo i recenti dati Istat. L’ascensore sociale è bloccato, ferma solo in discesa e molti precipitano da quella che fu la classe media. Senza dimenticare la massa di lavoratori impoveriti: ben il 70% degli occupati è convinto di avere bisogno di una mensilità ulteriore di stipendio per affrontare la corsa insostenibile del costo della vita.
Li chiamano “working poor”. E i confini possono essere porosi: da un lato la povertà totale, dall’altro quelle «6 persone su 10 in deprivazione alimentare materiale o sociale, che non sono considerate a rischio secondo le soglie di reddito prestabilite», scrive ActionAid Italia. Ma loro si percepiscono come tali, sanno di dover astenersi dal minimo indispensabile. Sono messe male soprattutto le coppie (e i single) giovani con prole, magari con impieghi precari. Scorrendo l’ultima Report Card dell’Unicef, scopriamo che l’Italia è al 34esimo posto su 39 nella classifica della povertà monetaria dei bambini nei Paesi ricchi. Più di uno su 4 (25,5%) vive in un contesto di povertà relativa conseguente al reddito. A novembre è stata presentata, a ridosso della Giornata mondiale dei poveri istituita da papa Francesco, la ventisettesima edizione del rapporto Caritas su povertà ed esclusione sociale. «I dati confermano come – con oltre 5,6 milioni di poveri assoluti, pari al 9,7% della popolazione – la povertà in Italia sia un fenomeno strutturale e non più residuale come in passato. Ha sempre di più i tratti dell’“ereditarietà”. Il nostro Paese è in Europa quello in cui la trasmissione inter-generazionale delle condizioni di vita sfavorevoli risulta più intensa. Chi nasce povero, molto probabilmente lo rimarrà anche da adulto». L’escalation dei poveri in canna è stata di 357 mila unità e «gli stranieri, pur rappresentando l’8,7% della popolazione residente, costituiscono il 30%». A rischio povertà ed esclusione sociale sarebbero «14 milioni e 304 mila persone, il 24,4% della popolazione», si legge.
Nemmeno il lavoro è più garanzia di benessere, visto che «il 47% dei nuclei in povertà assoluta» ha un occupato. E la rinuncia al reddito di cittadinanza ha lasciato «scoperte alcune tipologie di poveri, per esempio i senza dimora». L’anno scorso, nelle Caritas diocesane, «le persone incontrate e accompagnate sono aumentate del 12%». Impennata di richiedenti aiuto persino in regioni ricche come l’Emilia-Romagna: più 20%. Il tutto poi si acuisce al Sud, come testimonia il nuovissimo rapporto Svimez secondo cui la contrazione del reddito disponibile delle famiglie meridionali è doppia rispetto al Centro-Nord: -2%. L’inflazione gli ha eroso 2,9 punti di entrate. Qui nel 2022 erano 2,5 milioni le persone a vivere nella miseria generale, 250.000 in più rispetto al 2020. Anche per questo non si attenua l’emorragia demografica del Mezzogiorno.
Nel frattempo si moltiplicano le iniziative di solidarietà. La Comunità di Sant’Egidio a Natale ha lanciato la campagna per un banchetto natalizio ad almeno 80 mila bisognosi. Ogni giorno le sue migliaia di volontari si consacrano agli ultimi, consegnando pacchi alimentari e organizzando cene per i senzatetto che proliferano sui marciapiedi delle nostre strade. La frangia più borderline della povertà: una delle ferite più profonde, specie d’inverno. La lievitazione dell’indigenza è suffragata inoltre dalla quantità di persone che si sono rivolte nel 2023 alle mense francescane di Operazione Pane. Per mettere qualcosa sotto i denti, per un po’ di sostegno nelle spese quotidiane. Più di 10 mila, specialmente donne e uomini soli. Per supportare le sue venti mense nazionali, che distribuiscono quasi 41 mila pasti al mese, l’Antoniano (quello dello Zecchino d’Oro) punta sugli sms solidali. Un piano per contrastare la povertà alimentare è “Mai Più Fame: dall’emergenza all’autonomia”, avviato adesso a Napoli nei Quartieri Spagnoli e a Forcella e ideato da Azione contro la Fame. L’obiettivo è costruire buone pratiche, con contributi alla spesa e abbattendo lo spreco alimentare. Secondo Coldiretti, nei nostri bidoni della spazzatura terminano 27 chili di cibo a persona. Mentre decolla la second hand economy: grazie all’economia circolare, i poveri e gli impoveriti recuperano vestiti usati e vivande fresche in scadenza, per mezzo di gruppi online come i “Te lo regalo se vieni a prenderlo” e app tipo “TooGoodToGo”.
La povertà è anche sanitaria: nel 2023, 427.177 persone hanno dovuto chiedere soccorso a una delle 1.892 realtà assistenziali convenzionate col Banco Farmaceutico per ricevere gratis farmaci e cure. Nel mondo, stando all’Indice globale della fame, la patiscono in 750 milioni, e la situazione non potrà che continuare a deteriorarsi complici le guerre e il cambiamento climatico. Molti vivono la povertà come uno stigma nascosto, ai tempi dei simulacri di una vita sfavillante e iper-consumistica da esibire sui social. Restano nell’ombra, e non finiscono in nessuna statistica.